Acquisto all’asta di immobile abusivo non cancella illeciti edilizi! Scopri perché.

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L’acquisto tramite asta non elimina le violazioni edilizie esistenti, ma è possibile richiedere una regolarizzazione entro 120 giorni. Questo è quanto deciso da una recente sentenza.

Acquistare una proprietà tramite asta può risultare un’affare vantaggioso, ma è essenziale essere cauti riguardo ai possibili rischi legati a un procedimento di espropriazione, in particolare quando la proprietà in questione è afflitta da violazioni urbanistiche.

Una recente decisione del Consiglio di Stato (sentenza n. 9583 del 29 novembre 2024), ha chiarito che l’acquisizione di un immobile all’asta non risolve automaticamente le irregolarità edilizie esistenti.

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Il Consiglio di Stato ha respinto un appello contro il rifiuto di una richiesta di regolarizzazione (presentata secondo la Legge n. 724/1994) per una proprietà con irregolarità edilizie. I giudici hanno spiegato che la vendita all’asta di un immobile durante un processo di espropriazione che presenta violazioni urbanistiche non implica la regolarizzazione delle infrazioni. L’unico “beneficio” previsto dalla legge è la possibilità di richiedere un permesso di costruire sanante entro 120 giorni dalla data di trasferimento, a condizione che i debiti per cui si interviene siano precedenti all’entrata in vigore della normativa sulla quale si basa la richiesta di sanatoria.


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Richiesta di regolarizzazione entro 120 giorni

L’articolo 40 della Legge n. 47/1985 (noto come primo condono edilizio) prevede che in caso di acquisto di un immobile non conforme all’asta, l’acquirente ha la possibilità di inoltrare una richiesta di permesso di costruire sanante entro 120 giorni dalla notifica del decreto dell’autorità giudiziaria, ma solo se “le motivazioni del debito per cui si procede sono anteriori all’entrata in vigore della legge in questione.

Il caso specifico

Nel caso analizzato, la motivazione del debito risaliva al 2009, quindi successiva all’entrata in vigore della Legge n. 724/1994 (nota come secondo condono edilizio), sulla base della quale era stata presentata la domanda di sanatoria. Da qui la decisione di respingere l’appello da parte dei giudici.

Nella sentenza si evidenzia inoltre come l’acquirente fosse consapevole, al momento dell’assegnazione all’asta, della situazione irregolare dell’immobile e del preavviso di rifiuto di regolarizzazione notificato ai precedenti proprietari. La richiesta di condono era stata quindi già respinta prima del decreto di trasferimento dell’immobile, che quindi, al momento dell’assegnazione, non era più suscettibile di sanatoria.

Decisione di rifiuto

È importante ricordare che, secondo la giurisprudenza prevalente, il rifiuto di una sanatoria non è considerato un atto di natura ricettizia. Ciò implica che non è necessario che sia notificato al destinatario per avere effetto.

Infatti, l’articolo 32, comma 37, del DL n. 269/2003, convertito nella Legge n. 326/2003 (noto come terzo condono edilizio) stabilisce che si forma il silenzio-assenso dopo 24 mesi dalla presentazione, se non vi è una decisione negativa da parte del Comune.

In altre parole, il provvedimento di rifiuto è efficace non appena emesso, e non quando viene comunicato. Pertanto, anche se la notifica dell’atto fosse stata indirizzata solo ad alcuni dei soggetti interessati – come affermato nel caso in esame dai richiedenti – tale mancanza non può invalidare la decisione, che era già efficace al momento della sua emissione.

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