La separazione delle carriere: repetita iuvant!
di Armando Spataro
Sommario: 1. L’incubo che non scompare – 2. Le balle a sostegno dell’impostura: i giudici appiattiti sulle tesi dei p.m., la “riforma-Falcone”, il giusto processo ex art.111 Cost., il sorteggio dei membri togati dei due CSM e dell’Alta Corte Disciplinare – 3. Paulo Sergio Pinto de Albuquerque, un grande giurista e la sua deludente intervista – 4. La diversità di storia e cultura giuridica dei Paesi europei; 5. Ovunque esiste la separazione delle carriere, il PM dipende dall’Esecutivo (tranne che in Portogallo) – 6. La situazione in Portogallo – 7. Le istituzioni europee guardano al sistema italiano come un modello da realizzare ovunque: le “passerelle” dalla funzione di PM quella dei giudici, e viceversa, fanno crescere le garanzie dei cittadini – 8. Il silenzio colpevole dei “separatisti” – 9. L’impegno contro questa riforma? Testimonianza di dignità e coerenza.
1. L’incubo che non scompare
Il 16 gennaio la Camera dei Deputati ha approvato in prima deliberazione il Disegno di Legge Costituzionale presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Meloni) e dal Ministro della Giustizia Nordio, intitolato “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”. La proposta ha per principale oggetto la separazione delle carriere dei magistrati: l’approvazione è avvenuta con 174 voti favorevoli, 92 contrari e 5 astenuti, dunque con una percentuale di adesioni che non supera i due terzi dei 400 componenti elettivi della Camera e che difficilmente potrà mutare nelle prossime altre tre letture e votazioni, anche presso il Senato, composto da 200 componenti elettivi. In sostanza, pur potendosi dare per scontata la approvazione finale della proposta di separazione delle carriere dei magistrati e delle previsioni ad essa connesse, bisognerà sin d’ora prepararsi ad un deciso impegno in sede referendaria, ai sensi dell’art. 138 Costituzione, perché questa orrida proposta finisca su un binario morto.
Dopo la ricordata prima approvazione del 16 gennaio, si sono sprecati i commenti dai toni trionfalistici di Nordio e di altri politici appartenenti alla maggioranza di governo, anche in onore e ricordo di Silvio Berlusconi! Ma chi la pensa in senso opposto non ha risparmiato i doverosi toni allarmistici.
Chi scrive, interviene da anni sul tema della separazione delle carriere per sottolinearne la sua natura di “impostura” anacronistica e irrisoria: in Treccani si spiega che con il termine impostura si intende la tecnica di “inganno e menzogna per trarne profitto”.
Vorrei provare allora ad intervenire su argomenti che i sedicenti giuristi favorevoli alla separazione delle carriere – che d’ora in avanti chiamerò “separatisti” – hanno ignorato (o “ignorano”), evitando anche di rispondere a precisi stimoli di chi la pensa diversamente da loro (gli “unionisti”).
2. Le balle a sostegno dell’impostura: i giudici appiattiti sulle tesi dei p.m., la “riforma-Falcone”, il giusto processo ex art.111 Cost., il sorteggio dei membri togati dei due CSM e dell’Alta Corte Disciplinare.
Non parliamo dunque del fatto che l’appartenenza alla stessa “famiglia” determinerebbe contiguità tra giudici e p.m., condizionando i primi e determinandone l’“appiattimento” sulle tesi dei p.m. e la predisposizione a prestare maggior attenzione alle richieste dell’accusa. Basta ricordare in proposito le parole di Francesco Saverio Borrelli [], secondo cui il sospetto artificioso di “gratuita proclività” del giudice a simpatizzare per le tesi dell’accusatore è da respingere, in quanto fondato su “diffidenze plebee che scorgono ovunque collusioni”.
È anche falso che la separazione delle carriere favorirebbe la maggiore efficacia dell’azione del P.M., tanto che anche Giovanni Falcone avrebbe auspicato una legge in proposito: un noto giornalista è arrivato a proporre che questa legge in fieri sia definita “Riforma Falcone” ed in molti poi, a favore della loro tesi, citano alcuni passaggi di un intervento di Falcone del 1989. Ma è una citazione fuorviante ed un’interpretazione errata di frasi estrapolate da un testo ben più ampio, la cui lettura completa dimostra che Falcone teorizzava la necessità di una più accentuata specializzazione del P.M. nella direzione della polizia giudiziaria, rispetto a quanto richiesto nel regime vigente prima del codice di rito del 1988. Lo hanno confermato la scrittrice giornalista Marcelle Padovani, che con il collega scrisse un libro importante, nonché magistrati come Ayala, Grasso e Natoli che con Falcone avevano a lungo collaborato a Palermo. In ogni caso, la più sicura conferma della sua contrarietà alla separazione delle carriere la diede Falcone stesso chiedendo e ottenendo più volte di passare dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa: da giudice istruttore era anche diventato procuratore della Repubblica aggiunto, funzione che esercitava quando fu chiamato da Martelli al ministero. E analoghi mutamenti di funzione hanno chiesto e ottenuto altre vittime di mafia e terrorismo come Paolo Borsellino e Guido Galli, nonché altri magistrati cui tanto deve il nostro paese come il citato Francesco Saverio Borrelli.
