Brescia, 18 gennaio 2025, manifestazione-presidio davanti alla Questura

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Promossa da CSA Magazzino 47, Collettivo Onda studentesca, Associazione Diritti per tutti, Palestina Libera e Ultima Generazione, la manifestazione di protesta ha visto la presenza anche di alcuni giovani di Extinction Rebellion coinvolti nei fatti del 13 gennaio.

Ad attendere i manifestanti, due-tre schieramenti della Celere ai lati e davanti alla Questura, un parallelepipedo che svetta alto a guardare uno spiazzo antistante che ben presto si riempie di persone in gruppo, sciolte, o raccolte intorno a striscioni, bandiere e cartelli.

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E’ una manifestazione non proprio uguale a quelle che da molti mesi animano piazze e vie di tante città italiane e non, sia pur a queste collegata: stavolta in ballo c’è una protesta che tocca corde intime delle persone contro cui si è abbattuta la repressione. Una sorta di avvisaglia del DDL1160 (ora al Senato con il numero 1236 ) o già una sua applicazione?

Come ci ricorda un’attivista dei gruppi promotori, “il reato” in questione è un blocco pacifico tenutosi il 13 gennaio scorso, una catena umana formata da una ventina di attivisti di Extinction Rebellion a Brescia, davanti alla Leonardo, fabbrica d’armi italiana controllata per il 33% dal Ministero dell’Economia e Finanza complice dei maggiori conflitti e crimini di guerra in mezzo mondo, tra cui il genocidio del popolo palestinese. Questo avviene attraverso la vendita di tecnologie belliche all’esercito israeliano che da 15 mesi sta occupando i territori palestinesi nelle forme brutali cui la resa mediatica del genocidio ci ha permesso nostro malgrado di assistere.

Dunque il criminale non è chi compie i massacri, ma chi in forma pacifica porta all’attenzione quello che si sta consumando in Palestina. E così da più di un anno chi denuncia i crimini è preso a manganellate, denunciato e fermato.

Persone fermate, perquisite, denudate, umiliate; 23 denunce, 17 fogli di via agli attivisti di Extinction Rebellion per l’azione nonviolenta davanti alla Leonardo, che, come ricorda Grimaldi di Alleanza Verdi-Sinistra in un’interrogazione parlamentare depositata qualche giorno fa, non ha causato danni né a cose né a persone. Issare una bandiera palestinese, verniciare di rosso una striscia di suolo davanti alla fabbrica per ricordare il sangue dei massacri prodotti da armi italiane può essere catalogato come un crimine? Stesso peso? Stessa misura? Questa è la domanda che si percepisce fluttuare tra le scritte, gli interventi, la rabbia.

L’azione nonviolenta di gandhiana memoria si era conclusa con gli attivisti portati via di peso dai poliziotti. E’ nel conto che la resistenza passiva possa concludersi con dei fermi e con il controllo dei documenti, ma anche con il trattenimento in Questura per sette ore?

E soprattutto c’è qualcos’altro che proprio non torna: le perquisizioni-ispezioni riservate alle ragazze e solo a loro, nei locali della Questura, che vedono impegnate delle poliziotte a intimare alle attiviste di spogliarsi completamente e a ordinare loro di fare delle flessioni sulle gambe. Non torna il divieto per ore di ogni contatto con l’esterno per un tempo che non ti è dato sapere, il sequestro di assorbenti e medicine, mentre con la porta aperta del bagno ti osservano mentre fai i tuoi bisogni.

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“Anche solo chi passava e guardava”, come racconta una delle attiviste di Extinction Rebellion, “veniva minacciato di subire il duro pugno della giustizia. Giustizia che con l’alibi di lottare contro il crimine perpetua crimini ancora peggiori.”

Quale logica collega questi abusi a un’azione nonviolenta condotta alla luce del sole, senza ambiguità, come quella sopra descritta?” Le “ispettrici” che cosa si aspettavano mai di trovare di tanto pericoloso, nascosto non sotto i vestiti, ma financo nel corpo stesso delle ragazze? Difficile trovare alcun tipo di giustificazione, alcun tipo di relazione logica se non un palesarsi di puro sadismo, teso a umiliare, a scoraggiare, a intimidire.

Non ha funzionato, però, come ben sottolinea uno dei promotori del presidio, dal momento che le attiviste esprimono a chiare lettere l’intenzione di continuare a manifestare contro l’emergenza climatica e contro gli squilibri economici e le politiche razziste che privilegiano pochi e opprimono i più. Oltre alla pubblica denuncia degli abusi subiti, intendono portare la questione davanti alla Magistratura.

La voce di protesta si è alzata forte e chiara anche da parte della Rete dei Centri anti-violenza, che “riconosce in questi fatti gravi violazioni dei diritti umani e un uso strumentale della violenza di genere come forma di controllo sociale e di repressione, tanto più inaccettabile in un Paese democratico che si impegna almeno formalmente a contrastare ogni forma di violenza contro le donne. Ma se tali presupposti vengono disattesi, se i primi ad umiliare, a negare la dignità, a ledere i diritti fondamentali (nella fattispecie vedi art. 13 della nostra Costituzione) sono gli stessi organi che dovrebbero garantirli, come possiamo aver fiducia nelle Forze dell’Ordine quando decidiamo di denunciare una violenza, quando sappiamo che ci troviamo di fronte a un sistema di potere disposto a criminalizzare le marginalità e chiunque scelga di non soccombere alla perdita della propria dignità?”

Un’inquietante perplessità si stende anche sugli abusi dapprima negati dalle Forze dell’Ordine e poi ammessi, per poi essere definiti una “prassi normale” dal Ministro degli Interni Piantedosi.

Prassi normale spogliare e umiliare in questo caso solo donne?

Prassi normale il genocidio?

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Prassi normale produrre armi per sostenerlo?

Prassi normale considerare eco-terroristi dei giovani nonviolenti che rischiano di persona e bandirli per molti mesi dalla città come socialmente pericolosi?

Dopo circa due ore, mentre il presidio si sfilaccia lentamente, ciò che continua a risuonare come un’eco che non si dilegua è una frase quasi programmatica rimbalzata dalle parole di chi è intervenuto, che riassume il senso di tutta l’iniziativa: “Non lasciamo sola/o chi protesta, chi si batte per la propria dignità e per quella degli altri. Si va e si torna insieme”

Vedere questo è risvegliare la propria coscienza all’obbligo dell’indignazione. Non può essere acqua fresca che ci lasciamo scorrere addosso. La protesta ha il sapore della denuncia e della solidarietà, che procedono strette insieme in questi tempi dove si cercano bagliori di unità nella giustizia.

 

 

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