Così la separazione delle carriere fa diventare i pm come poliziotti

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Separazione delle carriere e garantismo hanno tra loro lo stesso rapporto che c’è tra due rette parallele nella geometria euclidea: non si incontrano mai. Basta guardare come funzionano i sistemi giudiziari che separano la figura del magistrato requirente da quella del magistrato giudicante per accorgersene. Al di là degli squilli del governo e dei suoi propagandisti – che definiscono la riforma come luminoso esempio di rispetto delle garanzie processuali e un po’ litigano sul copyright: Forza Italia dice che questo era «il sogno di Berlusconi», Nordio sostiene di parlare del tema nientemeno che dal 1997 -, il risultato più ovvio della svolta che si vorrebbe dare alla giurisdizione italiana consisterà nella trasformazione del pm in un agente di polizia con la laurea in legge in tasca e la toga addosso, perché il suo unico compito sarà quello di individuare, perseguitare e reprimere i cattivi soggetti.

Lo sanno bene in Spagna, dove la figura del giudice è separata integralmente da quella del procuratore dai tempi di Francisco Franco. Alla caduta del regime, però, ci si accorse che al vertice degli uffici inquirenti era rimasto un cospicuo numero di nostalgici del regime e, onde evitare guai seri, la soluzione escogitata fu di mettere la pubblica accusa in rapporto diretto e subordinato rispetto al ministero della Giustizia, che esercita in questo modo un controllo politico sull’azione penale.

In Francia pure le carriere sono formalmente divise, con il pubblico ministero che ha un rapporto diretto col governo, ma i passaggi di funzione sono possibili e l’organo costituzionale di governo autonomo della magistratura è unico.

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La Gran Bretagna, che spesso viene citata da Nordio come modello, non solo è un paese di common law, ma non ha nel suo ordinamento la figura del pm così come la possiamo intendere in Italia. Esiste il Crown Prosecution Service, che detiene e coordina l’iniziativa penale in tutto il paese. Chiaramente la grande visibilità che questo ruolo offre può aprire molte strade agli uomini di legge che hanno voglia di fare carriera politica, tant’è vero che l’attuale primo ministro, il laburista Keir Starmer, è stato tra il 2008 e il 2013 direttore della pubblica accusa per l’Inghilterra e il Galles.

Diversa ancora la situazione negli Usa, dove le carriere sono divise, i passaggi di funzione possibili ma le cariche sono elettive. E le campagne elettorali per diventare procuratori distrettuali sono di solito gare a chi promette maggiore inflessibilità nella lotta al crimine.

Al di là delle abitudini giurisdizionali di ciascun paese, è del tutto evidente che là dove la figura del giudice è completamente separata da quella del procuratore, il secondo ha sempre e per forza il ruolo dell’accusatore. In Italia, da quando nel 1989 è entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale, il meccanismo con cui si cerca di fare giustizia consiste sostanzialmente nel controllo costante di un giudice sulla validità delle tesi espresse dalla procura: prima un gip può concedere (o no) il rinvio a giudizio sulla base di una «ragionevole previsione di condanna», poi c’è il primo grado, poi c’è l’appello e infine c’è la Cassazione.

Non sono affatto infrequenti i casi in cui i giudici giungono a conclusioni diverse rispetto ai pubblici ministeri: basti pensare al proscioglimento di Renzi per il caso Open o all’assoluzione «perché il fatto non sussiste» di Salvini a Palermo per la vicenda Open Arms, tanto per restare su vicende celebri e piuttosto recenti, senza la necessità di addentrarsi nella cronaca giudiziaria di minor calibro, che vede quasi ogni giorno uscire sentenze che non ricalcano alla lettera quanto proposto dai requirenti e che anzi spesso se ne distanziano in maniera netta.

Ma se la separazione delle carriere è il fulcro della riforma Nordio, che il piano generale del governo consista più in generale nel ridimensionamento del potere giudiziario è testimoniato anche dalla volontà di sdoppiare il Csm – che vuol dire dimezzarne la forza -, di creare una Alta corte ad hoc per dirimere le faccende disciplinari (un modo per mutilare il concetto stesso di governo autonomo della magistratura) e di nominare i membri di questi due organi per sorteggio, andando così a distruggere il ruolo costituzionale delle correnti.

Cosa tutto questo c’entri col garantismo resta un mistero. Sarà che parliamo di una parola intraducibile nelle altre lingue europee. E il cui significato forse è poco chiaro anche in italiano: abbiamo un governo che si definisce «garantista» ma che dal suo insediamento non ha fatto che introdurre nuovi reati, sanzioni, aggravanti, aumenti di pena. Solo col ddl Sicurezza si mette mano al codice penale più di trenta volte. E sempre per renderlo più pesante.



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