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La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 44240 depositata il 3 dicembre 2024, intervenendo in tema di sequestro “per equivalente” finalizzato alla confisca, ha riaffermato il principio secondo cui è “ravvisabile una violazione di legge nelle modalità esecutive del sequestro che ha attinto crediti presenti nel Cassetto Fiscale della ricorrente maturati per attività per le quali non è emersa la illiceità per un ammontare superiore alla differenza (a questo punto da accertare nell’attualità) tra il profitto del reato ancora presente nel Cassetto Fiscale della società e ripartito pro quota fino al 2030 e l’ammontare complessivo dell’importo sequestrabile.
Detta violazione di legge si ripercuote anche sull’ordinanza impugnata nella parte in cui nel respingere l’appello ex art. 322-bis cod. proc. pen. ha convalidato le modalità esecutive del sequestro. “
La vicenda ha riguardato una società nei cui confronti il GIP nell’ambito del procedimento penale a carico del legale rappresentante della società ed altri, disponeva, tra l’altro, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del credito di imposta nella disponibilità della società in quanto ritenuto profitto dell’illecito amministrativo ex d.lgs. n. 231/2001 derivante dal reato di truffa in danno dello Stato ai sensi dell’art. 640, comma 2, n. 1, cod. pen. L’Agenzia delle Entrate sottoponeva a sequestro crediti del portafoglio della società parzialmente diversi da quelli ritenuti profitto di reato fino all’ammontare della somma indicata. La società proponeva istanza al pubblico ministero affinché disponesse la modifica dell’esecuzione del sequestro preventivo rappresentando che. in sede di esecuzione del provvedimento, l’Agenzia delle Entrate aveva per errore eseguito il sequestro vincolando crediti diversi da quelli indicati nel provvedimento cautelare e chiedeva, per l’effetto, che la misura venisse eseguita sugli effettivi crediti oggetto di sequestro. Il pubblico ministero rigettava l’istanza ed avverso tale decisione veniva proposto incidente di esecuzione innanzi al G.i.p. il quale rigettava la richiesta argomentando che nel dispositivo del provvedimento cautelare il credito da sottoporre a vincolo è indicato solo in base al suo importo senza ulteriori limiti o specificazioni e tantomeno qualificazioni in termini di profitto del reato, nonché osservando che ogni questione inerente la presunta non pertinenza dell’oggetto colpito dalla esecuzione rispetto a quello oggetto del sequestro doveva essere esposta in sede di riesame cui, invece, la parte, pur avendo promosso il relativo giudizio, aveva rinunciato rendendo in tal modo definitivo il provvedimento. La società proponeva ricorso per cassazione per violazione di legge per inosservanza ed erronea applicazione degli 19 e 53 del d.lgs. n. 231/2001.
I giudici di legittimità annullavano l’ordinanza impugnata e rinviano per nuovo giudizio al Tribunale.
Gli Ermellini evidenziano che nell’ordinanza impugnata, ” e dato anche per assodato della difesa della ricorrente che detto credito di imposta – come detto “profitto” del reato – è stato inserito nel Cassetto Fiscale della società e può essere portato in detrazione dalla stessa (o dagli eventuali cessionari di detto credito) in dieci annualità fino all’anno 2030.
Pacifico è poi anche il fatto che nel caso in esame, per effetto del combinato disposto degli artt. 640-quater e 322-ter cod. pen., può legittimamente essere ordinato il sequestro preventivo ai fini di confisca del prezzo o del profitto del reato e che, ai sensi dell’art. 53 del d.lgs. 231/2001, il giudice può disporre nei confronti dell’Ente «il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’art. 19».
Infine, è doveroso ricordare che il richiamato art. 19 del d.lgs. 231/2001 prescrive al comma 1 che «Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede» ed aggiunge, poi, al comma 2, che «Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato>>. “
Il Supremo consesso precisano che ” il sequestro “per equivalente” finalizzato alla confisca può essere disposto solo se «non è possibile» eseguire la confisca “diretta” di cui all’art. 19, comma 1.
Traslando detti principi nel caso in esame, il corretto modus operandi dell’Agenzia delle Entrate per l’esecuzione del sequestro avrebbe dovuto seguire il seguente iter:
- accertamento della presenza nel cassetto fiscale dell’odierna ricorrente dei crediti di imposta ricollegabili all’azione delittuosa de qua come ripartiti nelle dieci annualità ed individuabili in base allo specifico codice tributo;
- sequestro “diretto” di detti crediti di imposta pro-quota nelle relative annualità;
- sequestro “per equivalente” di altri crediti di imposta o di altre utilità della società solo per l’importo attualmente non più sequestrabile in via “diretta” trattandosi di crediti già “goduti” e relativi alle annualità trascorse il cui ammontare è determinabile attraverso il semplice calcolo matematico concernente la differenza tra la somma complessiva di 785.489,00 euro e l’ammontare dei crediti di imposta legati al reato ancora presenti nel Cassetto Fiscale fino al 2030. “
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