sfide tecnologiche e dubbi sul mercato

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Dopo il ritiro del Concorde nel 2003, sembrava che il volo supersonico commerciale fosse destinato a scomparire. Oggi, invece, assistiamo a una nuova ondata di interesse, con diverse aziende e la Nasa che investono massicciamente per riportare in auge questa tecnologia, pur consapevoli delle sfide legate al boom sonico e alla sostenibilità ambientale. Il superamento della velocità del suono, circa 1.224 km/h (Mach 1), genera onde d’urto che si manifestano con il caratteristico boom sonico.

Questo fenomeno, oltre a spaventare persone e animali, può causare danni materiali come la rottura di vetri o l’attivazione di allarmi. Il Concorde, volando a 15mila metri, produceva un boom sonico che si estendeva su un’area di ben 100 chilometri di larghezza, portando molti paesi a vietare i voli supersonici commerciali sul proprio territorio.

I problemi da risolvere

Per superare questo ostacolo, la Nasa sta sviluppando, attraverso il progetto Quiet Supersonic Technology (Quesst), il prototipo X-59, costruito da Lockheed Martin, con l’obiettivo di ridurre al minimo l’impatto del boom sonico. Nel 2025, l’X-59 effettuerà voli di prova a 1.510 km/h sopra alcune città statunitensi per raccogliere il feedback dei residenti. Questi dati saranno fondamentali per la Federal Aviation Administration (Faa) nella definizione delle future normative. Anche il settore privato è molto attivo in questo campo. La startup statunitense Boom Supersonic sta lavorando al prototipo XB-1, il cui primo volo risale a marzo 2024. Dopo aver raggiunto Mach 0,69 durante i test, l’azienda punta a superare la barriera del suono nei prossimi mesi. Le informazioni raccolte con l’XB-1 saranno utilizzate per la progettazione dell’aereo di linea Overture, progettato per volare a Mach 1,7 e trasportare 80 passeggeri. Boom Supersonic prevede di completare il primo Overture nel 2025, ma l’inizio del trasporto passeggeri non è previsto prima del 2029. Un altro protagonista di questa nuova era supersonica è Dawn Aerospace, il cui velivolo Aurora ha compiuto un importante passo avanti a novembre, raggiungendo Mach 1,1 a oltre 25mila metri di altitudine. L’azienda afferma di aver effettuato il primo volo civile supersonico dai tempi del Concorde e punta a raggiungere Mach 3,5 e un’altitudine di 100 chilometri, al confine con lo spazio.

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Nonostante questi progressi, permangono dubbi sulla reale fattibilità del trasporto supersonico di massa. Ben Evans della Swansea University sottolinea che, sebbene sia possibile attenuarlo, il boom sonico non può essere eliminato del tutto. Questo significa che i futuri aerei supersonici dovrebbero superare la barriera del suono al largo delle coste, escludendo quindi rotte interamente terrestri.

Evans evidenzia anche le sfide legate ai costi e all’impatto ambientale. La resistenza aerodinamica aumenta notevolmente al superamento della velocità del suono, con conseguente maggiore consumo di carburante e maggiori emissioni (l’aviazione contribuisce già per il 3 per cento alle emissioni globali di carbonio derivanti da combustibili fossili), il che si tradurrebbe in biglietti molto costosi. «Non sono convinto che ci sia un mercato per questo», afferma Evans, mettendo in discussione la reale necessità di voli transatlantici supersonici nell’era delle videoconferenze. Infine, Evans ipotizza che molte aziende impegnate nello sviluppo di velivoli supersonici e ipersonici per il trasporto commerciale puntino in realtà ad applicazioni militari, dove il budget e l’impatto ambientale sono considerati meno prioritari rispetto alle prestazioni.

Le costellazioni satellitari

L’Europa rafforza la propria corsa allo spazio con un ambizioso progetto per la creazione di una rete satellitare tutta sua. Dopo Stati Uniti, Russia, Cina e l’ingresso di attori privati come SpaceX con Starlink, anche l’Unione europea investe in una costellazione di satelliti per garantire comunicazioni sicure e indipendenti. Nelle scorse settimane a Bruxelles sono stati confermati due contratti che daranno il via alla realizzazione di Iris², acronimo di Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security by Satellite (Infrastruttura per la resilienza, l’interconnettività e la sicurezza via satellite).

Questa costellazione multiorbitale, composta da circa 300 satelliti, rappresenterà un’infrastruttura strategica per i governi, le aziende e i cittadini europei. La peculiarità di Iris² risiede nella sua architettura multiorbitale: la costellazione comprenderà satelliti posizionati sia in orbita terrestre bassa (Leo) che in orbita terrestre media (Meo).

