Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCSS) sono ospedali di eccellenza: perseguono le finalità della ricerca clinica, traslazionale, biomedica e organizzativa nella gestione dei servizi e si caratterizzano per curare i pazienti con prestazioni di ricovero e cura di alta specialità. Quindi per introdurre l’innovazione nei percorsi diagnostici, terapeutici, assistenziali e organizzativi, alla base degli IRCCS vi è l’attività di ricerca clinica traslazionale, che significa anche migliorare la qualità e l’efficienza del sistema sanitario nazionale attraverso l’applicazione al ‘letto del malato’ delle scoperte della ricerca sperimentale, o per meglio dire, bench to bed, come viene definita a livello internazionale.
Attualmente, sono 53 gli IRCCS in Italia, sia a carattere pubblico sia a carattere privato, monospecialistici e multispecialistici, nati nel 1938 con un Regio Decreto. Nel 1988 erano 32; hanno prodotto oltre 4mila e 900 progetti di ricerca, 18mila e 800 pubblicazioni e gestiscono circa il 40% dei trial clinici in Italia.
TrendSanità sta seguendo il tema della riforma del IRCCS, e in questo nuovo approfondimento è a colloquio con Carlo Nicora, già Direttore Generale della Fondazione Istituto dei Tumori di Milano e Vicepresidente di FIASO (Federazione Italiana Aziende Sanitarie e Ospedaliere).
Cosa rappresentano gli IRCCS per il Servizio sanitario nazionale?
«Gli IRCCS devono rappresentare, per l’intero sistema sanitario nazionale, elementi che favoriscano l’innovazione in sanità, migliorando la qualità, l’efficacia e l’appropriatezza delle cure, tutti parametri che devono poter essere misurati con sistemi di valutazione nazionale e regionale».
Quali investimenti ci sono per gli IRCCS?
«La missione 4 del PNRR (Istruzione e ricerca) investe oltre 30 miliardi, di cui 11 miliardi per sostenere gli investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione e quasi 400 milioni per sostenere i dottorati di ricerca, quindi anche il PNRR – che è “dell’altro ieri” rispetto a quando sono nati gli IRCCS – ha sottolineato l’importanza degli investimenti nella ricerca. Tutte azioni che stiamo mettendo in pratica per migliorare il Sistema sanitario nazionale. Inoltre, gioca un ruolo importantissimo la riorganizzazione della rete degli IRCCS con la legge delega».
IRCCS non più competitor, ma partecipanti di una stessa squadra, con un’ottica di ritorno e di ricaduta nel territorio regionale e poi nazionale
Approfondiamo la legge di riforma e riordino degli IRCCS…
«Uno degli aspetti di questa legge che voglio sottolineare con forza è che questa riorganizzazione deve, a mio avviso, facilitare lo scambio di competenze tra gli IRCCS, non più con una logica di competizione, ma di lavoro comune al fine di aumentare il risultato finale per il sistema sanitario nazionale e, aggiungo e sottolineo, anche e soprattutto per i sistemi sanitari regionali, poiché questi ospedali di eccellenza sono inseriti nelle regioni. Per quanto riguarda l’attività clinico-assistenziale, sono erogatori dei sistemi sanitari regionali e questa legge di riordino deve favorire questa interrelazione. Non più competitor, ma partecipanti di una stessa squadra, con un’ottica di ritorno e di ricaduta nel territorio regionale e poi nazionale».
Negli ultimi anni gli investimenti negli IRCCS cos’hanno portato?
«Oltre 18mila e 800 pubblicazioni, un Impact Factor enorme, oltre 650mila citazioni e più di 11mila ricercatori che, a pieno titolo, hanno contribuito alla ricerca. Quindi un investimento importante e una capacità scientifica non indifferente. È interessante notare anche che quasi la metà dei trial clinici presenti in Italia, supportati dalle aziende farmaceutiche, sono svolti negli IRCCS dove si fa ricerca con competenze, strumentazione e complessità delle casistiche e dove, effettivamente, si può sperimentare un farmaco o un dispositivo e valorizzarlo rispetto alle terapie standard. Gli IRCCS effettuano oltre 800mila ricoveri e arruolano oltre 50mila pazienti in trial clinici. Quindi numeri importanti per il nostro sistema sanitario nazionale».
Come massimizzare gli investimenti negli IRCCS?
