Mentre in Italia era notte, il tramonto di giovedì sera nel cielo dei Caraibi si è trasformato in un singolare spettacolo pirotecnico. Pochi minuti dopo il lancio dalla base di Boca Chica in Florida, la navicella Starship della SpaceX di Elon Musk è esplosa sul Golfo del Messico, ricadendo in una pioggia di scie colorate e costringendo le compagnie aeree a modificare le rotte per schivarne i detriti. Si trattava di un lancio sperimentale – il settimo della Starship – quindi il possibile fallimento era messo in conto e non c’erano astronauti sull’astronave che nei piani della Nasa li riporterà sulla Luna e su Marte.
Ma gli ingegneri di SpaceX hanno parlato anche di un successo: il razzo Super-Heavy da cui la Starship si è separata poco dopo il decollo è riuscito a effettuare un atterraggio morbido e spettacolare, riagganciandosi in volo ai bracci mobili della torre metallica di lancio. Il rientro controllato consente di riutilizzare razzi e navicelle e abbatte i costi operativi di ogni missione: così SpaceX ha conquistato il mercato dei lanci ed è diventato il primo fornitore della Nasa. Ma come dimostrano i test di Starship le incognite sono ancora numerose.
Poche ore prima del test di SpaceX si era verificato un altro evento storico. Al mattino la Blue Origin di Jeff Bezos, il proprietario di Amazon, aveva effettuato il primo lancio del razzo New Glenn da Cape Canaveral, in Florida. È un bestione lungo quasi centro metri progettato per portare in orbita satelliti e astronauti e, come i razzi di Musk, essere riutilizzato fino a 25 volte.
Anche questo è stato un successo parziale: lo stadio superiore ha raggiunto l’orbita prestabilita, mentre l’altro modulo, il razzo vero e proprio, non è riuscito ad atterrare sulla piattaforma Jacklyn al largo dell’Atlantico ed è andato perduto. Però il lancio del New Glenn segna l’ingresso della Blue Origin nel mercato dei lanciatori riutilizzabili, in diretta concorrenza con la SpaceX di Musk che si è elegantemente congratulato con il collega-rivale (ricambiato).
Anche Bezos punta a diventare un partner privilegiato della Nasa e delle altre agenzie spaziali e ci sta riuscendo. Nel 2024, la Nasa ha affidato alla Blue Origin la realizzazione del modulo di allunaggio che sarà utilizzato nella missione Artemis 5, che non partirà prima del 2030.
Bezos sta percorrendo con qualche anno di ritardo la strada di Elon Musk nella space economy anche nel settore delle telecomunicazioni satellitari. A partire dal 2025, Amazon metterà in orbita i tremila mini-satelliti del progetto Kuiper con cui fornire connessione internet satellitare a banda larga. Kuiper assomiglia molto al servizio Starlink di Musk. Anche i satelliti di Amazon occuperanno l’orbita bassa (400-2000 km di distanza) intorno al pianeta. Ma volando a 500 km di quota, 100 in più rispetto a Starlink, copriranno un’area maggiore.
Per mettere in orbita i primi satelliti, Blue Origin si affiderà ai razzi di Musk, della United Launch Alliance e dell’europea Ariane. Ma in futuro il razzo New Glenn permetterà alla Blue Origin di smarcarsi dai servizi altrui. Per colmare il ritardo rispetto a Starlink, Amazon punta a integrare i servizi satellitari con quelli già offerti a una base di clienti privati larghissima agganciata con la piattaforma di e-commerce e alla clientela aziendale che usa i servizi cloud di Amazon, leader globale del settore.
Nonostante le cortesie social, la competizione Bezos-Musk è dunque destinata ad acuirsi. I primi segnali non mancano. Nel 2024 Blue Origin ha tentato di limitare il numero di voli di test di Starship, denunciando l’azienda rivale alla Federal Aviation Agency per l’impatto ambientale dei suoi lanci. In questo è spalleggiata dalle compagnie aeree che operano sull’Oceano Indiano: come ha denunciato Ben Holland, capo operativo della aerolinea australiana Quantas, spesso sono costrette a ritardare i voli di linea quando le navette di Musk rientrando in atmosfera perdono frammenti pericolosi per gli aerei. Alla fine l’ha spuntata SpaceX: dal 2025 la Starship potrà essere lanciata 25 volte l’anno, cioè cinque volte più che adesso.
Bezos e Musk però sono alleati nella guerra mondiale per le frequenze di trasmissione satellitare. I loro satelliti in orbita bassa devono rispettare limiti di potenza fissati dalla International Broadcasting Union per non disturbare le trasmissioni dei satelliti di telecomunicazione collocati sull’orbita geo-stazionaria assai più lontana, ritenuta quella più adatta allo scopo prima dell’arrivo dei due miliardari. Musk e Bezos chiedono una revisione dei limiti ma la Itu non prevede nuove decisioni in merito fino alla World Radio-communication Conference del 2031. Sotto la spinta di un miliardario vicinissimo a Donald Trump e del fondatore di un’azienda di e-commerce globale valutata in duemila miliardi di dollari, ogni limite può cadere.
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