La Verginità di Maria – Il testo del video

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Anche questa Ora di dottrina, come la precedente, è dedicata a Maria Santissima. In particolare, questa volta ci focalizzeremo sulla verginità di Maria Santissima o, meglio, sulla sua verginità perpetua, da cui il titolo di “sempre Vergine Maria”. Questa verità della nostra fede è stata messa in discussione fin dal I secolo dopo Cristo. Più di recente è stata messa in discussione per il suo aspetto, potremmo dire, “incompatibile” con la conoscenza scientifica: com’è possibile concepire un uomo senza l’intervento del seme maschile? Com’è possibile rimanere vergine avendo partorito? E ancora, la sua verginità perpetua è stata messa in discussione per una non benintesa concezione della bontà del matrimonio, per cui alcuni autori dicono che in fondo questa affermazione di Maria sempre vergine, quindi vergine anche dopo il concepimento del Signore, è frutto di una visione sostanzialmente negativa del matrimonio e delle nozze, che andrebbe in qualche modo superata.


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Quali che siano le argomentazioni, c’è un po’ questa linea di tendenza di contrapporre il fatto della verginità perpetua all’interpretazione. Mi spiego: si tratta della posizione del “fatto storico vs teologumeno”. Questi autori in sostanza dicono: a noi in fondo interessa poco sapere il dato storico e dunque ancor meno il dato fisiologico della verginità della Madonna; a noi interessa invece mantenere il suo contenuto teologico, che può sussistere e rimanere nella sua integralità senza necessariamente doverci scomodare ad affermare una verginità perpetua reale, fisica, storica della Santissima Vergine. Questa posizione è figlia della tensione ancora più radicale tra il Cristo storico, inaccessibile, e il Cristo della fede. Si tratta dei ritornelli che ancora oggi ci sentiamo dire, anche da alcuni nostri pastori, secondo cui non è importante il dato storico che ci viene dato dai Vangeli, ma è importante il loro contenuto teologico. È una sorta di netta separazione, se non addirittura di contraddizione, tra questi due aspetti. È un tema, questo, che ho trattato nell’ultimo libro che la Nuova Bussola ha pubblicato: Si è fatto carne. Rapporto sulla storicità dei Vangeli.


Il dato dogmatico che ci viene insegnato dalla Chiesa non conosce questa dicotomia tra fatto storico e teologia. Il che non significa che la Chiesa non distingua, cioè che non veda un elemento teologico in un dato storico, ma appunto lo vede nella realtà storica, non a prescindere dalla realtà storica. Il testo di riferimento è quello del Sinodo Lateranense del 649. Un Sinodo che non fu un concilio ecumenico, ma i cui atti vennero recepiti e approvati da papa Martino I e quindi entrano a tutti gli effetti a far parte del magistero della Chiesa. Il tenore del testo, trattandosi di canoni di condanna di eresie, ci fa capire che si tratta della volontà di chiudere una questione, di definire propriamente un dogma e di escludere il relativo errore.


Dunque, vediamo questo testo. Sono due canoni, che nel Denzinger si trovano ai nn. 502-503. Il primo dice: «Se qualcuno non professa che secondo i santi Padri in senso proprio e veracemente che lo stesso Dio Verbo, uno della Trinità Santa e consustanziale e venerata, è disceso dai cieli, s’incarnò dallo Spirito Santo e da Maria la sempre vergine, tutta santa, divenne uomo, […] sia condannato». In questo testo troviamo la terminologia «sempre vergine», a indicare la verginità che precede il concepimento, caratterizza il concepimento e il parto, che sono dunque verginali, e una verginità custodita per tutta la vita della Vergine anche dopo il parto. Questo è il senso di questa espressione “sempre vergine.


Nel canone successivo, il terzo, viene specificato proprio questo: «Se qualcuno non professa, secondo i santi Padri, in senso proprio e veramente genitrice di Dio la santa sempre vergine e intatta Maria, giacché ella, in senso proprio e veracemente, negli ultimi tempi, ha concepito senza seme dallo Spirito Santo e senza corruzione generò Dio, il Verbo stesso, che prima di tutti i tempi fu generato da Dio il Padre, e anche dopo il parto rimase la sua verginità, sia condannato».