«Il primo tema che viene posto è quello del finanziamento, che ci riporta al finanziamento complessivo del sistema sanitario nazionale legato ad una percentuale del PIL, quindi alla disponibilità economica, che permette di svolgere più attività; l’importante è spendere in maniera efficiente. È vero che il Ministero della Salute finanzia con 172 milioni la ricerca corrente ed è anche vero che nel 2021 gli IRCCS hanno raccolto 334 milioni di euro in Grant competitivi, cioè quasi due terzi in più del finanziamento del Ministero della Salute. Un altro elemento fondamentale è quello della ricerca competitiva che la “si gioca” in Europa, a livello internazionale, e per accedervi è necessario essere performanti. Va da sé che se, effettivamente, volessimo fare un riordino e una riforma degli IRCCS, qualche criterio di valutazione delle performance occorrerebbe assolutamente introdurlo. Siamo passati da 32 a oltre 50 IRCCS attuali, come se esserlo potesse aumentare il finanziamento aziendale. Tuttavia, per ottenere il riconoscimento come IRCCS una struttura sanitaria deve dimostrare standard di eccellenza sia nell’assistenza clinica sia nella ricerca scientifica».
La sostenibilità degli IRCCS attuali è ancora possibile?
«L’incremento “esplosivo” del numero degli IRCCS rappresenta un valore sul territorio nazionale e che il nostro sistema sanitario ha voluto sottolineare; tuttavia, non è più sostenibile questa situazione, poiché a fronte di questo incremento nel numero, non c’è stato un contestuale incremento di fondi dedicati alla ricerca corrente. L’attuale sistema di valutazione ministeriale si basa su 5 criteri: produzione scientifica (55%), attività assistenziale (20%), capacità di operare in rete (10%), capacità di attrarre risorse (10%) e trasferimento tecnologico (5%). Tuttavia, dal mio punto di vista, questo sistema dovrebbe essere migliorato perché tende a privilegiare degli indicatori quantitativi, cioè il numero di pubblicazioni che possono seguire anche delle derive. Riconosco l’importanza finora svolta nel finanziamento degli IRCCS dalla produzione scientifica, ma se non ho ricercatori, o comunque non ho un sistema che sia capace di produrre pubblicazioni che vanno sulle riviste con maggiore Impact Factor, o addirittura cerco di avere un maggior numero di pubblicazioni atte ad avere maggiore finanziamento, questo potrebbe non essere più attuale per il calcolo delle performance degli IRCCS; ritengo invece importante far emergere, laddove esista, la differenza nelle capacità clinico-assistenziali e nelle capacità di operare in rete con un ruolo di guida nella ricerca clinica».
Il sistema di valutazione ministeriale rischia di privilegiare indicatori quantitativi rispetto alle capacità clinico-assistenziali e di operare in rete
Come fare per migliorare i criteri di riconoscimento degli IRCCS?
«All’interno della legge di riordino degli IRCCS, occorre una revisione dei criteri per il riconoscimento degli IRCCS, ma anche l’introduzione di criteri sia per la conferma, sia anche per la revoca. Necessariamente, se vogliamo che questo sistema rimanga competitivo nella ricerca internazionale, è obbligatorio che si debba rafforzare il sistema di valutazione che si basa, fondamentalmente, sulla natura scientifica degli Istituti, rappresentata dall’attività di ricerca clinica, preclinica sanitaria e comunque dall’attività scientifica. Il tutto dentro una programmazione nazionale, regionale con un sistema di rendicontazione chiaro e di valutazione trasparente nei criteri di misurazione. Ritengo sia necessaria la predisposizione di livelli minimi di queste cinque voci, se vogliamo mantenerle, ma ho già sottolineato come occorra introdurre nuovi criteri di valutazione dell’attività clinico-assistenziale e nelle capacità di operare in rete con un ruolo guida nella ricerca clinica. Inoltre, per la riconferma o la revoca, in caso di valori inferiori agli standard prefissati, dovrebbe essere dato un tempo per recuperare, come in qualsiasi sistema di qualità o un qualsiasi sistema di analisi delle performance. Altro elemento da valorizzare è la capacità di attrarre risorse, nell’ambito della ricerca clinica traslazionale, visto l’importante ruolo che gli IRCCS hanno nel vincere, a livello internazionale, dei Grant competitivi».
