Dopo la fisiologia, la patologia. L’articolo 122-bis, D.L. 34/2020, rubricato “Misure di contrasto alle frodi in materia di cessione dei crediti”, dispone che l’Agenzia delle entrate, nei 5 giorni dall’invio delle comunicazioni di opzione per la cessione del credito e lo sconto in fattura, ai sensi dell’articolo 121, D.L. 34/2020, può sospendere gli effetti delle predette comunicazioni, laddove presentino “profili di rischio” frode. Alla prima selezione, automatizzata e centralizzata, di tali posizioni di possibile “rischio”, deve seguire l’approfondimento istruttorio della documentazione rilevante, a cura dell’ufficio territorialmente competente, nei successivi 30 giorni, con conseguente annullamento delle opzioni mediante apposite comunicazioni di “scarto”, laddove i menzionati profili di “rischio” risultino confermati (e fermo restando, sia in caso di “sblocco”, sia in caso di “scarto” delle opzioni, l’esperibilità dei controlli sostanziali a carico dei contribuenti che hanno sostenuto le spese e dei soggetti coinvolti nelle opzioni de quibus).
In tema, è bene interrogarsi circa l’autonoma impugnabilità delle comunicazioni di annullamento delle predette opzioni di cessione e di sconto, attesa l’esigenza di garantire sia ai contribuenti beneficiari delle agevolazioni, sia ai soggetti cessionari dei crediti e ai fornitori concedenti lo sconto, la tutela dei loro interessi, a fronte di eventuali scorrette letture erariali, in punto di sussistenza degli specifici “profili di rischio frode”.
Non vi è dubbio, infatti, che i provvedimenti di “scarto” delle opzioni di cui si discute, impedendo la circolazione dei crediti, sono suscettibili di generare direttamente e immediatamente gravi effetti pregiudizievoli, di natura patrimoniale, in capo ai contribuenti beneficiari dei bonus. Si pensi, per esempio, come l’impedimento all’acquisizione dei crediti d’imposta, in capo alle imprese che hanno svolto i lavori e concesso lo sconto, comporti a carico dei predetti contribuenti l’obbligo di sostenere autonomamente i costi per gli interventi edilizi, allo scopo di poter conservare un residuo accesso ai regimi di favore fiscale; e con il rischio, in ogni caso, che tali bonus risultino preclusi da possibili situazioni di incapienza in capo ai medesimi contribuenti.
In questo quadro, appare evidente come i provvedimenti erariali di “scarto” delle opzioni de quibus, in quanto volti al contrasto preventivo delle frodi in materia di bonus edilizi, assumano una funzione eminentemente cautelare pro fisco.
Se è così, ne deriva che i provvedimenti di “scarto” delle opzioni sono riconducibili, per caratteristiche, funzioni ed effetti, alle misure cautelari ricomprese tra gli atti tipici impugnabili, di cui all’articolo 19, D.Lgs. 546/1992. Si tratta, in particolare, di quelle misure ove non si dà luogo a funzioni impositive in senso proprio, ma piuttosto a funzioni di garanzia o a favore delle ragioni di credito dell’Amministrazione finanziaria, o a favore degli atti dell’esecuzione tributaria: come nel caso dei provvedimenti di “sospensione dei rimborsi”, di cui all’articolo 23, D.Lgs. 472/1997, impugnabili ai sensi della lett. i) dell’articolo 19, D.Lgs. 546/1992; ovvero dei provvedimenti di iscrizione di ipoteca sugli immobili e di fermo dei beni mobili registrati, impugnabili in virtù del comma 1, lett. e-bis) ed e-ter), dell’articolo 19, D.Lgs. 546/1992.
Trova, allora, puntuale applicazione, nella fattispecie in analisi, l’insegnamento della costante giurisprudenza di legittimità, per cui l’elencazione dell’articolo 19, D.lgs 546/1992 “lascia aperta un’interpretazione estensiva”, nel senso che deve ammettersi l’impugnabilità di ogni atto che, pur non essendo contemplato dalla disposizione in esame, possa essere assimilato ad uno degli atti tipici, in virtù dello scopo che persegue e degli effetti che produce (ex pluribus, da ultimo, Cassazione n. 28812/2024).
Del resto, anche la giurisprudenza di merito ha concluso per l’impugnabilità dei provvedimenti di cui si tratta: come dimostra la prima sentenza resa in Italia in tema di contestazione delle comunicazioni di “scarto” delle opzioni di cessione e sconto, della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Trieste, 11.4.2023, n. 81, la quale ha riconosciuto la propria giurisdizione sul tema perché, “sebbene il provvedimento impugnato non sia elencato tra quelli indicati dall’articolo 19 del D.Lgs. 546/92, ciò nonostante la possibilità di cessione del credito – impedito dal provvedimento dell’Amministrazione finanziaria – si pone come una delle possibilità attraverso le quali il contribuente può beneficiare dello sconto fiscale previsto dalla norma agevolatrice e, pertanto, costituisce, sicuramente, un elemento della struttura tributaria del beneficio fiscale”. Il giudice del merito ha correttamente concepito l’esperibilità delle opzioni, ex articolo 121, D.L. 34/2020, non come mera facoltà in capo ai contribuenti, alternativa alla detrazione, ma come meccanismo consustanziale alla fruizione dei benefici fiscali: con la conseguenza che i provvedimenti di “scarto” delle opzioni, impedendo tout court l’accesso ai regimi agevolativi, richiedono di poter essere impugnati in sede giudiziale, a tutela dei contribuenti beneficiari.
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