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Nel suddetto canone abbiamo dunque il concepimento verginale, la generazione senza corruzione (quindi il parto verginale), e ancora «dopo il parto rimase la sua verginità». Ci troviamo di fronte a un testo che non è, per così dire, un fulmine a ciel sereno nella tradizione e nella dottrina della Chiesa.


Una piccola premessa. Nei testi antecedenti i canoni del Sinodo Lateranense del 649 che abbiamo letto, a volte troviamo espressa, sottolineata la verginità del concepimento, a volte quella del parto, a volte quella dopo il parto, a volte due membri del discorso; i testi che vi ho letto sono invece quelli più completi. Per esempio, c’è una lettera di papa san Leone Magno a Giuliano di Cos, una lettera ricchissima di dogmi, in cui viene ribadita la verginità della Madonna: «La nascita del Signore secondo la carne […], sebbene abbia peculiarità che le fanno trascendere gli inizi della condizione umana, sia perché Egli solo è stato concepito ed è nato senza concupiscenza dall’inviolata Vergine sia perché è uscito dall’utero della madre in modo che sia la fecondità partorisse sia la verginità rimanesse intatta […]» (Denzinger, 299); è un testo lungo, ma già in questa parte vediamo che si parla del concepimento senza concupiscenza per opera dello Spirito Santo dall’inviolata Vergine e dell’uscita dalla Madre in modo tale che, secondo questa bellissima espressione, «sia la fecondità partorisse sia la verginità rimanesse intatta». Quindi, un parto che non ha leso la verginità, ed è una verginità che non è rimasta sterile, ma ha partorito.


Ancora, al n. 368 del Denzinger troviamo un’affermazione di papa Ormisda in una lettera all’imperatore Giustino, sempre in riferimento all’Incarnazione del Verbo: «È proprio poi del Figlio di Dio che negli ultimi tempi il Verbo divenisse carne e abitasse tra noi, essendo state unite nel grembo della Santa Vergine Maria, genitrice di Dio, ambedue le nature, senza confusione alcuna, […] aprendo nella nascita il grembo materno ma non infrangendo in forza della divinità la verginità della Madre». Vediamo qui un riferimento esplicito al parto verginale: il Verbo, partorito dalla Madre, non lede l’integrità; evidentemente il riferimento è all’integrità fisica, pur non essendo esclusivo dell’integrità fisica.


Ancora, è interessante la lettera Humani Generis (da non confondere con l’enciclica di papa Pio XII) di papa Pelagio I al re Childeberto I. In questa lettera (vedi il n. 442 del Denzinger), il papa dice: «Gesù Cristo è proceduto cioè è nato come vero Dio ed Egli stesso come vero uomo, conservata l’integrità della verginità materna, poiché ella lo generò rimanendo vergine così come da vergine lo aveva concepito». Dunque, la verginità del concepimento e la verginità del parto. E potremmo continuare.

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Sia prima che dopo il Sinodo Lateranense del 649 vediamo l’espressione sempre Vergine, a indicare appunto una verginità prima, durante e dopo il parto. Un testo che mi sembra importante leggere, un po’ per chiudere questa carrellata degli insegnamenti del magistero della Chiesa sulla verginità della Madonna, è la condanna che papa Pio IV fece nei confronti di una setta dell’epoca, la setta degli unitari, che tra l’altro ha una condanna relativa ad alcuni dogmi legati all’Incarnazione. La ritroviamo nel n. 1880 del Denzinger. La premessa è che alcuni affermano che «lo stesso [Gesù Cristo], secondo la carne, non è stato concepito nell’utero della Beatissima e sempre Vergine Maria in virtù dello Spirito Santo, ma, come gli altri uomini, dal seme di Giuseppe. […] O che la stessa Beatissima Vergine Maria non è vera Madre di Dio e che non ha persistito nell’integrità della verginità sempre, vale a dire prima del parto, nel parto e dopo il parto, in perpetuo»: questa, ovviamente, è l’affermazione condannata. Vediamo l’espressione, che era ormai tipica, di questo dogma: ante partum, in partu, post partum, cioè prima, durante e dopo il parto.