Né potrebbero trarsi argomenti a sostegno della separazione dal testo dell’art. 111 Cost.
La parità delle parti, di cui parla il secondo comma, non si gioca sul piano istituzionale: l’avvocato è un privato professionista vincolato dal solo mandato a difendere, che lo obbliga a ricercare l’assoluzione o, comunque, l’esito più conveniente per il proprio assistito, che lo retribuisce per questo, ed è figura diversa dal P.M., che è un’autorità giudiziaria indipendente, non riducibile al ruolo di “avvocato della polizia” definizione tanto cara al Ministro Nordio. Non a caso il PM è obbligato a svolgere indagini anche a favore dell’imputato: egli, infatti, non agisce sempre in vista della condanna ma dell’accertamento della verità. E questo è un carattere essenziale della sua attività professionale che lo accomunerà comunque al giudice, anche nella malaugurata ipotesi di entrata in vigore della separazione: un carattere che si chiama “cultura giurisdizionale”, definizione ritenuta dai separatisti un mero slogan.
A questo punto, però, non voglio entrare in contraddizione con la dichiarata volontà di approfondire argomenti diversi da quelli quotidianamente oggetto di dispute giornalistiche e di confronti urlati nei talk show serali, come i dati numerici relativi al tramutamento di funzione i quali dimostrano che di fatto non vi è bisogno di mutamenti ulteriori della disciplina o come l’importanza di un’unica formazione dei magistrati e un unico CSM che ne regoli ed amministri le carriere.
Per non parlare della vergogna (non riesco a definirla diversamente) del sorteggio previsto per designare i membri togati dell’altra Corte Disciplinare e dei due CSM, così evitare gli effetti critici della esistenza dell’ANM e delle sue correnti : qualcuno, anzi, vorrebbe sciogliere l’una e le altre per contrastare indicibili accordi, comunque ben diversi – aggiunge chi scrive – da quelli che in questi giorni stanno caratterizzando l’individuazione di quattro giudici da eleggere quali componenti della Corte Costituzionale: ma nessuno ne parla!
3. Paulo Sergio Pinto de Albuquerque, un grande giurista e la sua deludente intervista
Parliamo allora di altro, parliamo della situazione ordinamentale degli altri Stati europei e degli Stati Uniti.
Lo spunto per tornare su questo quasi inesplorato (o mal esplorato) argomento è nato da una intervista rilasciata dal prof. Paulo S. Pinto de Albuquerque, pubblicata l’11 gennaio 2024 su “Il Riformista PQM”, di cui è direttore responsabile l’ex presidente della Unione Camere Penali, avv. Gian Domenico Caiazza, uno dei più duri “separatisti” a me noti. Paulo Sergio Pinto de Albuquerque è professore portoghese ordinario di Diritto Penale e Diritti Umani all’Università di Lisbona, con almeno 40 anni di esperienza come giudice nazionale e internazionale, avvocato e attivista per i diritti umani.
È stato esperto del Gruppo di Stati contro la Corruzione (Greco) nel biennio 2009/2010 e giudice della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo dal 2011 al 2020. Personalmente ho avuto l’onore di contribuire con un mio intervento ad un volume edito nel 2021, “I diritti Umani in una prospettiva Europea – Opinioni dissenzienti e concorrenti, 2016-2020”, di Paulo Sergio Pinto de Albuquerque, a cura di Andrea Saccucci, con prefazione di Raffaele Sabato e Gilberto Feltri.
Per tutto questo, rimasi profondamente deluso nel leggere l’intervista in cui la proposta di legge Meloni-Nordio sulla separazione delle carriere viene da lui definita “eccellente” con ulteriori e plurimi elogi: «sono un sostenitore della separazione delle carriere, perché essa contribuisce in modo significativo alla piena realizzazione del principio accusatorio, della presunzione di innocenza e del giusto processo. Inoltre, la separazione delle carriere contribuisce anche alla valorizzazione della magistratura del Pubblico Ministero. In Portogallo, prima della separazione delle carriere, la carriera del Pubblico Ministero era una carriera preparatoria per la carriera giudiziaria. Questo comportava, tra l’altro, due conseguenze molto negative. Prima di tutto, la carriera del Pubblico Ministero veniva considerata una carriera di minor valore, il che diminuiva la rilevanza istituzionale e il prestigio sociale della carriera del Pubblico Ministero. In secondo luogo, la carriera preparatoria del magistrato del Ministero Pubblico creava tra i giudici un pregiudizio endemico favorevole all’accusa, il che danneggiava gravemente il principio accusatorio, la presunzione di innocenza e il giusto processo. Queste conseguenze negative sono state definitivamente eliminate dalla separazione delle carriere.»