Squilibri territoriali: tanti IRCCS sono concentrati in due regioni, meno al sud e quattro regioni sono senza. Quali soluzioni si potrebbero prospettare?
«La territorialità degli IRCCS, presenti in 16 regioni su 20 è una fotografia che parla da sola. Il fatto che la distribuzione geografica veda anche una presenza prevalente in due regioni, la Lombardia e il Lazio, che hanno oltre il 50% degli IRCCS è un ulteriore elemento che fa riflettere. Questa situazione porta a delle domande: quali soluzioni? Li aumentiamo, ma con quali finanziamenti? Li diminuiamo? Come facciamo per quelli che verrebbero revocati? Tempi eventuali “di recupero”? È necessaria una riflessione. Il sistema di valutazione sopra citato dovrebbe portare a una strategia legata all’assetto territoriale. Ed è l’assetto territoriale che può garantire l’equo accesso alle cure, ma necessita di un ambito di programmazione nazionale che tenga conto di come questi bisogni siano sostenibili. Ciò comporta l’introduzione di “bacini minimi” di riferimento, già inseriti nella legge di riforma che garantisce una suddivisione degli IRCCS in nord, centro e sud, tenendo anche in conto molteplici variabili. Inoltre, un sistema di valutazione strategico deve considerare anche l’expertise poiché la ricerca è una professione fatta anche di competenze e di regole. Operare in rete significa che l’IRCCS diventa un punto di riferimento di un territorio più ampio con la capacità di coagulare intorno a sé e individuare ciò che deve essere fatto nell’ospedale spoke sul territorio e ciò che deve essere fatto al centro. Tutto ciò aiuterebbe la programmazione regionale o interregionale».
Dobbiamo avere la possibilità di premiare o individuare quote di valorizzazione per i giovani ricercatori
Potenziare gli IRCCS anche in un’ottica interregionale quindi?
«L’articolo 7 della Legge 200 riferisce che bisogna individuare i centri di riferimento regionale o nazionale; ciò deve essere letto come un elemento sostanziale ed entrare a pieno titolo nella programmazione sanitaria di quella regione o di quel sistema interregionale, diventando punto di eccellenza per la cura, per la ricerca biomedica e per l’innovazione terapeutica e tecnologica. Tutto ciò, le regioni devono metterlo “a sistema” anche se non è facile. Nell’ambito delle linee guida per redigere i piani organizzativi strategici, rispetto alle Aziende sanitarie, gli IRCCS, a mio avviso, dovrebbero avere un grado di libertà maggiore, che significa la possibilità di disegnare modelli organizzativi adatti a confrontarsi con la ricerca a livello internazionale, come modelli di costruzione di team che lavorano in ambiti di ricerca preclinica, clinica e terapeutica, quindi avere qualche elemento per disegnare l’organizzazione che ricalchi quella internazionale».
Piramide della Ricerca e talent retention: si può fare?
«Il percorso di regolarizzazione, detto anche Piramide della Ricerca, ha permesso di introdurre giovani ricercatori, ha riconosciuto il ruolo di personale della ricerca non medico, bioinformatici, ingegneri e coordinato i data manager. Ma sono solo una parte del personale. E fanno sia ricerca, sia assistenza. Occorre quindi che nel sistema di calcolo dei fabbisogni minimi assistenziali che le regioni chiedono agli IRCCS e lo Stato chiede alle regioni, ci sia una percentuale di personale dedicato all’assistenza e alla ricerca. Sarebbe necessario un indicatore per misurare questa percentuale. Inoltre, sarebbe importante valorizzare le potenzialità e il percorso professionale per poter fare retention dei talenti: dobbiamo avere la possibilità di premiare o individuare quote di valorizzazione per i giovani ricercatori. E occorre un cambio dell’aspetto giuridico della normativa. Riguardo alle Reti di patologia, strumento previsto nel DL 200, non devono diventare “un’associazione di scienziati’” ma uno strumento, un modello gestionale e organizzativo. Non solo linee guida e protocolli, ma anche analisi dei bisogni. Negli IRCCS, inoltre, occorre una connessione forte tra il direttore generale e il direttore scientifico, elementi essenziali di una direzione strategica, ma finora nella stragrande maggioranza degli IRCCS queste sono in posizioni contrapposte. Ultime tre sfide per gli IRCCS sono la digitalizzazione, l’intelligenza artificiale e l’internazionalizzazione».
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