Affitto, fisco e patrimonio immobiliare: come affrontare l’emergenza abitativa

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Nella grande trasformazione che viviamo sta cambiando radicalmente il modo di abitare, i tipi, le taglie e i calendari delle “famiglie”, la mobilità delle persone e le aspettative di spazio vitale, tutto diviene più fluido, aumenta il lavoro povero. D’altra parte pesano le inerzie di un patrimonio in genere poco rinnovato, costruito secondo vecchi standard spaziali e aumentano le inerzie dei proprietari che in Italia, in gran parte, non sono gestori di grandi quantità di alloggi e che sono meno disposti ad offrire la case in fitto.

La domanda di abitazioni quindi è molto più articolata degli anni Settanta. Nel contempo aumentano gli anziani soli che abitano in case grandi per loro e aumenta il numero di adulti che vivono da soli. Il capitalismo si alimenta della grande individualizzazione che comporta una crescita dei consumi e degli sprechi. Sono ancora pochissime le esperienze di convivenza, di co-housing anche misti per tipi di persone, mentre è evidente il bisogno di favorire in ogni modo questi modi di abitare nuovi per l’Italia.

Il modello italiano 

Negli ultimi 50 anni, a parte qualche caso tipo i ventimila alloggi del dopoterremoto negli anni Ottanta a Napoli, non sono stati costruiti quantità significative di alloggi popolari mentre sono state vendute ampie quantità di case – anche degli enti previdenziali – costruite per tale funzione e una parte dei vecchi inquilini subisce dai nuovi proprietari sfratti per finita locazione.

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La gestione e le assegnazioni delle case popolari sono inefficaci, soprattutto per mancanza di soldi e per non mettere le mani in questioni spinose. La mancata manutenzione degli alloggi pubblici determina un mancato uso di circa il dieci per cento di tale patrimonio.

L’adeguamento alle nuove condizioni è reso difficile da una questione di fondo: il modello italiano dell’abitare che dal dopoguerra ha puntato soprattutto sulla casa abitata in proprietà. Ancora oggi fra i costi dei fitti e quelli dell’acquisto viene favorito l’accesso alla proprietà, socialmente sempre più selettivo.

È evidente poi che nei centri delle città d’arte l’aumento dei turisti non è stato e non è governato, sia perché servono leggi nazionali che consentano ai sindaci di porre limiti ai fitti brevi sia perché in genere non viene fatto alcun controllo sugli usi illeciti che anche dal boom del turismo trovano occasioni di speculazione. Questo anche per non infastidire i gestori delle attività che guadagnano bene con l’overtourism.

La crisi più evidente è nelle aree centrali o semicentrali delle grandi città. Mentre in aree interne cresce il numero di alloggi abbandonati o lungamente inutilizzati, nelle grandi città si arriva a cifre di fitto mensile fra i 10 e i 18 euro a metro quadro.

In generale è cresciuto il peso dei costi dell’affitto sui redditi delle famiglie. Nel ceto medio una separazione può spesso implicare uno scivolamento in condizioni di povertà abitativa. Nei ceti popolari la separazione o la perdita del lavoro è causa sicura di povertà.

Contraddizioni fra domanda e offerta

Da un lato ci sono gli sfrattati ed altri singoli e nuclei che chiedono di abitare in città ma non trovano alloggi a prezzi sostenibili. Una variegata popolazione di persone e nuclei in grave disagio abitativo, da componenti del ceto medio sino ai protagonisti di una sorta di esercito residenziale di riserva (homeless, persone Rom nei campi, occupanti di alloggi, migranti conviventi stipati in piccole case) che si contendono le quote di patrimonio meno appetibili o le insufficienti offerte dei servizi.

In Italia ci sono 320mila famiglie nelle graduatorie in attesa (anche da dieci anni) di una casa popolare che risultano aventi diritto: un milione di persone! Roma – anche per la sua ampiezza – è capitale degli sfratti 2.058 eseguiti nel 2023, in media quasi sei sfratti al giorno. Il fenomeno è grave anche a Torino quasi cinque e Napoli 2,7 sfratti al giorno, e in percentuale al numero complessivo di abitanti anche in città con buon tenore di vita come Mantova. Prevale la causa della morosità anche se come motivo cresce la finita locazione.

D’altro lato ci sono case non utilizzate o perché sono da ristrutturare (quelle di proprietà pubblica) o perché i proprietari ritengono poco conveniente offrirle in fitto e nessuna seria politica tratta questi problemi.

