Cassa di risparmio di Asti tra finanza e politica: Sondrio e Desio alla finestra

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ASTI. Visti da piazza Alfieri, i timori per la Banca di Asti sono solo una questione di politica di provincia, di un sistema sedimentato su oltre vent’anni di potere che ora sta spostando i suoi equilibri. Ma dietro le turbolenze – gestionali più che finanziarie – che stanno investendo questo piccolo istituto di credito di provincia c’è un intreccio che ricorda da vicino vicende ben più note e rilevanti (nei numeri) che hanno segnato la storia bancaria italiana.

Sono tre i nodi che si mescolano e che negli ultimi mesi stanno emergendo con prepotenza: il gioco di poltrone è solo un aspetto, ma si aggiungono i timori giudiziari e la necessità di fare cassa anche attraverso un istituto di credito che nel tempo ha mantenuto stabile il suo patrimonio però, non essendo quotato, non ha mai dato particolari soddisfazioni agli azionisti. In questa storia tanti parlano, ma nessuno vuole farlo pubblicamente: uno su tutti, Livio Negro, il presidente della Fondazione Cr Asti, principale azionista della banca con il 31,8%, eletto la scorsa estate, che preferisce «non commentare» e non spiegare oltre quanto aveva fatto a novembre, quando aveva dichiarato l’intenzione di vendere la quota in eccesso proprio per diversificare il patrimonio e gli investimenti dell’ente scatenando l’inizio del terremoto.

Il coprotagonista è il direttore generale e amministratore delegato della banca, Carlo Demartini, condannato a maggio 2023 in primo grado a 2 anni e 8 mesi per false comunicazioni sociali: il cda gli ha rinnovato la fiducia e ora aspetta la sentenza di secondo grado che sarebbe dovuta arrivare il 13 gennaio ma che è slittata ad aprile. E poi ci sono il sindaco Maurizio Rasero, strenuo sostenitore del concetto che «la politica deve entrare in banca», le associazioni di categoria, come l’Unione Industriale e Confcommercio (che da sempre hanno esponenti nel cda della Cr Asti) e il vescovo Marco Prastaro (a luglio si è schierato con il sindaco quando si è compiuto il ribaltone che ha portato Negro alla guida, scalzando la corrente del vecchio presidente).

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Il punto fermo resta che la fondazione sta valutando un’aggregazione dell’istituto partecipato con un altro soggetto bancario, per far confluire l’istituto astigiano in un gruppo più grande e avrebbe trovato l’interesse solido della Popolare di Sondrio. Contatti preliminari, ma il dossier è allo studio e si attende la maturazione. Non sarebbe interessato invece Banco Bpm, socio di Cr Asti con il 9,99%, che pure nelle settimane scorse sarebbe stato sondato per salire nell’azionariato. E anche il Banco Desio resta a guardare con un po’ di distacco.

La Banca di Asti ha tra i suoi azionisti, oltre alla Fondazione Cr Asti e al Banco Bpm, anche la Fondazione Crt (6%) e le fondazioni delle Casse di Biella (12,91%) e Vercelli (4,2%). Il restante 35,1% è in mano a piccoli azionisti. Nei mesi scorsi era emersa la volontà della Fondazione Cr Asti di dismettere una parte della sua quota per ottemperare al vincolo fissato nel protocollo tra Mef e fondazioni bancarie di non superare un terzo del patrimonio totale dell’ente impegnato nella banca conferitaria. A fine 2023, la quota nella Banca di Asti era pari al 76,1% del patrimonio totale della Fondazione. L’ipotesi allo studio è quella di uno scambio carta contro carta con il quale il pacchetto della Fondazione Cr Asti verrebbe scambiato con azioni della banca acquirente, quotata, che renderebbe possibile la cessione della quota in eccesso rispetto al limite fissato nel protocollo del Mef sul mercato. Rendendo così l’auspicata diversificazione del patrimonio dell’ente che al momento è di fatto bloccata.

Ed è partendo da questo scenario che si innesta la questione giustizia: «Altro che temere di spostare il baricentro altrove, qui la vera preoccupazione è che venga condannato Demartini», è la frase che si raccoglie più spesso parlando con coloro che abitualmente collaborano con la banca. Demartini, entrato in banca dopo il diploma, dal 2007 è dg e dal 2015 è anche ad. È l’uomo chiave che da quasi vent’anni controlla ogni aspetto dell’istituto di credito, dalla gestione dei rapporti con la Banca d’Italia alle trattative sui prestiti più rilevanti. «Non c’è una seconda linea» assicura un consigliere. Se ad aprile venisse condannato (è possibile che ci sia un ulteriore slittamento perché l’udienza è fissata nella settimana pasquale) diventerebbe impossibile riconfermarne il ruolo.

Poi il nodo finanziario: il protocollo Acri-Mef c’è dal 2015 e la fondazione non ha mai pensato prima d’ora di ridurre la sua partecipazione. «Improvvisamente» con Negro è diventata una priorità e sono gli stessi «stakeholder» astigiani a spiegare il perché. Innanzitutto, la cedola che ottiene dalla banca, in un momento in cui tutti gli altri istituti assicurano percentuali di rendita molto più alte, porta a erogazioni che si fermano a circa 3 milioni: fondi già scarsi che finiscono in mille rivoli con importi bassi.

Negro ha detto che cambierà, anche per rispondere alla politica che vorrebbe che la fondazione entrasse in alcuni interventi di recupero edilizio considerati strategici. Inoltre è sempre la politica a chiedere che la fondazione le faccia da spalla per dare una risposta a quei piccoli azionisti che vorrebbero rientrare dall’investimento fatto nella propria banca di riferimento ma che non riescono perché si ritrovano titoli illiquidi. Infine le lotte di potere, tra nuova guardia e vecchi notabili che hanno costruito la propria carriera professionale in decenni passando da incarichi politici a quelli in banca, fondazione e associazioni datoriali.

Resta da capire anche cosa potrebbero fare le altre fondazioni azioniste: la Crt al momento non ha intenzione di muoversi. Una partecipazione maggiore era stata stabilita quando al vertice c’era Fabrizio Palenzona ma la presidente Anna Maria Poggi non ha affrontato l’argomento.



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