Per la rubrica “Spiccioli di spiritualità”, diretta dal professore P. Vitale, il professor Michele Pugliese ci parla di Sant’Antonio.
In modo affettuoso è chiamato “Sant’Antuono”, per lo meno dalle nostre parti. È il santo eremita per eccellenza, ma anche il fondatore del monachesimo, il protettore degli animali (non a caso raffigurato spesso con un porcellino), il santo delle tentazioni e della lotta con il diavolo, delle innumerevoli devozioni popolari, del cosiddetto “Fuoco di Sant’Antonio” (malattia il cui nome scientifico è “herpes zoster”, i cui malati venivano curati in una chiesa di confratelli antoniani), scrittore e grande conoscitore delle Sacre Scritture, consigliere di filosofi, vescovi e imperatori, e molto altro ancora.
Naturalmente stiamo parlando di Sant’Antonio Abate, la cui festa si celebra il 17 gennaio, che nasce a Coma, in Egitto, sulle rive del Nilo, intorno al 250, in una famiglia di cristiani, ricchi agricoltori. A vent’anni rimane orfano. Colpito dalle parole del Vangelo ascoltate in chiesa, vende tutti i suoi beni, dà la metà del ricavato alla sorella e regala la sua parte ai poveri. Poi va a vivere da eremita in mezzo al deserto d’Egitto per ascoltare la voce di Dio. Occupa il tempo anche lavorando: coltiva un orticello e intreccia canestri, precursore della famosa regola benedettina “ora et labora” (prega e lavora).
La sua vita solitaria dura vent’anni, fino a quando la sua fama di grande saggio attira persone, filosofi, imperatori, semplici pellegrini; consiglia il bene, mette pace tra i litiganti, conforta, consola, guarisce malattie del fisico e dell’anima.
Vuole stare in solitudine nel deserto egiziano – siamo nella prima metà del IV secolo – ma viene raggiunto da cristiani che vogliono vivere come lui. I suoi discepoli diventano numerosi, sono chiamati “Padri del deserto”, diventati numerosi, all’insegna l’ascetismo. Vivono da soli in grotte, casupole o ruderi abbandonati: pregano, meditano, svolgono lavori manuali, coltivano la terra e allevano animali, si cibano del poco necessario per sopravvivere.
Storicamente Antonio non fu il primo monaco, anche se tutti i monaci d’Oriente e d’Occidente riconosceranno in lui il loro padre. E poi bisogna dire che né Antonio, né altri Padri del deserto avevano intenzione di introdurre nella Chiesa una spiritualità diversa da quella dei comuni battezzati. Si trattava solo di seguire Cristo in un modo diverso e Antonio non si preoccupa tanto di indottrinare il discepolo, ma piuttosto di renderlo capace di ascoltare la voce di Dio nel silenzio del deserto.
Un discorso a parte merita il suo rapporto con gli animali, di cui è patrono. Nella sua iconografia compare oltre al maialino con la campanella, anche il bastone degli eremiti a forma di T, la “tau” ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Una leggenda popolare, collegata ai suoi attributi iconografici, narra che sant’Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni defunti al diavolo. Mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a forma di “tau” e lo portò fuori, insieme al maialino recuperato: donò il fuoco all’umanità, accendendo una catasta di legna.
Molte altre cose ci sarebbero da dire per questo gigante della spiritualità cristiana. Ma mi piace concludere con una trazione locale di un paese a noi vicino, Macerata Campania, dove la sfilata dei Carri di Sant’Antuono, è un momento molto importante di folklore.
Per questa occasione vengono allestiti dei carri allegorici, su cui trovano alloggio particolari gruppi di musicanti che utilizzano semplici attrezzi da contadino prodotti da artigiani locali (botti, tini e falci) come strumenti a percussione e scandiscono particolari ritmi dai significati lontani e profondi.
Una famosa canzone composta per l’occasione agli inizi del XX secolo si conclude con la strofa “Sunammo caccavelle, siscarielle, trummettelle e bughetibbù / na festa comm’a chesta nuie nunn’a verimme cchiù” (Suoniamo pentole, fischietti, trombette e botti / una festa come questa noi non la vedremo più).
(Fonte: BelvedereNews – News archiviata in #TeleradioNews ♥ il tuo sito web © Diritti riservati all’autore)
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