I guru del mondo della tecnologia prima erano i ‘buoni’, ora sono ‘cattivi’: cosa � cambiato?

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Chi ha vissuto le prime fasi dell’evoluzione del settore tecnologico e informatico negli anni ’80 e ’90 ricorda qualcosa di molto diverso dall’universo tecnologico attuale. Principalmente, un’aria da pionierismo che oggi non pu� esistere pi�, e che � difficile da descrivere e spiegare ai neofiti, dove invenzioni e prodotti tecnologici introducevano sul mercato servizi e prospettive che fino a quel momento semplicemente non esistevano. Da un giorno all’altro ti potevi ritrovare tra le mani qualcosa di mai visto, realmente “senza precedenti”, in un’atmosfera di continua scoperta e mistero rispetto a tutto quello che avevi avuto tra le mani fino a quel momento.

Oggi il mondo tecnologico � di molto cambiato. L’innovazione e il fascino della scoperta non possono pi� esserci come in quegli anni: c’� comunque uno sviluppo, e ci sono settori che stanno avanzando molto velocemente come quello dell’intelligenza artificiale, ma la stragrande maggioranza dei prodotti � semplicemente un miglioramento rispetto a qualcosa che gi� c’�. E tutto questo ha conseguenze anche in altri termini: i guru e gli imprenditori del mondo tecnologico di oggi sono molto diversi da quelli del passato.

Steve Jobs, Bill Gates e, nell’universo pi� “nerd”, John Carmack o Tim Sweeney, avevano una considerazione positiva presso l’opinione pubblica, erano quasi degli “eroi”. Il loro operato sembrava avere un ruolo nel miglioramento delle vite delle persone e del loro benessere, quasi un aiuto. Ci� che fanno gli imprenditori tecnologici di oggi come Elon Musk e Mark Zuckerberg, invece, sembra nuocere alle persone comuni: sembra che queste persone pensino esclusivamente al loro arricchimento selvaggio, senza curare il modo in cui la tecnologia dovrebbe servire la gente comune o, addirittura, se per le persone sar� un bene o qualcosa di controproducente.

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Da un certo punto di vista stiamo estremizzando: soprattutto nella Silicon Valley oggi come allora si pensa quasi esclusivamente a potenziare meccanismi che servono a fare soldi in modo sconsiderato. L’arricchimento personale �, e sar� sempre, il motore che spinge l’evoluzione tecnologica. � la nostra considerazione che � cambiata, perch� la tecnologia � cambiata. Detto questo, � innegabile che Musk o Zuckerberg abbiano un approccio diverso rispetto agli imprenditori del passato. In altri termini, sono disposti a chiudere un occhio su quelle che potrebbero essere le conseguenze negative di certe tecnologie. Inoltre, sono personaggi popolari che vanno al di l� del segmento tecnologico, influendo a 360 gradi nella vita sociale e pubblica.

I media generalisti sono preoccupati che un personaggio come Musk ora voglia cos� convintamente intervenire nella sfera politica. Lo vedono come l’“inventore” delle auto elettriche, come colui che fa esperimenti sullo spazio. Ma, chi segue la tecnologia quotidianamente, sa che Musk � molto di pi�. I suoi obiettivi sono ancora pi� estremi. Con le sue aziende Musk � in procinto di introdurre sul mercato dei robot umanoidi dotati di forza fisica non indifferente e capacit� motorie avanzate, oltre che di intelligenza artificiale in grado di apprendere autonomamente e potenzialmente eseguire azioni che i loro autori originali non avrebbero nemmeno preso in considerazione.

Non si tratta di fantascienza, o di un qualcosa che vedremo in un futuro remoto. Musk ha gi� dichiarato che vuole mettere in commercio i robot basati sulla tecnologia Optimus di Tesla nei prossimi mesi, vendendoli a 20 o 30 mila dollari. In altri termini, visti i costi non cos� eccessivi, secondo i suoi piani si pu� pensare a una diffusione massiccia di soluzioni di questo tipo, e in breve tempo. Una situazione che non pu� non avere implicazioni sul piano etico o su quello politico, visto che soluzioni del genere potrebbero essere facilmente usate come armi o per azioni violente, anche in considerazione ai settori dell’hacking e della manomissione dei firmware, che sono sempre in agguato quando viene introdotta una nuova tecnologia dirompente.

Tesla Optimus

Con Neuralink, Musk sta sperimento anche metodi per intervenire informaticamente sul funzionamento del cervello, e orientare le azioni e le reazioni degli individui biologici dall’esterno. Le interfacce cervello-computer (BCI, Brain-Computer Interfaces) sono infatti in grado di rilevare i segnali elettrofisiologici generati dall�attivit� neuronale, come quelli registrati dall’elettroencefalogramma (EEG) o da dispositivi pi� invasivi che monitorano direttamente i neuroni. I segnali vengono poi elaborati da algoritmi avanzati per tradurre i pensieri o le intenzioni in comandi utilizzabili da dispositivi esterni, come computer o protesi robotiche. Allo stesso tempo, stimolazioni mirate possono essere inviate al cervello per influenzare il suo funzionamento, ad esempio mediante impulsi elettrici o magnetici, creando un canale bidirezionale che integra biologia e tecnologia. Il tutto ha ripercussioni etiche enormi, anche perch�, in realt�, Musk pu� essere considerato come la “punta dell’iceberg” di questo fenomeno.