Alla domanda sul rischio che la riforma italiana, modificando profondamente l’attuale quadro costituzionale e l’equilibrio tra i poteri dello Stato, potrebbe finire con l’incidere sulla indipendenza al potere giudiziario, riducendo le garanzie e i diritti di libertà dei cittadini, Paulo Sergio Pinto de Albuquerque affermava di non condividere queste preoccupazioni: «La separazione delle carriere rafforza l’indipendenza del potere giudiziario e aumenta le garanzie per i cittadini, come ho già spiegato nella risposta precedente. Questa è l’esperienza vissuta quotidianamente nei tribunali portoghesi».
In Portogallo – egli precisava – la separazione delle carriere non ha contribuito a una logica securitaria del Pubblico Ministero e tanto meno al suo allontanamento dalla “cultura della giurisdizione”, perché il Pubblico Ministero, nel quadro costituzionale portoghese, è una magistratura indipendente dal governo. La competenza di rappresentanza dello Stato, in particolare nei tribunali civili e nei tribunali amministrativi e fiscali, è strettamente legata alla difesa della legalità democratica, che è anche attribuita dalla legge al Pubblico Ministero. «Perché, anche in questi casi, il Pubblico Ministero agisce in modo imparziale e indipendente, non comandato da alcun organo specifico dell’apparato statale. Secondo la Costituzione portoghese, il Pubblico Ministero gode di autonomia rispetto agli altri organi del potere centrale, regionale e locale. L’autonomia del Pubblico Ministero si caratterizza per il suo vincolo a criteri di legalità e obiettività e per la soggezione esclusiva dei magistrati del Pubblico Ministero alle direttive, ordini e istruzioni previsti nel loro statuto, nell’ambito della loro gerarchia interna. È importante sottolineare che, nel processo penale, il Pubblico Ministero deve esercitare l’azione penale orientato dal principio di legalità, indagando il caso sia a carico che a discarico».
Tutto ciò perché, a quasi 50 anni dalla riforma che ha istituito la separazione organica tra la carriera dei giudici e quella del Pubblico Ministero, «i magistrati del Pubblico Ministero in Portogallo non si sentono sottoposti al controllo del potere esecutivo, né esprimono pubblicamente alcun disagio a questo proposito. La separazione delle carriere è stata una conquista fondamentale della democrazia portoghese, che ha avuto pieno successo nella pratica. Su questo sono d’accordo i giudici, i magistrati del Pubblico Ministero, gli avvocati e, in generale, la società civile».
Quest’ultimo giudizio, come si dirà appresso, non è affatto condiviso in Portogallo e comunque confesso che quella intervista, nell’ovvio rispetto del pensiero di Paulo Sergio Pinto de Albuquerque, appena letta, mi lasciò davvero senza parole: la giornata era iniziata male, ma fortunatamente scrissi al grande giurista, esponendogli le mie perplessità e determinando il suo apprezzamento per la correttezza del mio approccio.
4. La diversità di storia e cultura giuridica dei Paesi europei
Sono molti gli argomenti di segno opposto a quelli usati da Paulo Sergio Pinto de Albuquerque che si potrebbero qui precisare (e di cui – come ho detto – da molti anni parlo e scrivo), ma francamente preferisco evitare limitandomi a precisare quanto sia errato ritenere che il funzionamento (ammesso che di questo si tratti in Portogallo) di scelte ordinamentali in un Paese ne legittimi l’adozione anche in altri Stati. Non possono trascurarsi, infatti, le diverse storie e differenze di cultura giuridica e degli ordinamenti giudiziari europei nei quali – in caso di pm separato dai giudici – esiste comunque la figura del Giudice Istruttore (titolare indipendente delle indagini), da noi cancellata da vari decenni.
È gratuito affermare, dunque, che la separazione delle carriere si impone anche in Italia poiché si tratta dell’assetto ordinamentale esistente o nettamente prevalente negli ordinamenti degli altri Stati a democrazia avanzata, Stati Uniti inclusi, senza che ciò comporti dipendenza del PM dal potere esecutivo e il condizionamento delle indagini ().
Questa è un’affermazione gratuita che, in modo stupefacente, viene utilizzata anche da autorevoli commentatori e da giuristi favorevoli alla separazione, i quali – tuttavia – non possono non conoscerne la natura di mero slogan, né ignorare quanto essa sia priva totalmente di fondamento. Ma purtroppo, si tratta di una delle tante affermazioni sistematicamente utilizzate “contro” la magistratura che hanno determinato, grazie a martellanti campagne di opinione, convinzioni tanto radicate quanto errate.
