I Virtuosi Italiani portano a Verona la magia di Rimskij-Korsakov e Stravinskij: tra tradizione, innovazione e applausi

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(di Giani Schicchi) I Virtuosi Italiani si uniscono al festival “Mozart a Verona” e come contributo offrono l’opera da camera in due scene “Mozart e Salieri” (1898) di Rimskj –Korsakov, mai data a Verona. Aggiungono poi in apertura il conosciutissimo spettacolo “L’ Histoire du soldat” dell’altro russo Stravinskij, già visto in più occasioni, potendo contare sull’ apporto di Luigi Maio consumato musicattore che del ruolo è oggi il massimo interprete.    

Il singolare spettacolo ideato da Stravinskij, unitamente a Ramuz autore del testo, avrebbe dovuto avere come destinazione una sorta di teatrino ambulante, trasportabile facilmente da una località all’altra e senza escludere i paesi più piccoli. L’idea si dimostrò irrealizzabile e così il soldato a cui il diavolo sottrae il violino – nell’ansia di riaverlo segue lo spirito maligno per tre anni convinto di farlo per soli tre giorni e così ritrova la sua innamorata sposata ad un altro e già con due marmocchi – deve ammettere con amarezza la definitiva vittoria del diavolo.

L’operina fu restituita alla cornice colta e raffinata per la quale, malgrado tutti i progetti diversamente orientati, era di fatto votata. Benché il racconto sia tratto da un libro di storie popolari russe, molto noto, Stravinskij rinuncia ad utilizzare melodie di origine folclorico, dando così inizio ad un periodo di travaglio creativo che di lì a poco sarebbe sfociato nel neoclassicismo dichiarato del suo Ottetto per fiati.

Conto e carta

difficile da pignorare

 

La struttura del pezzo è rigidamente a pezzi chiusi e alterna marce, intermezzi per violino (con cui Alberto Martini ha avuto il suo gran da fare), danze, corale e così via. Il materiale tematico, composito in origine, ma sottoposto ad un rigoroso processo di stilizzazione, alla secchezza ironica, giunge ad un risultato musicale di notevole purezza costruttiva e insieme di acuto pessimismo, polemicamente estraneo ad ogni marcato psicologismo e ad ogni concessione sentimentale.

Il soldato non è visto solo come vittima di una crudele oppressione (siamo nel 1918 e l’attualità di un simile argomento è ovvia), ma soprattutto come emblema di una tragica condizione umana, di una visione radicalmente pessimistica dell’esistenza. Come i protagonisti del teatro stravinskiano, da Edipo al Libertino, il soldato non può disporre del proprio destino e le sue scelte sono comunque destinate alla disfatta.

Rimarchevole nel brano è l’influsso del jazz, conosciuto da Stravinskij attraverso le testimonianze del direttore Ernst Ansermet – che lo aveva reso compartecipe della sua esperienza americana – facendogli ascoltare molti dischi d’influsso esteso a quello prescelto: clarinetto, fagotto, cornetta, violino, trombone, contrabbasso e batteria.

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Intonatissimi, lucidi, puliti, i sette esecutori de I Virtuosi, capitanati da Alberto Martini, in una esecuzione scoppiettante, tagliente, tecnicamente esigente. Mentre Luigi Maio si è sempre superato nel doppio ruolo soldato-diavolo, con una recitazione brillante, frizzante, impegnativa. anche atleticamente. Ma nella sua recita perché non intravvedere anche riferimenti al mito di Faust, oggetto di una dolorosa irrisione pur se estraneo al mondo della fiaba russa? Grandi le ovazioni del pubblico al suo indirizzo al termine di una recitazione a tratti davvero incontenibile.  

I Virtuosi Italiani (rinforzati negli archi e con l’aggiunta di alcuni fiati) hanno affrontato, nella ripresa, l’operina di Rimski-Korsakov che ripercorre la vicenda legata al supposto avvelenamento di Mozart da parte di Salieri. Musicalmente non si tratta di una partitura da lasciare il segno, ma contiene tutto il Rimski Kosakov che conosciamo: la fascinazione per la dimensione popolare ed etnografica, una inventiva melodica continua, sorgiva, colma di quella sottile melanconia tipica della musica russa, appoggiata ad uno strumentale di perfetto equilibrio: sicuramente meritevole di essere riascoltata. Vi si riconoscono incipit da arie mozartiane (Don Giovanni, Nozze di Figaro, persino frammenti dal Requiem), in un’ironica parodia che subisce al termine una svolta verso toni più cupi.

Il direttore Oleg Caetani ne sceglie una lettura sfumata ed acquerellata che guarda più all’Ottocento che ad una nettezza stravinskiana. Ma questo non vuol certo dire che abbia rinunciato alla punta secca dei ritmi, all’incisività dei colori, al fraseggio sempre vario e sferzante.

Fra gli interpreti in costume, Gianfranco Montresor è un Salieri di grande presenza teatrale, ma anche vocalmente imponente, sempre preciso nel rispetto della scrittura vocale. Il tenore David Esteban è un Mozart non sempre perfetto, ma vario, appassionato, coinvolgente. Serata che ha richiamato un bel pubblico, salutata da estesi e cordiali consensi.

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