Lenticchia di Ustica, è allarme tra gli agricoltori per il nuovo raccolto

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È la lenticchia più piccola d’Italia ed è un Presidio Slow Food. Ma, a causa della siccità e della fauna selvatica, quest’anno la semina è a rischio. Il timore è di perdere del tutto la coltivazione.

Tradizionale lavorazione delle Lenticchie di Ustica, simbolo della biodiversità siciliana

Gennaio, a Ustica, è mese di semina: è nei primi giorni dell’anno che le lenticchie vengono seminate negli appezzamenti e i terrazzamenti sulla piccola isola siciliana. Ma quest’anno, qualcosa sta andando diversamente e molti campi resteranno vuoti. Il motivo? Non c’è seme.

Ricordate, ai tempi della scuola elementare, l’esperimento del fagiolo nel batuffolo di cotone imbevuto di acqua? Ecco: la lenticchia, come tutti gli altri legumi, funziona allo stesso modo. Se, anziché mangiarla, la seminiamo, darà vita a una nuova pianta che, a sua volta, produrrà lenticchie. Fin qui niente di nuovo: è ciò che in agricoltura si definisce autoproduzione del seme e lo fanno anche gli hobbisti che, nel proprio orto famigliare, preferiscono evitare di ricorrere all’acquisto di piantine già pronte o di semi (in entrambi i casi sempre più spesso industriali e ibridi) che si trovano in commercio.

Oltre ad auto-produrre i semi che gli servono, Giuseppe Mancuso, il referente dei produttori del Presidio Slow Food della lenticchia di Ustica, da sempre fa anche un’altra cosa: ne tiene da parte qualche quintale, che evita di seminare. «Come agricoltore ho ereditato questo modus operandi – spiega –. Ogni anno faccio una scorta: parte del raccolto la immagazzino, così da poter fare una nuova semina se qualcosa dovesse andar male per qualche motivo».
In altre parole, anziché vendere tutte le lenticchie che raccoglie, oltre a metterne da parte circa 4-500 chili per seminarle l’anno successivo, ne tiene altrettante come ulteriore scorta. «Le vendo qualche mese più tardi, dopo aver raccolto il nuovo prodotto e aver verificato che, a sua volta, è adatto per la semina». Anno dopo anno, scorta dopo scorta.

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I numeri

  • 20-25 ettari: la superficie coltivata a lenticchie a UsticaAgricoltori al lavoro
  • 3 produttori del Presidio Slow Food
  • 460 kg di lenticchie seminati da Mancuso nel 2024
  • 250 kg (sporchi) di lenticchie raccolti da Mancuso nel 2024. Puliti erano 180
  • 7000 kg di lenticchie raccolti da Mancuso in un’annata normale
  • 700 kg seminati complessivamente quest’anno in tutta l’isola

Una scelta provvidenziale, quella di Giuseppe, visto che nel 2024 la raccolta è stata pressoché nulla: «A gennaio dello scorso anno ho seminato i miei soliti 4-500 chili – ricorda – ma a giugno ne ho raccolti 250. In un’annata normale, avrei dovuto ottenere 70 quintali». In pratica, ha raccolto il 3% del previsto. La causa, spiega, è la fauna selvatica, in particolare gli uccelli – i colombacci – che danneggiano le piante andando a beccarle per nutrirsi. La popolazione di colombacci sull’isola di Ustica, sostiene Mancuso, negli ultimi anni è cresciuta, perché non ha rivali naturali. All’origine del problema, però, c’è un altro fattore:

«La siccità – dice –. I colombacci si concentrano sui seminativi perché, se non piove, la vegetazione spontanea non cresce e gli animali non trovano altro da mangiare».

L’anno zero della lenticchia di Ustica? No, il meno uno

Non tutti gli agricoltori di Ustica hanno avuto la stessa accortezza di Mancuso, tenendo in cassaforte una scorta di lenticchie per far fronte a un’emergenza come quella del 2024. In molti, così, ora si trovano in grossa difficoltà, e tra loro ci sono anche gli altri due produttori che aderiscono al Presidio Slow Food. «Uno non ha potuto seminare perché non ha prodotto, l’altro probabilmente seminerà solo una esigua quantità – spiega Mancuso – Io ho investito tutto quello che avevo. Ma se quest’anno non si raccoglie, dovrò cambiare mestiere anch’io».

Negli ultimi anni, la superficie coltivata si è ridotta in maniera sensibile e oggi i campi di lenticchie occupano tra i venti e i venticinque ettari. «La cosa paradossale è che più danni fa la fauna selvatica, più la gente abbandona la pratica agricola – spiega – ma in questo modo i colombacci si concentrano ancor di più sui pochi terreni che restano. È una lotta contro il tempo per cambiare questa tendenza».

Lenticchie di Ustica
Le Lenticchie di Ustica

Sull’isola, tra gli agricoltori, c’è sconforto ma non rassegnazione. Mancuso chiede alla Regione Sicilia un aiuto nel contenere la fauna selvatica, anche perché non vede altri modi di difendersi: «Io ho dieci ettari di terreno seminato, è impensabile installare delle reti a tunnel come quelle che si usano per gli ortaggi. Oltre ai costi, con il vento che soffia qua la copertura non resisterebbe un giorno».

Gli chiediamo se il 2024 sia l’anno zero per la lenticchia di Ustica: «No, siamo all’anno meno uno – risponde – Se scompare una pratica agricola, per un’isola come Ustica è un fallimento per tante ragioni. Noi non facciamo solo agricoltura, ma siamo guardiani: lavorando il suolo contrastiamo gli incendi, manuteniamo i muretti a secco, teniamo viva l’isola. Avanti di questo passo, però, finirà come a Ginostra, dove non c’è più agricoltura. E se si abbandona l’agricoltura, l’isola diventerà di un unico colore: il verde lentisco, una pianta che colonizzerà tutto, cancellando la biodiversità anche floricola che oggi resiste dove ci sono terreni coltivati».



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