Ed aggiungiamo che è un’affermazione anche incoerente e contraddittoria rispetto a quanto si legge nella relazione di accompagnamento al DDL costituzionale Nordio-Meloni: «Sui temi della separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e requirenti, della esistenza e regolamentazione di Consigli Superiori, nonché sulla materia disciplinare, le soluzioni adottate da parte di altri Stati membri dell’Unione Europea sono variegate e non emergono linee prevalenti. Sono assai varie anche le scelte normative dei diversi Stat, risultando la materia oggetto di disciplina articolata a livello nazionale con interazione di disposizioni costituzionali, ordinamentali e di rito processuale».
È sufficiente, infatti, un’analisi anche superficiale della situazione internazionale o degli ordinamenti degli Stati più evoluti per verificare che la realtà è abbastanza diversa da quella che spesso sentiamo raccontare in Italia. È chiaro, peraltro, che un confronto di questo tipo non è sempre utile se solo si considera che spesso esiste una radicale differenza tra gli ordinamenti presi in considerazione, frutto di tradizioni giuridiche ed evoluzioni storiche peculiari di ciascun paese. Basti pensare al fatto che in Gran Bretagna manca del tutto un pubblico ministero come noi lo intendiamo.
Non si comprende, dunque, come il Ministro Nordio possa avere dichiarato che «nei paesi anglosassoni le carriere sono separate e la magistratura non si sente umiliata» [].
Tra l’altro, il prof. Alessandro Pizzorusso, a proposito di indipendenza del pubblico ministero, affermava l’irrilevanza del dato numerico relativo ai paesi che seguono l’una o l’altra impostazione: «se così non fosse, quando l’Inghilterra era l’unico paese in cui esisteva la democrazia parlamentare, si sarebbe potuto invocare l’argomento comparatistico per dimostrare l’opportunità di instaurare la monarchia assoluta, che era la forma allora assolutamente prevalente». Però possono egualmente trarsi, dalla comparazione ordinamentale, degli spunti generali per la questione che qui interessa, utili a verificare che, nel panorama internazionale, gli ordinamenti che conoscono la separazione delle carriere non costituiscono affatto la maggioranza. Inoltre – ed il dato è molto significativo ai fini che qui interessano – all’estero accade spesso che chi abbia maturato esperienze professionali di pubblico ministero acquisisce una sorta di titolo preferenziale per accedere alla carriera giudicante: dunque, quell’esperienza viene considerata molto positivamente.
5.Ovunque esiste la separazione delle carriere, il PM dipende dall’Esecutivo (tranne che in Portogallo)
Ma, soprattutto, non può non considerarsi che, ove esiste la separazione delle carriere, questa porta con sé la dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo, una conseguenza assolutamente preoccupante, pur se non sgradita ad alcuni accademici come il prof. G. Di Federico [] e persino all’avv. Gian Domenico Caiazza, già presidente della Unione Camere Penali, che nel corso di un confronto con lo scrivente [] ha manifestato la propria indifferenza a tale ipotesi.
Ecco, schematicamente, con inevitabile sommarietà, la realtà di alcuni Stati europei (all’Italia geograficamente più vicini) e degli Stati Uniti, cioè di Stati i cui livelli di democrazia, pur nella diversità ordinamentale, sono sicuramente omogenei rispetto ai nostri:
· in Austria, il PM è organizzato come autorità amministrativa, è gerarchicamente strutturato ed è nominato dal Ministro di Giustizia, da cui dipende. Esiste interscambiabilità dei ruoli;
· in Belgio, il PM è nominato dal Re ed il passaggio da una carriera all’altra può avvenire solo per decisione dell’esecutivo, da cui, comunque, riceve direttive di carattere generale; anche il passaggio da una carriera all’altro può avvenire, per i PM, soltanto per decisione dell’esecutivo;
· in Germania chi esercita la funzione requirente riveste uno status di funzionario statale dipendente, nominato dall’esecutivo ed ha garanzie diminuite rispetto ai giudici; le carriere di giudici e dei pubblici ministeri, inoltre, sono separate, ma l’interscambio è comunque possibile, pur se non è frequente e, per lo più, avviene in un’unica direzione (da PM a Giudice). Lo statuto subordinato del PM ha portato la Corte di Giustizia UE ad affermare che i PM tedeschi, in quanto non totalmente indipendenti perché soggetti al potere di istruzione del ministro, non possono essere qualificati come autorità giudiziaria ai fini della possibilità di emettere Mandati di Arresto Europei (casi riuniti C-508/18 e C-82/19 PPU). Insomma, certe scelte si pagano.