Ogni tecnologia decantata dal mondo occidentale, e promossa con pi� o meno aggressive campagne di marketing, viene studiata, elaborata e messa a punto pi� velocemente, e in certi casi pi� efficacemente, in oriente. I cinesi, in particolare, hanno gi� pronti robot umanoidi come quelli che Tesla vuole costruire, e li commercializza gi� oggi recapitandoli prontamente nelle case dei loro clienti, a prescindere dalla parte del mondo dove risiedono.

Altro caso molto delicato � quello che ha riguardato le operazioni di pulizia etnica ai danni della minoranza etnica dei Rohingya in Myanmar nel 2016-2017, la cui responsabilit� � stata attribuita a Facebook. I Rohingya, una minoranza musulmana apolide, sono stati vittime di violenze sistematiche perpetrate principalmente dall’esercito birmano, note come Tatmadaw, e supportate da elementi della popolazione locale. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni per i diritti umani hanno descritto gli eventi come genocidio e pulizia etnica. Circa 700 mila Rohingya furono costretti a fuggire verso il Bangladesh, dove molti vivono ancora in condizioni di grave precariet� nei campi profughi.

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A quei tempi, Facebook era una delle principali fonti di informazione in Myanmar, dove molte persone accedevano a Internet esclusivamente tramite la piattaforma di propriet� di Mark Zuckerberg. Secondo diversi rapporti, tra cui uno della Missione internazionale indipendente di accertamento dei fatti delle Nazioni Unite, la piattaforma ha facilitato la diffusione di discorsi di odio, disinformazione e incitamenti alla violenza contro i Rohingya.

Facebook

I post violenti includevano affermazioni false, immagini manipolate e incitamenti espliciti all’odio contro i Rohingya, pubblicati anche da account vicini alle autorit� birmane. Gli algoritmi di Facebook, progettati per favorire l’engagement, avrebbero amplificato i contenuti pi� polarizzanti e divisivi, inclusi quelli che incitavano alla violenza contro i Rohingya.

Nel 2018, Facebook ha ammesso pubblicamente di non aver fatto abbastanza per prevenire l’uso improprio della piattaforma in Myanmar. La societ� ha dichiarato di aver investito in risorse per migliorare la moderazione dei contenuti e ha collaborato con esperti locali per comprendere meglio la situazione.

Tuttavia, le critiche alla gestione del caso restano forti. Facebook � stato citato in giudizio in diverse giurisdizioni e ha affrontato richieste di risarcimento miliardarie, con l’accusa di aver facilitato, direttamente o indirettamente, le violenze contro i Rohingya.

Come i precedenti, questo episodio evidenzia ancora una volta che la tecnologia ha un ruolo molto diverso oggi rispetto a qualche anno fa. � pi� al centro delle nostre vite e gli algoritmi determinano molto di come interpretiamo il mondo e ci� che ci circonda. Naturalmente quelli su Facebook sono solamente degli esempi, mentre un ruolo altrettanto importante viene ricoperto dagli algoritmi di Google, in principal modo con la sua piattaforma Discover.

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Non solo questi algoritmi sono determinanti, ma creano delle vere e proprie “bolle”. Discover – ma lo fanno tutti gli algoritmi alla base delle piattaforme moderne – sceglie le notizie e le informazioni da sottoporre all’attenzione degli utenti sulla base dei dati che ha su questi ultimi, ovvero sulle loro (presunte) credenze e abitudini di navigazione. Il rischio � quello di avvalorare continuamente le loro convinzioni, senza che in nessun momento venga sottoposto loro un qualche tipo di contenuto che proponga una tesi avversa, che porti a ragionare e a ricredersi sulla precedenti posizioni adottate.

Quando in redazione andiamo alla ricerca delle notizie che possono essere di maggiore interesse per i lettori, valutiamo non solo le notizie sicuramente vere ma realizziamo anche degli articoli che smentiscano notizie false che possono aver attecchito in una qualunque delle “bolle” social. Informazioni di questo tipo, infatti, vengono assiduamente ricercate sui motori di ricerca, con un volume di ricerche paragonabile a certi fatti veri. Un altro indizio che agli algoritmi non interessa la veridicit� delle informazioni, ma solo l’engagement, a rischio di creare delle “bolle” popolate da comunit� dove i concetti di vero e falso sono molto sfumati tra di loro.

Per tutti questi motivi, oggi la tecnologia � pi� fonte di inquietudine che motivo di curiosit� e di sorpresa su quello che potrebbe succedere nel prossimo futuro. Possiamo dire che la parte positiva � alle nostre spalle, mentre tutto quello che rimane � un potenziamento dalle conseguenze molto oscure. Questo non vuol dire che i meccanismi capitalistici fossero meno presenti negli anni ’80, ’90 o 2000, anzi c’erano esattamente come ci sono oggi.