Questo è quello che la Chiesa ci consegna dal punto di vista del dogma relativo alla Madonna, quindi alla vera verginità perpetua: un vero concepimento verginale, un vero parto verginale, una vera perseveranza nello stato di verginità, che non ha senso ritenere puramente narrativa, descrittiva, perché non c’era bisogno di insistere così tanto su aspetti ben specifici della verginità; dunque facciamo attenzione a quelli che dicono che questi sono teologumeni che non hanno un significato storico o che ci vengono a dire che in fondo i Vangeli non ci dicono nulla sulla verginità della Madonna o che al massimo ci dicono qualche cosa del concepimento verginale, ma non della condizione di Maria sempre vergine. La Chiesa, che è colei che interpreta correttamente, alla luce di Dio, i testi della Rivelazione, ci insegna tutt’altro.


Proseguiamo occupandoci un po’ più da vicino della quæstio 28, che san Tommaso dedica alla verginità della Madonna nella III parte della Summa. San Tommaso organizza la quæstio 28 su quattro articoli: i primi tre dedicati alle tre specificazioni della verginità di Maria, quindi il suo concepimento verginale, cioè se è stata vergine nel concepimento di Cristo; se il parto è stato verginale; se ha mantenuto la verginità dopo il parto, cioè se in sostanza non ha avuto altri figli, non ha avuto alcuna relazione di tipo coniugale con san Giuseppe. L’art. 4, l’ultimo, riguarda la questione se la Madonna avesse fatto un vero e proprio voto di verginità, con riferimento particolare a quella espressione del Vangelo di Luca (1, 34) quando dice all’angelo: «Non conosco uomo».

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Andiamo con ordine: oggi ci dedichiamo all’art. 1, vedendo cosa dice san Tommaso della verginità di Maria nel concepimento del Signore. È interessante che egli, nel sed contra – dove, secondo la struttura degli articoli della Summa, san Tommaso cita un’autorità e “taglia la testa al toro” della questione –, per fondare il concepimento verginale del Signore da parte di Maria, citi la nota espressione del profeta Isaia (7, 14): «Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio». È interessante perché questa frase veterotestamentaria viene citata dall’evangelista Matteo (1, 23) proprio per indicare come il concepimento di Gesù da parte della Santissima Vergine fosse l’adempimento della profezia del profeta Isaia.


Non possiamo fare tutta una lezione su questo versetto, ma è importante toccare almeno un paio di obiezioni che sono state fatte. La prima è che in fondo il versetto indicherebbe semplicemente una vergine che concepisce e partorisce, cioè la vergine concepisce e partorisce, ma poi non è più vergine. Invece è stato fatto notare, grazie a un’analisi attenta di questa espressione, che il testo andrebbe tradotto in questo modo: la vergine concepente e partoriente. Cioè, si tratta di due participi presenti, che caratterizzano la vergine; sono come aggettivi di cui la vergine è soggetto e che dunque lasciano comprendere che ci si trova davanti a una non-mutazione dello stato verginale. Perciò, la vergine è vergine mentre concepisce ed è vergine mentre partorisce. E questa è stata la linea di lettura di tutta la Tradizione della Chiesa e dei Padri. Vedremo alcune delle ragioni di convenienza di questo concepimento verginale che san Tommaso raccoglie dalla Tradizione.


Un’altra obiezione che normalmente viene mossa è che l’ebraico con cui si rende questa vergine è almah (qualcuno potrebbe anche ricordare un noto canto, una nota antifona in latino dedicata alla Madonna, Alma Redemptoris Mater). Dunque, è stato obiettato che questo termine, almah, indicherebbe non una vergine ma una giovane donna; almah si può tradurre come vergine ma non significherebbe nient’altro che una giovane donna. In realtà non è così. È stato fatto notare che questa espressione, almah, per sette volte compare nell’Antico Testamento e per sette volte indica non semplicemente una giovane donna, ma una giovane donna vergine, ossia una donna che è ancora sotto la tutela paterna, cioè una donna che non è una giovane maritata, ma è una giovane che ancora appunto vive sotto la tutela paterna e non sotto la tutela del marito, e dunque non ha ancora conosciuto il marito (in senso biblico).