· in Francia, la carriera è unica, è possibile passare da una funzione all’altra, ma il pubblico ministero, pur inserito nell’ordinamento giudiziario, dipende dall’esecutivo, è sottoposto a forme di controllo di tipo gerarchico-burocratico da parte del Ministro della Giustizia, ha un limitato controllo della polizia giudiziaria. Peraltro, i problemi che derivano dalla collocazione del p.m. sono oggi, in quel paese, all’attenzione della pubblica opinione e si è avviata una discussione sulla riforma del P.M., anche alla luce di due durissime condanne della Corte Europea dei diritti dell’uomo (Moulin c. Francia del 2010 e Vasis c. Francia del 2013). Pur tra resistenze politiche manifestatesi dopo incriminazioni “eccellenti” avvenute anche in un recente passato, si tende a conferire al P.M. maggiore autonomia dall’Esecutivo.
Nel novembre 2013, ad esempio, è stato reso noto il rapporto della Commissione Ministeriale presieduta dal Procuratore Generale Onorario presso la Corte di Cassazione, Jean-Luis Nadal e composta anche da giudici, presidenti di Corte d’Appello e di Tribunale. Orbene, il rapporto, premessa la necessità di garantire l’indipendenza del Pubblico Ministero, ha sottolineato, innanzitutto, proprio la necessaria priorità della unificazione effettiva delle carriere dei giudici e dei P.M. (“Proposta n. 1: Iscrivere nella Costituzione il principio dell’unità della magistratura”), eliminando ogni ambiguità ed affidandone la completa gestione al Consiglio Superiore della Magistratura, senza interferenze dell’esecutivo. Ciò al fine di «garantire ai cittadini una giustizia indipendente, uguale per tutti e liberata da ogni sospetto». Dal luglio 2013, comunque, a seguito di una legge voluta dal Ministro della Giustizia pro tempore Christiane Taubira (poi dimessasi perché contraria alla “costituzionalizzazione dell’emergenza” antiterroristica), è vietato al Ministro della Giustizia di indirizzare ai pubblici ministeri linee guida in relazione a specifici casi concreti (ora, può solo formulare linee generali).È stato intanto presentato un progetto di riforma che prevede di rafforzare i poteri del CSM nella nomina dei procuratori (che allo stato è totalmente nelle mani dell’esecutivo), ma esso langue nel Parlamento francese;
· in Spagna, le carriere sono costituzionalmente separate senza possibilità di interscambio. Esiste una certa dipendenza del pubblico ministero dall’esecutivo;
· in Inghilterra e Galles, come si è già detto, non esiste il pubblico ministero nelle forme da noi tradizionalmente conosciute, ma il Crown Prosecution Service che consiglia la Polizia la quale ha da sempre l’iniziativa penale e può nominare un avvocato da cui far rappresentare le sue ragioni. Non è dunque corretto neppure quanto affermato dall’avv. Francesco Petrelli (Il Dubbio, 30 agosto 2023), secondo cui anche in Gran Bretagna il PM sarebbe separato dal Giudice;
· in Svizzera le carriere sono separate e non vi si accede mediante concorso, ma a seguito di elezione. L’esistenza di un ordinamento federale e di diversi ordinamenti statali e, dunque, di regole molto diverse tra loro, impedisce di approfondire il discorso in questa sede. Non è prevista alcuna forma di passaggio dalla carriera requirente e quella giudicante e viceversa;
· in Olanda, previa frequentazione di corsi di aggiornamento, è possibile passare dalla magistratura giudicante all’ufficio del p.m. (e viceversa), ma il PM è sottoposto alle direttive dell’esecutivo per l’esercizio discrezionale dell’azione penale;
· in Polonia, la riforma della Prokuratura del 2016 ha interrotto e invertito un percorso che era in atto dal 2009 e mirava ad un ufficio indipendente del PM: il ruolo del Ministro della Giustizia è stato riunificato con quello del Procuratore generale, in modo da accentrare nella stessa persona maggiori poteri di indagine ed intervento diretto in casi specifici pendenti presso le giurisdizioni. Una concentrazione di potere che ha comportato l’eliminazione di qualsiasi forma di indipendenza interna per i singoli procuratori. Ne ha parlato Maria Rosaria Guglielmi, in un importante articolo [] in cui sono citate le osservazioni della Commissione di Venezia, le decisioni della Corte Edu e i rapporti della Commissione Europea sulle condizioni di dipendenza dal potere politico dei pubblici ministeri anche in Bulgaria e Romania, in un contesto di enorme pressione sui giudici. In Polonia, peraltro, il 19 gennaio 2024, il governo Tusk ha presentato una proposta legislativa per separare le funzioni del Procuratore Generale da quelle del Ministro della Giustizia, che invece erano state riunite sotto il precedente governo (con effetti evidenti sull’indipendenza): ciò fa parte dello sforzo di rimettere la Polonia sui binari dello Stato di diritto;
· l’ordinamento statunitense, pur se notoriamente molto diverso dal nostro, permette comunque riflessioni interessanti sul tema in esame: si divide in un sistema di giustizia federale, ove predomina la nomina da parte del Presidente degli Stati Uniti, ed un sistema di giustizia statale ove predomina il sistema elettorale. Orbene, pur in questa situazione di radicale differenza rispetto al nostro sistema, è possibile verificare la esistenza di una interscambiabilità tra i ruoli di giudici e pubblici ministeri che coinvolge anche l’avvocatura, dalla quale, come si sa, spesso provengono i pubblici ministeri e i giudici
Dunque, una riflessione può trarsi dall’analisi, pur sommaria, del panorama internazionale: ovunque la carriera del PM sia separata da quella del giudice, non solo il PM stesso dipende dall’esecutivo, ma esiste un giudice istruttore indipendente. Così è in Francia e Spagna ove il ruolo del pubblico ministero italiano è esercitato (non senza qualche occasione di polemica con i pubblici ministeri) dal giudice istruttore, figura da tempo soppressa nel nostro sistema. Evidentemente anche in quegli ordinamenti vi è necessità di un organo investigativo che sia totalmente indipendente dall’esecutivo.