Si potrebbe pensare al cosiddetto concetto di “Paypal Mafia”. un termine informale che si riferisce a un gruppo di ex dipendenti e fondatori di PayPal che hanno continuato a fondare o dirigere alcune delle aziende tecnologiche pi� influenti del mondo dopo aver lasciato la societ�. Il nome, originariamente usato in modo scherzoso, � stato poi popolarizzato da un articolo di Fortune Magazine nel 2007, che ritraeva alcuni membri vestiti in stile mafioso per un servizio fotografico.

Paypal

Il termine sottolinea sia il legame personale tra i membri, che spesso hanno collaborato tra loro nei loro progetti successivi, sia il loro straordinario successo collettivo nella Silicon Valley. PayPal, fondata nel 1998 e acquisita da eBay nel 2002 per 1,5 miliardi di dollari, ha rappresentato un trampolino di lancio per molti dei suoi protagonisti.

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Qualche nome della Paypal Mafia? Peter Thiel, cofondatore di PayPal e uno dei primi investitori in Facebook. Ha fondato Palantir Technologies e Founders Fund, un fondo di venture capital. Max Levchin, cofondatore di PayPal e fondatore di Affirm, una fintech focalizzata sui pagamenti rateali. Reid Hoffman, membro del consiglio di PayPal, successivamente fondatore di LinkedIn, una delle piattaforme di networking professionale pi� grandi al mondo. Steve Chen, Chad Hurley e Jawed Karim, ex dipendenti di PayPal che hanno cofondato YouTube, venduta a Google per 1,65 miliardi di dollari nel 2006. David Sacks, ex COO di PayPal, ha successivamente fondato Yammer, venduta a Microsoft per 1,2 miliardi di dollari. Jeremy Stoppelman, ex vicepresidente del product management di PayPal, cofondatore e CEO di Yelp. E ovviamente Elon Musk, anche lui tra i fondatori di Paypal.

La PayPal Mafia � accreditata per aver plasmato l’ecosistema tecnologico moderno. Le aziende fondate da questi individui hanno avuto un impatto enorme su settori come i social media, i trasporti, l’energia sostenibile, i pagamenti online e l’intelligenza artificiale.

Il gruppo � spesso citato come un esempio di come un ambiente di lavoro ad alta intensit� e un network forte possano generare successi successivi su scala globale. La loro storia � considerata un caso di studio su come una cultura aziendale orientata all’innovazione possa produrre talenti che continuano a ridefinire intere industrie.

Qualche anno dopo, il motto originale di Google, �Don�t be evil�, rappresentava una visione che sembrava voler ancorare l’innovazione tecnologica a un principio etico. Nel 2015, quel motto � stato silenziosamente abbandonato, sostituito da un pi� neutro �Do the right thing� � un cambiamento simbolico che riflette un problema ben pi� ampio: in un mondo in cui il profitto e la supremazia tecnologica prevalgono, il posto dell�etica appare sempre pi� marginale.

A questo si aggiunge il fatto che la tecnologia � sempre pi� pervasiva, nelle nostre idee e anche all’interno del nostro corpo. Inoltre, l�odierno sviluppo tecnologico avanza a una velocit� vertiginosa. Non si fa in tempo a stupirsi di un�innovazione che subito arriva un miglioramento, lasciando poco spazio alla riflessione su implicazioni e conseguenze. Dalle intelligenze artificiali che scrivono codici e dipingono quadri, ai dispositivi che cancellano il confine tra fisico e digitale, il ritmo di questo progresso sembra sottrarci la possibilit� di capire se ci� che stiamo creando sia effettivamente qualcosa di cui abbiamo bisogno.

A tutto questo si aggiungono complesse dinamiche geopolitiche. Gli Stati Uniti e la Cina sono impegnati in una guerra fredda tecnologica, dove 5G, semiconduttori e intelligenza artificiale rappresentano i nuovi campi di battaglia. In mezzo, l�Unione Europea fatica a trovare il suo ruolo: spesso si presenta come regolatrice, cercando di bilanciare innovazione e protezione dei diritti, ma rischia di rimanere spettatrice in un mondo dove chi domina la tecnologia, domina il futuro.

Infine, le implicazioni etiche di questa corsa non sono mai state cos� evidenti. Dalle tecnologie di sorveglianza alle manipolazioni algoritmiche, l�idea di un progresso �neutrale� non esiste pi�. La tecnologia non � solo uno strumento: � un�estensione delle nostre decisioni, del nostro potere e delle nostre intenzioni. Se non affrontiamo questa realt�, rischiamo di trovarci schiavi di un sistema che noi stessi abbiamo creato, incapaci di distinguerne i benefici dai pericoli.

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La domanda che rimane � semplice e complessa allo stesso tempo: siamo pronti a guidare questa evoluzione, o la velocit� del progresso ci render� irrimediabilmente spettatori? E, conseguentemente, dobbiamo fidarci di chi sta guidando questo processo?



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