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Ancora, è interessante che sia la Settanta – cioè la traduzione della Bibbia ebraica in greco, avvenuta in ambito ebraico prima dell’avvento dell’era cristiana – che il Targum (una sorta di traduzione-commento in aramaico) parlano, in riferimento a questo passo di Isaia (7, 14), della parthenos, nel caso del greco, o della “vergine gravida”. Cioè, in entrambi i casi, c’è questa sottolineatura della verginità, non semplicemente dell’essere una giovane donna.


Vediamo adesso l’argomentazione che san Tommaso presenta nell’art. 1: «Dobbiamo assolutamente credere che la Madre di Cristo concepì in modo verginale, poiché la dottrina contraria è l’eresia degli Ebioniti e di Cerinto, che ritenevano Cristo un puro uomo, nato dall’unione dei due sessi» (III, q. 28, a. 1). Qui si fa riferimento a un’eresia molto antica che pare sia sorta con la distruzione del Tempio (70 d. C.), dove dei cristiani si distanziano dalla stessa comunità cristiana andando a negare la divinità di Cristo e dunque – tenete presente questo legame – del concepimento verginale. Perché questo “dunque”, questo legame? Perché la verginità della Madonna ha un grande orientamento alla verità cristologica, come andremo a vedere. E poi è citata l’eresia di Cerinto, anche in questo caso un’eresia, che finirà nell’ambito gnostico e che in sostanza negava la vera divinità del Signore e dunque,  la “necessità” di un concepimento miracoloso come il concepimento verginale.


San Tommaso, tagliando la questione, dice che bisogna credere al concepimento verginale, perché il contrario è un’eresia già condannata; e abbiamo il versetto di Isaia 7, 14 che ce lo dice. L’intento di san Tommaso è soprattutto quello di portare i quattro motivi di convenienza, cioè perché fosse conveniente, ragionevole, armonico il piano della Redenzione, il piano divino riguardo al concepimento verginale del Signore.


Dunque, vediamo queste quattro motivazioni. «Primo, perché fosse salvata la dignità del Padre celeste che mandava il suo Figlio nel mondo. Essendo infatti Cristo vero e naturale Figlio di Dio, non era conveniente che avesse un altro padre e che una prerogativa di Dio fosse comunicata ad altri» (ibidem). Qui san Tommaso ci sta dicendo forse la ragione più profonda; non che le altre non siano importanti, ma qui andiamo al principio, al cuore della vita trinitaria. Nella vita trinitaria, il Verbo, la seconda persona della SS. Trinità, il Figlio, ha uno e un solo Padre ed è generato solo dal Padre. Dunque, questa prerogativa divina doveva essere custodita, confermata. Il Figlio, il Verbo eterno, assumendo la carne, doveva assumere questa carne ma non da un padre; doveva rimanere questo parallelo armonico tra la generazione eterna – che ha un Padre ma non ha una madre – e la generazione terrena, che non avrà un padre, ma avrà una Madre. Da qui la formulazione che diverrà molto diffusa negli scritti della Chiesa: nato da un Padre senza una madre nell’eternità; e nato da una Madre senza un padre nel tempo.

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«Secondo [è la seconda ragione di convenienza], poiché ciò conveniva alle proprietà personali del Figlio che fu inviato nel mondo. Egli infatti è il Verbo di Dio. Ora, il Verbo viene concepito senza alterazione o corruzione della mente, anzi un’alterazione di questo genere impedisce la concezione del Verbo mentale. Poiché dunque la carne fu assunta per essere la carne del Verbo di Dio, era conveniente che anch’essa fosse concepita senza alcuna corruzione della madre» (ibidem). Dunque, se la prima ragione di convenienza “guarda” alla dignità del Padre, qui si guarda alla dignità del Figlio. Cioè, il Figlio è il Verbo, è la Parola eterna. Ora, ci dice san Tommaso: la parola è ciò che viene pronunciato senza corruzione della mente. Concepire il verbo, nel pensiero, non porta alcuna corruzione della mente.