6. La situazione in Portogallo
A questo punto, una situazione particolare che merita qualche precisazione è proprio quella del Portogallo (cui ha fatto riferimento nella citata intervista Paulo Sergio Pinto de Albuquerque) ove, sin dalla “Rivoluzione dei garofani” (1974), vige un sistema di separazione delle carriere tra giudicanti e requirenti, senza sottoposizione di questi ultimi al potere esecutivo. Orbene, questo sistema ha determinato esattamente, nel corso della sua pluridecennale applicazione, quel progressivo affievolimento della cultura giurisdizionale dei p.m., che è l’oggetto delle preoccupazioni della magistratura italiana. Ne ha parlato spesso, anche in Italia, un esperto magistrato portoghese, Antonio Cluny, dirigente di Medel, il quale ha spiegato che attorno alla fine degli anni ’80 – inizio anni ’90, proprio quando l’ufficio del P.M. ha iniziato a sviluppare un’attività giudiziaria indipendente e capace di mettere in crisi la tradizionale impunità del potere economico e politico, si sono levate “autorevoli” voci a mettere in dubbio la legittimità democratica dell’ufficio del fiscal (il nostro P.M.), la diversa natura di quest’organo rispetto al potere giudiziario, la possibilità dei titolari di dare direttive alla polizia criminale e la stessa possibilità di iniziativa autonoma nel promovimento dell’azione penale. Il dibattito in questione – ha dichiarato il magistrato portoghese – aveva determinato il rischio di dar vita ad un modello di privatizzazione dell’indagine, del processo penale e della giustizia penale, auspicato dalla parte più conservatrice dell’opinione pubblica e da una parte dell’avvocatura. Ma la separazione delle carriere, pur in un regime di indipendenza dall’esecutivo del P.M., ha prodotto in Portogallo una divisione nella cultura professionale dei giudici e dei magistrati del fiscal. I pubblici ministeri hanno sviluppato una tendenza pratica a valorizzare eccessivamente gli obiettivi della sicurezza a detrimento dei valori della giustizia, mentre i giudici hanno sviluppato un’attitudine formalista che li conduce spesso ad assumere una posizione di semplici arbitri, anche quando i casi loro sottoposti esigerebbero un loro diretto intervento ed impegno per il raggiungimento degli obiettivi di giustizia. È stata vanificata, dunque, l’originaria intenzione del legislatore di rafforzare le garanzie dei cittadini di fronte alla legge e si è compromessa l’efficacia del processo penale. Parallelamente, infine, si è sviluppata e si è progressivamente acuita una tendenza al pregiudizio corporativo che ha innescato pericolose tensioni tra giudici, magistrati del fiscal e avvocati.
Ecco dimostrate, dunque, la perversione della specializzazione, la frammentazione dei mestieri, la perdita della visione globale e coordinata della giurisdizione. Ma sono argomenti e sforzi di approfondimento del tutto ignorati dai separatisti che continuiamo a sollecitare.
Del resto, sarebbe sufficiente un’analisi anche superficiale della situazione internazionale o degli ordinamenti degli Stati più evoluti per verificare che la realtà è abbastanza diversa da quella che spesso sentiamo descrivere in Italia.
7. Le istituzioni europee guardano al sistema italiano come un modello da realizzare ovunque: le “passerelle” dalla funzione di PM quella dei giudici, e viceversa, fanno crescere le garanzie dei cittadini
Ma il prof. Paulo Sergio Pinto del Albuquerque, e non solo lui, sembra poi trascurare altri importanti aspetti dei principi sovranazionali affermati in Europa:
· il primo è costituito dalla Raccomandazione REC (2000)19 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sul “Ruolo del Pubblico Ministero nell’ordinamento penale”, adottata il 6 ottobre 2000, ove si prevede (al punto 18) che «…se l’ordinamento giuridico lo consente, gli Stati devono prendere provvedimenti concreti al fine di consentire ad una stessa persona di svolgere successivamente le funzioni di pubblico ministero e quelle di giudice, o viceversa. Tali cambiamenti di funzione possono intervenire solo su richiesta formale della persona interessata e nel rispetto delle garanzie».
