Overtourism: il veleno che ammazza e ruba l’anima delle nostre città – Torino Cronaca

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L’overtourism non è solo un fenomeno economico, ma una piaga sociale che consuma le città dall’interno.

Le nostre città storiche, un tempo custodi di cultura e tradizione, sono oggi trasformate in Disneyland per il consumo di massa. Il turismo massivo, in particolare quello incentivato dalle piattaforme di affitti brevi, sta soffocando il capitale umano e culturale dei luoghi, riducendo le nostre città a vuote parodie di sé stesse. 

Ogni città in Italia ha una storia ben definita e spesso più che secolare, una cultura e una vita che la rendono unica. Tuttavia, il turismo di massa tende a trasformare anche questi luoghi in copie conformi, dove la vera essenza si dissolve tra souvenir, spesso prodotti in Cina, e selfie senza significato.

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Venezia, Barcellona, Firenze, Dubrovnik o Bruges: tutte queste città condividono lo stesso destino. A Venezia, su 36mila unità immobiliari nei Sestieri, più di 8mila sono destinate agli affitti brevi.

Barcellona, dal canto suo, ha visto il 35% delle abitazioni convertite in strutture ricettive per turisti. Anche Praga e Cracovia stanno vivendo una pressione crescente: nelle loro piazze storiche si moltiplicano attività orientate esclusivamente ai visitatori, cancellando il carattere autentico dei luoghi.

Il turismo delle piattaforme e degli algoritmi ha innescato una vera e propria rivoluzione sociale. I residenti sono espulsi dai centri urbani, spinti verso periferie sempre più lontane o negli hinterland a causa degli affitti insostenibili. La classe media, un tempo spina dorsale della vita cittadina, è stata sostituita da una popolazione di passaggio: turisti mordi e fuggi che consumano senza lasciare traccia.

Questa dinamica ha creato una divisione sociale profonda: da un lato, i rentier, proprietari di immobili che accumulano rendite grazie alla speculazione; dall’altro, una popolazione locale sempre più impoverita, costretta a migrare fuori dai centri storici.

Le conseguenze non si limitano all’economia o alla demografia: è l’identità stessa delle città a essere stravolta. Le botteghe storiche chiudono, i negozi di prossimità spariscono, e i luoghi di aggregazione si svuotano. Le città si trasformano in teatri per visitatori, dove ogni elemento è progettato per soddisfare il consumo turistico. Sta alle amministrazioni locali riprendere il governo del territorio che amministrano, con interventi incisivi e sistemici che approccino il fenomeno da un punto di vista complessivo emanando norme e regolamenti atti a mantenere il mix sociale della popolazione e delle attività nelle città e non solo nei centri storici delle stesse.

Anche in una città come Torino che, solo da poco tempo sta scoprendo una sua vocazione turistica, cominciano a vedersi le distorsioni provocate dal fenomeno dell’overtourism indotto dalle piattaforme di affitti brevi. È un problema che in una realtà come l’Italia, tra le prime mete turistiche al mondo, deve essere affrontato a livello di governo con misure regolatorie più stringenti rispetto a quelle già messe in atto. È anche un tema che riguarda l’ANCI che dovrebbe concordare direttive omogenee per i comuni italiani afflitti dagli stessi problemi.

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I portici torinesi invasi dai turisti 

Le piattaforme di affitti brevi come Airbnb hanno alimentato questa crisi, agendo senza limiti e senza responsabilità. In Europa, Berlino è stata tra le prime città a reagire: già nel 2019 ha introdotto regolamentazioni che limitano severamente gli affitti brevi. A Parigi, è stata imposta una quota massima di giorni per gli affitti turistici: non più di 120 giorni all’anno. Amsterdam ha ridotto questo limite a soli 30 giorni per proteggere i residenti. Lisbona, invece, ha creato delle “zone di contenimento” dove gli affitti brevi sono vietati, salvaguardando il mercato residenziale. Anche Vienna ha intrapreso un percorso simile, imponendo restrizioni severe alle piattaforme digitali e introducendo sanzioni significative per chi non rispetta le regole. Un esempio interessante viene dalla Norvegia, dove le autorità di Bergen hanno introdotto un sistema di permessi a numero chiuso per le strutture turistiche nel centro storico, garantendo che una quota significativa di immobili rimanga destinata ai residenti. A Bruxelles, invece, il governo ha avviato un piano per incentivare la residenzialità nei quartieri centrali, offrendo agevolazioni fiscali a chi sceglie di viverci stabilmente.

Il fenomeno dell’omologazione culturale è forse la conseguenza più devastante dell’overtourism. Le città, un tempo custodi di identità uniche, sono ora ridotte a contenitori intercambiabili. I quartieri storici si svuotano della loro autenticità, sostituiti da caffetterie standardizzate, negozi di souvenir e catene internazionali. Le tradizioni locali, invece di essere vissute, vengono falsamente messe in scena per il consumo turistico, privandole di significato.
Prendiamo ad esempio Bruges, in Belgio, città che ha visto le sue caratteristiche stradine medievali trasformarsi in un flusso ininterrotto di turisti. I residenti lamentano la perdita di spazi pubblici e la progressiva sparizione di negozi di vicinato. Lo stesso accade a Copenaghen, dove il Nyhavn, un tempo cuore pulsante della vita cittadina, è diventato un set fotografico perenne.

Nonostante il panorama desolante, alcuni esempi dimostrano che un futuro diverso è possibile. A Gent, in Belgio, le autorità hanno introdotto un programma di turismo sostenibile che limita il numero di visitatori nelle attrazioni principali, incoraggiando al contempo la scoperta di aree meno conosciute. La città ha anche adottato una politica di protezione delle attività locali, vietando l’apertura di catene internazionali nel centro storico. A Valencia, in Spagna, il governo locale ha avviato un piano per riequilibrare il rapporto tra turismo e residenza, limitando il numero di licenze per affitti brevi e incentivando il recupero di edifici abbandonati per uso abitativo. Questa strategia ha permesso di preservare il tessuto sociale e di garantire che i residenti possano continuare a vivere nei quartieri centrali. In Svezia, Stoccolma si è distinta per un approccio innovativo, combinando regolamentazioni rigorose sugli affitti brevi con investimenti in infrastrutture pubbliche che migliorano la qualità della vita dei residenti. L’attenzione al benessere collettivo si riflette anche nella promozione di un turismo rispettoso dell’ambiente e delle tradizioni locali.

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Le regolamentazioni locali, per quanto importanti, non bastano. Serve un approccio globale, sostenuto da normative internazionali che pongano limiti chiari alle piattaforme digitali e garantiscano il diritto all’abitare. Come ricordava Italo Calvino, “D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda”.

Oggi, le nostre città sembrano incapaci di rispondere, ma non possono più essere considerate prodotti da consumare. La loro vera ricchezza risiede nella comunità che le abita, non nei profitti generati dal turismo di massa. È tempo di scegliere: vogliamo città vive e autentiche o luna park senz’anima? L’overtourism non è solo un problema da gestire, è una crisi che richiede un cambiamento radicale nel modo in cui pensiamo alle nostre comunità, alla nostra memoria al nostro futuro.



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