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Sullo sfondo, con un patrimonio costruito in media molti anni fa, anche se vi sono stati processi di frazionamento degli alloggi, abbiamo in gran parte un patrimonio riferito ai modelli di vita del Novecento e una varietà della domanda che richiede case di varia ampiezza, idonea anche per nuovi modi di abitare. Cresce poi la domanda da parte di nuovi tipi di abitanti (studenti e giovani lavoratori trasferiti, pendolari, immigrati, single) ed evidentemente la diffusione degli alloggi gestiti dalle piattaforme per i fitti brevi complica ancora di più la divisione sociale dello spazio.

Nelle città del sud ove è più ampio un patrimonio vetusto diffusamente presente anche nei centri storici, proprio le condizioni di degrado limitano l’attrattività di queste case per i benestanti come per il ceto medio consentendo una maggiore presenza di ceti popolari di italiani e stranieri.

Rispetto a tutto questo le politiche locali per offrire alloggi o sistemazioni provvisorie per homeless, senzatetto, sfrattati, o exdetenuti, o persone con vari disagi di salute che potrebbero vivere meglio in autonomia abitativa, sono molto deboli, sottofinanziate in diverse città di fatto inesistenti.

I dilemmi giubilari 

Che fare nell’anno giubilare? Vanno evitate costruzioni di nuovi quartieri dormitorio ove concentrare le famiglie in difficoltà. Quando ai costruttori si danno permessi per ristrutturare o edificare alloggi bisogna chiedere loro di concederne come alloggi popolari una parte a prezzo realmente calmierato e per sempre. Anche per gli studentati vanno garantiti prezzi sostenibili non solo per brevi periodi.

Sullo sfondo va detto che il problema della casa si tratta efficacemente anche con buone politiche della mobilità, dei trasporti. Non potremo mai stare tutti nei centri urbani. Servono politiche eque, evitando espulsioni e tutelando la presenza di vari ceti e attività ma con buoni trasporti pubblici si può vivere civilmente ad un ora dal centro, liberando le città dalle auto private. La stessa prospettiva della post car city è ancora avversata da leader politici e anche in città ove la qualità della vita è superiore alla media, gli Amministratori fanno fatica a far cambiare le abitudini degli automobilisti.

Ma nelle città abbiamo anche tanti contenitori inutilizzati, ex conventi, ex caserme, ex ospedali che vanno ristrutturati come luoghi per abitanti provvisori e non, come piccoli co-housing e condomini solidali.

Una fiscalità nuova

In conclusione, per affrontare in modo sostantivo non occasionale la reale esigibilità dei diritti all’abitare contrastando le dinamiche di riproduzione e ampliamento delle disuguaglianze, sullo sfondo va riformulato il patto sociale del paese, in coerenza con una misura madre di molte indispensabili politiche: far pagare le tasse a chi non le paga, stabilire una tassa di successione equa, esigendo contributi maggiori a tanti che hanno patrimoni e redditi ragguardevoli che in molti casi sono stati costituiti anche grazie a diffuse pratiche di evasione, elusione o quanto meno iniquità fiscale.

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In una famosa lettera pastorale del 1973 l’abate Giovanni Franzoni sosteneva che la terra è di Dio.  Un monito da attualizzare nell’anno giubilare. In generale per avere cura del patrimonio culturale e spaziale delle città italiane servono politiche che tutelino e favoriscano la prossimità e la varietà di ceti, popolazioni e funzioni. Come hanno sempre saputo gli urbanisti: il mercato da solo è inefficace quanto iniquo, garantendo ben poco la cura di valori durevoli del territorio.

In generale serve una strategia nazionale per il diritto all’abitare con un nuovo innovativo piano nazionale per la casa. Vanno rifinanziate le manutenzioni degli alloggi popolari, le agenzie per la casa, i contributi all’affitto e per la morosità incolpevole.

Per tutto questo servono cospicue risorse e quindi anche per la casa è necessario: stabilire una nuova fiscalità, ripristinando una equa tassa sulla prima casa destinando gli introiti a politiche di contrasto del disagio abitativo; stabilire una equa tassazione delle successioni, a livelli di altri paesi civili; favorire in ogni modo realizzazioni di co-housing; rendere sconveniente il non uso delle case ai proprietari; calmierare i costi di costruzione.

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