Si afferma, inoltre, sempre nella Raccomandazione (parte “esposizione dei motivi”), che «La possibilità di “passerelle” tra le funzioni di giudice e quelle di Pubblico Ministero si basa sulla constatazione della complementarità dei mandati degli uni e degli altri, ma anche sulla similitudine delle garanzie che devono essere offerte in termini di qualifica, di competenza, di statuto. Ciò costituisce una garanzia anche per i membri dell’ufficio del pubblico ministero».
· È importante un altro documento, cioè il nuovo parere 9 (2014) del Consiglio Consultivo dei Procuratori Europei destinato al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, approvato a Roma il 17 dicembre 2014, avente ad oggetto “Norme e principi europei concernenti il Pubblico Ministero”, contenente la cosiddetta “Carta di Roma” ed una nota esplicativa dettagliata dei principi contenuti nella Carta stessa.
In questo importante documento, pur non essendo mai formalmente citate la necessità di unicità delle carriere di pubblici ministeri e giudici e la possibilità del conseguente interscambio di funzioni (implicitamente auspicate), sono con forza ribaditi tutti i principi che in tal senso depongono e che vengono qui illustrati.
· Ma va anche ricordata, in ordine al tema di cui qui si discute, la creazione della Procura Europea (EPPO) che, con sede in Lussemburgo, è entrata in funzione dal 1°giugno 2021, almeno per il momento è competente esclusivamente ad indagare e perseguire gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione dinanzi alle ordinarie giurisdizioni nazionali degli Stati partecipanti e secondo le regole processuali di questi ultimi.
Si tratta di un’importante istituzione sovranazionale, utile per far meglio funzionare la collaborazione internazionale tra gli stati europei, ma anche con Eurojust ed Europol.
Orbene, è significativo che, anche per rendere omogenee le legislazioni europee in tema di giustizia, la normativa che riguarda l’EPPO impegna gli Stati Europei a bandire specifici interpelli ai rispettivi magistrati per diventarne componenti, prevedendo che questi ultimi possono esercitare – negli stati di provenienza – funzioni sia giudicanti che inquirenti: nell’ultimo interpello bandito in Italia, ad esempio., alla luce anche della normativa interna, vi sono stati vari giudici che hanno chiesto di diventare pubblici ministeri nell’EPPO.
8.Il silenzio colpevole dei “separatisti”
Rivolgendomi ora ai “separatisti”, più che a Paulo Sergio Pinto de Albuquerque, viene naturale domandare: “ma le conoscete le prospettive del Consiglio d’Europa, tra i cui scopi vi è quello di promuovere la democrazia ed i diritti umani? E lo sapete come è costituita la Procura Europea e quali sono le sue competenze e quelle di altri organismi sovranazionali?”.
E loro? Rispondono con il silenzio, incapaci di confutare o spiegare.
Ha scritto ancora Maria Rosaria Guglielmi []: «Nello spazio comune europeo, la garanzia di tutela dei diritti e dello Stato di diritto comporta una riduzione degli spazi di manovra autonomi per interventi strutturali che possano compromettere la capacità dei sistemi giudiziari nazionali di operare nella loro funzione di effettiva garanzia. La prospettiva europea è dunque la cartina di tornasole per valutare l’impatto e le ricadute di tutte le modifiche che incidono sulla qualità ed efficacia della giurisdizione. Ciò che oggi l’Europa ci chiede è valutare ogni riforma istituzionale alla luce dei principi dello Stato di diritto, come insieme dei valori non negoziabili che sono a fondamento dell’Unione: fra questi, l’indipendenza dei sistemi giudiziari e degli attori della giurisdizione, che deve garantire l’effettiva tutela dei diritti e dei singoli contro ogni arbitrio del potere».
E, al di là dell’EPPO, negli ultimi anni sono stati compiuti in Europa altri passi concreti verso la realizzazione di un’effettiva rete di cooperazione giudiziaria nel campo criminale. Sono stati infatti costituiti organismi di polizia, amministrativi e giudiziari di indubbia importanza (Europol, Rete giudiziaria europea e relativi “punti di contatto” tra le autorità giudiziarie degli Stati membri dell’Unione, magistrati di collegamento, Olaf nel settore antifrode, Eurojust, Corte Penale internazionale permanente) ed è noto che si discute della creazione di un vero e proprio Corpus Juris che dovrebbe dar vita ad un diritto penale sostanziale minimo, comune a tutti gli Stati membri.