Questa combinazione strategica permetterà di ottimizzare le comunicazioni, garantendo velocità e sicurezza senza la necessità di migliaia di satelliti, come invece accade per le costellazioni basate esclusivamente su orbite basse. L’interconnessione tra i satelliti nelle diverse orbite assicurerà una copertura continua e una maggiore resilienza del sistema. È previsto, inoltre, lo sviluppo di un ulteriore livello in orbita bassa per fornire servizi specializzati aggiuntivi. Iris² non sarà solo un sistema di comunicazione, ma una vera e propria infrastruttura strategica per l’Ue. Offrirà servizi di connettività governativa sicura e ininterrotta, garantendo comunicazioni protette per le istituzioni e le agenzie governative, e servizi commerciali di fascia alta, aprendo nuove opportunità per le aziende europee in diversi settori, come le telecomunicazioni, la finanza e la logistica. Il progetto si basa sulla solida esperienza dell’Esa (Agenzia spaziale europea) nella fornitura di costellazioni per l’Ue, tra cui: Copernicus e Galileo. Iris² si configura quindi come il terzo programma spaziale di punta dell’Ue, un investimento nella sovranità tecnologica e strategica europea. L’Esa ha sottolineato l’importanza strategica di Iris² per l’autonomia, la competitività e la cooperazione europea nel settore spaziale. Tuttavia, questa nuova iniziativa si inserisce in un contesto di crescente affollamento dello spazio, con un conseguente aumento dei lanci di razzi. Questo solleva preoccupazioni per l’impatto ambientale, sia sull’atmosfera terrestre che sull’ambiente spaziale stesso, evidenziando la necessità di un approccio sostenibile allo sviluppo delle infrastrutture spaziali.

L’età degli anelli di Saturno

È difficile immaginare il signore degli anelli, Saturno, senza la sua maestosa corona di ghiaccio. Eppure, fino a poco tempo fa, gli scienziati credevano che questi splendidi anelli fossero piuttosto giovani, forse risalenti a “soli” 100-400 milioni di anni fa. Questa conclusione era stata dedotta dalla sorprendente purezza del ghiaccio che compone gli anelli: miliardi di anni di bombardamento da parte di micrometeoriti avrebbero dovuto sporcarlo irrimediabilmente, ma così non è. Ora una nuova ricerca, condotta da un gruppo internazionale di scienziati, potrebbe ribaltare questa ipotesi. Secondo questo studio, gli anelli di Saturno potrebbero essere molto più antichi di quanto si pensasse, addirittura risalenti alla formazione del Sistema Solare. Come è possibile? Il segreto sta in un meccanismo di auto pulizia. Quando un micrometeoroide colpisce un frammento di ghiaccio dell’anello a una velocità vertiginosa, superiore ai 25 chilometri al secondo, il calore dell’impatto vaporizza sia il proiettile che una piccola porzione di ghiaccio. Queste particelle vaporizzate vengono poi ionizzate dal campo magnetico di Saturno e allontanate dall’anello, mantenendolo così sorprendentemente puro.

«È come se gli anelli di Saturno si pulissero da soli», spiega Ryuki Hyodo, uno degli autori dello studio. «Questo meccanismo ci permette di riconsiderare l’età di queste strutture, che potrebbero essere molto più antiche di quanto pensavamo». Questa nuova scoperta ha importanti implicazioni per la nostra comprensione del Sistema Solare. Se gli anelli di Saturno sono così antichi, è possibile che anche gli anelli di altri pianeti giganti gassosi, come Giove, Urano e Nettuno, siano altrettanto longevi. Inoltre, la scoperta potrebbe aiutarci a comprendere meglio la formazione e l’evoluzione dei sistemi planetari in generale.

«Questa ricerca ci mostra quanto sia importante non fermarsi alle prime apparenze», conclude Hyodo. «La natura è piena di sorprese, e spesso le soluzioni più semplici sono quelle che sfuggono alla nostra immaginazione». I ricercatori stanno ora lavorando per verificare sperimentalmente i loro risultati. Simulazioni di laboratorio e future missioni spaziali dedicate allo studio degli anelli di Saturno ci permetteranno di approfondire la nostra conoscenza di queste affascinanti strutture e di svelare i misteri che ancora le circondano. In conclusione, gli anelli di Saturno continuano a sorprenderci. Quello che sembrava un enigma insoluto potrebbe finalmente trovare una spiegazione. La ricerca è stata pubblicata su Nature Geoscience.

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