Ora, questa sua natura di essere il Verbo, il Logos, la Parola eterna del Padre, il Figlio l’ha conservata nella modalità del concepimento e, vedremo, anche del parto. Essendo che il Verbo non provoca nessuna corruzione quando viene pronunciato dal Padre – di cui abbiamo un’analogia nel nostro concepire un verbo mentale, un pensiero –, così il Verbo doveva essere concepito e poi partorito senza la corruzione del corpo della Madre.


E questa verità fa il paio con un altro grande insegnamento dei Padri, cioè che Cristo fu concepito prima nella mente e nel cuore della Madre, che nel suo corpo. Prima nella mente, poi nel corpo: cosa vuol dire? Vuol dire che la Madonna ha colto prima il verbo che le veniva annunciato, la parola che le veniva annunciata e, accogliendo Dio in questa disposizione della sua volontà, della sua mente, del suo cuore, ha potuto poi concepire il Verbo nella carne. Ma come nel primo “concepimento” (l’accoglienza della parola nella fede) non c’è stata corruzione, così anche nel secondo (il concepimento nella carne). Ogni tanto, negli scritti dei Padri, noi troviamo anche questa espressione, ossia che la Madonna ha concepito prima con l’orecchio che con il corpo, indicando appunto che Colui che è stato concepito è il Verbo eterno. E dunque prima viene accolto nel cuore senza corruzione, e poi viene concepito, nel grembo di Maria Santissima, senza corruzione.


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«Una terza ragione di convenienza è fornita dalla dignità della natura umana di Cristo […]. L’atto coniugale non poteva essere compiuto senza una certa concupiscenza carnale che deriva dal peccato e senza la quale volle essere concepito colui che non avrebbe avuto alcun peccato”» (ibidem). Attenzione a non fraintendere il testo: san Tommaso non sta dicendo che l’atto coniugale è un peccato: non c’è scritto questo. C’è scritto che per il Signore era conveniente nascere senza l’atto coniugale, il quale non è peccato, ma ha sempre con sé una certa concupiscenza. Lo abbiamo visto quando abbiamo parlato del peccato originale: dopo che è entrato il peccato, è entrata la concupiscenza, il fomite; questa in qualche modo intacca tutti gli atti degli uomini, ma soprattutto l’atto coniugale, senza per questo trasformarlo in peccato. Quindi, per Colui che è venuto per togliere il peccato del mondo, Colui che è la santità, la purezza assoluta, era conveniente che non nascesse tramite il fomite che accompagna l’atto coniugale.


«La quarta ragione di convenienza si trova nel fine stesso dell’Incarnazione di Cristo, che era di far rinascere gli uomini a figli di Dio, “non da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio”» (ibidem). Qui san Tommaso cita sant’Agostino che dice questo: «Conveniva che per un insigne miracolo il nostro capo nascesse secondo la carne da una vergine per indicare che le sue membra sarebbero nate secondo lo spirito da quella vergine che è la Chiesa». Vedete il parallelo armonico, questa volta tra il concepimento di Cristo e il concepimento dei cristiani: il concepimento di Cristo avviene per opera non di un uomo ma dello Spirito Santo nel grembo della Vergine; il concepimento dei cristiani avviene per opera dello Spirito Santo nel grembo della vergine, che stavolta è la Vergine Chiesa; questo è il senso del Battesimo. E dunque vedete che Colui che è il capo dei cristiani ha voluto nascere in una maniere conforme, armonica, con quello che sarebbe stato il concepimento delle sue membra: Lui dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, noi dallo Spirito Santo nel grembo della vergine madre che è la Chiesa.


La prossima volta vedremo un po’ più da vicino perché in realtà il concepimento verginale è a tutti gli effetti affermato, sostenuto e coerente con i testi sacri, con i Vangeli, in particolare quelli di Matteo e di Luca, che ci consegnano i racconti relativi al concepimento e alla nascita del Signore.




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