In questa prospettiva, come ha ricordato Ignazio Juan Patrone, già presidente di Medel, si pone in tutta la sua evidenza, non solo per l’Italia, il problema della garanzia di indipendenza che dovrà essere riconosciuta ai magistrati che, a vario livello, esercitano ed eserciteranno la funzione di P.M. in tutti gli organismi giudiziari sovranazionali ed internazionali che sono stati rapidamente (ed un po’tumultuosamente) creati nel corso del decennio scorso o di cui – in altri casi – ancora si discute.
Orbene, valutando il “senso di marcia” della evoluzione in atto, i poteri di ingerenza nelle funzioni giudiziarie di indagine che inevitabilmente saranno attribuiti agli organismi internazionali, i loro compiti di coordinamento, di impulso ed iniziativa rispetto agli organi inquirenti nazionali ed in settori criminali di indubbio ed oggettivo rilievo, appare evidente che la preservazione del nostro attuale assetto ordinamentale potrà garantire la presenza in quegli organismi di magistrati italiani indipendenti dall’esecutivo ed animati da quella cultura giurisdizionale di cui si è fin qui più volte parlato per dimostrare che non è certo una formula vuota.
9. L’impegno contro questa riforma? Testimonianza di dignità e coerenza
Una cultura e un modello costituzionale ed ordinamentale che, invece, nel nostro Paese viene ciclicamente messo in discussione – quasi mai per buone ragioni – nonostante gli eccezionali risultati conseguiti nel contrasto di terrorismo, mafia, corruzione ed ogni alto tipo di grave reato e che l’Italia, invidiata per questo nel contesto internazionale, dovrebbe invece preoccuparsi di diffondere nel resto di Europa.
Ci sarebbe molto altro di cui parlare a proposito dei rischi derivanti dalla separazione delle carriere: ad esempio, del possibile netto vanificarsi del principio di obbligatorietà dell’azione penale da parte del PM che rischierà di trasformarsi in un organo amministrativo, della bulimia legislativa che determina una pioggia di interventi di Governo e Parlamento in cui anche gli accademici hanno difficoltà ad orientarsi, delle politiche in tema di immigrazione e sicurezza, della discussione in corso sugli “scudi” da creare con legge per le forze dell’ordine alla faccia del principio di eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e di tanto altro ancora.
Mi fermo qui, scusandomi per la lunghezza di questo intervento: ma devo anche riprendere a studiare – con approfondimenti – i primi anni della carriera di Bob Dylan, visto che dal 23 gennaio dovremo preoccuparci di vedere nelle sale A complete unknown (parole tratte da una strofa di “Like a rolling stone”).
Perché ho citato Dylan? Per affidarvi un appello in nome della dignità. Eccolo:
Dignity
(versione originale completa in The best of Bob Dylan – Vol. 2 del 2000)
Il grasso la cerca in una lama d’acciaio,
il magro la cerca nel suo ultimo pasto,
un guscio d’uomo la cerca in un campo di cotone,
la dignità.
Il saggio la cerca in un filo d’erba,
il giovane la cerca nelle ombre che passano,
il povero cerca di scorgerla oltre un vetro dipinto,
la dignità.
Ho cercato in lungo, ho cercato in largo,
ho cercato dovunque sapevo,
ho chiesto ai poliziotti dovunque andavo,
avete visto la dignità?
Non ho un posto dove sparire, non possiedo un cappotto,
in mezzo a un fiume burrascoso, su una barca che non sta ferma,
sto cercando di leggere un biglietto lasciato da qualcuno
sulla dignità.
Mi hanno fatto vedere una foto e mi sono messo a ridere,
la dignità non si è mai fatta fotografare.
Ho avuto conti in rosso e conti in pari,
sono stato nella valle dei sogni fatti d’ossa lasciate a disseccare.
Quante strade, quanto in gioco,
quanti vicoli ciechi, io sono in riva al lago,
qualche volte mi chiedo cosa mai ci vuole
per trovare la dignità.
Le parole di Dylan potrebbero riguardare tutti noi: insomma non è più tempo di compromessi e di quietismi. È tempo di testimoniare la propria dignità e coerenza, secondo la propria sensibilità e coscienza!
. La parte che segue è in buona parte tratta dal libro “Loro dicono, noi diciamo” (Laterza, 2024) di cui sono co-autori i professori Gustavo Zagrebelsky (sul “premierato”), Francesco Pallante (sull’“autonomia regionale”) ed Armando Spataro (sulla “giustizia”).
. Dichiarazioni rese nel corso del Taormina Book Festival (La Stampa, 23.6.2024)
. Intervista pubblicata il 3 luglio 2016 su Il Giornale di Sicilia.
. Roma, 11 settembre 2023 – Confronto organizzato dall’ANM – Sezione Autonoma dei Magistrati a riposo.
Un pubblico ministero “finalmente separato”? Una scelta per poco o per nulla consapevole della posta in gioco. E l’Europa ce lo dimostra (Questione Giustizia, 27/07/2023);
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