Due fatti diversi in un solo giorno sanciscono definitivamente il fallimento di un modello di città fracassona e del turismo all’odor di frittura. Da un lato, la sentenza che condanna il Comune di Napoli a risarcire i dieci abitanti di piazza Bellini per gli inopportuni decibel prodotti nella piazza simbolo della vita notturna cittadina. Dall’altro il più silenzioso annuncio della Contemporary Art Gallery di Alfonso Artiaco, che dichiara conclusa l’esperienza della prestigiosa galleria al Corpo di Napoli. Il motivo? Lo stesso che pochi mesi fa ha costretto lo storico negozio di dischi Tattoo a chiudere i battenti dopo decenni di onorato svolgimento di presidio culturale; lo stesso che sta strozzando le librerie più o meno indipendenti del centro storico: a cosa serve presidiare con la cultura un luogo dove o vendi qualcosa di fritto o puoi anche morire di inedia, vuoto e assenza di clienti? Di sicuro qualcuno sosterrà che le attività commerciali in grado di stare sul mercato sono le uniche che meritano di sopravvivere. Tutto giusto, se non fosse per il piccolo problema che una città con un centro storico tutelato dall’Unesco, svuotata nel suo «corpo» di ogni attività culturale, è una città irrimediabilmente persa, che a lungo andare avrà effetti negativi anche sul tanto sbandierato mercato, compreso quello delle zeppole e dei panzarotti, persino per quello dei locali notturni.
Perché è nella cultura e nella storia di questa città che nasce il suo brand tanto in voga all’estero, ma senza cultura e senza storia quale brand resisterebbe al tempo? D’altro canto, i dati in calo del turismo rispetto agli anni scorsi fanno già presagire qualche vento di crisi. Sia chiaro, nessuno di noi li auspica, ma nemmeno si può tacere in eterno al cospetto di questa insopportabile retorica del turismo salvifico. La verità è che, dal trovar casa a partecipare ad attività culturali degne di questo nome, il turismo straccione che affolla di viandanti giornalieri il centro storico fa male alla città , anzi, di più, logora alla radice un’idea di comunità sostituendola con rumore, sporcizia, lavoro nero ed evasione fiscale. E con l’arricchimento di qualcuno già ricco. Certamente non tutto è così, ci mancherebbe, ma bastano poche foglie di fico a fare un giardino? Ovviamente, no. Di certo, però, bisogna partire da un dato e cioè che la tendenza alla disneyficazione dei centri storici non riguarda solo Napoli e non comincia adesso. Si tratta di una traiettoria globale di cui spesso nemmeno ci accorgiamo quando viaggiamo all’estero e che tuttavia va segnalata come fonte di degrado del nostro tessuto civile, verso cui opporre una visione che non ci faccia tornare indietro ma che sappia immaginare soluzioni nuove e una città più moderna. Quindi ben vengano le delibere che limitano per tre anni il numero di nuove attività di somministrazione di alimenti e bevande nel perimetro del Centro Storico Unesco di Napoli, così come la proposta che il «Garittone», l’ex deposito dei bus Anm, si trasformi in un parcheggio per favorire l’integrazione del bosco e del museo di Capodimonte entro un perimetro allargato della Napoli turistica e dei cittadini. A ben vedere, l’overtourism di cui tanto discutiamo riguarda due, tre strade o poco più, stressate al massimo da orde di mangiatori di sfogliatelle, eppure in teoria ci sarebbe un’intera città – e anche oltre – in cui poter diffondere cultura, dunque vita notturna e turismo. Una città allargata, diffusa sul territorio, che favorisca congiuntamente il miglioramento dei servizi per i residenti di quei quartieri storicamente meno centrali e allo stesso tempo fare di quei luoghi il fulcro di un’offerta culturale che sposti i flussi di visitatori oltre le colonne d’Ercole della via dei pastori o di via Toledo. Qualcuno però deve essere disposto a condividere la propria rendita di posizione a favore di tutti gli altri, così come le Istituzioni dovrebbe guidare con mano ferma i tentativi di «decentralizzare» turismo e movida. Ancora prima di questioni economiche, si tratta di avere un’idea di città . E una città dalla cultura diffusa è quella che potremmo immaginare di costruire per non tornare indietro, ai tempi in cui i turisti si contavano sulle dita di una mano, ma nemmeno per correre in avanti verso un futuro che ha il colore sbiadito degli shottini di liquore pezzotto a due euro. E il sapore sciapido di un cuoppo di frittura infreddolito e senza arte.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità *****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link