Il cambiamento climatico mette in ginocchio la produzione di cereali: il caso Veneto

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Un tempo ad annunciare un cattivo raccolto era lo spettro gelido della fame, oggi – qui, da noi, nel nord del mondo – è un comunicato stampa. “Il grano, sia tenero che duro, nella nostra regione ha registrato un calo delle rese del 25% e una qualità mediocre per l’eccesso di piogge del periodo primaverile” recita il comunicato di Confagricoltura.

E l’anno scorso? Raccolti scarsi anche l’anno scorso.

“Le cause sono strutturali – racconta Chiara Dossi, imprenditrice agricola di Adria e responsabile settori cereali per Confagricoltura -, le condizioni climatiche degli ultimi due anni con piogge eccessive a maggio quando il grano è in fioritura e poi le grandinate hanno falcidiato il raccolto”. Non solo diminuisce la quantità, ma peggiora anche la qualità. “Le piogge abbondanti a maggio hanno favorito l’espandersi della fusariosi della spiga – ci spiega l’agronomo Stefano Bortolussi -, una malattia del grano originata da funghi che può portare a danni considerevoli”.

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oLa semina fa bene sperare vista l’assenza di piogge, ma “ormai ogni anno assistiamo almeno ad un evento di forte intensità” sottolinea Chiara Dossi.

Da eccezione a consuetudine

“Quelli che una volta erano eventi eccezionali ora sono consuetudine” gli fa eco Emilio Cappellari, agricoltore di Borgo Veneto e vicepresidente di Confederazione Italiana Agricoltori (Cia) di Padova, che oltre alle forti piogge ha visto i suoi campi allagati perché venisse alleggerita la pressione idraulica su Vicenza.

“Dopo le forti piogge, le estati con temperature superiori ai 32-33 gradi mandano in sofferenza il mais e la soia” aggiunge Cappellari. Quello che accade alle campagne non incide in modo significativo sulla dinamica dei prezzi che vengono determinati dalle scommesse – i future – della finanza globale, ma erode i redditi già ridotti degli agricoltori alienati dalla possibilità di influire sui costi – sementi, fertilizzanti e insetticidi – decisi dalle multinazionali, e sui margini dei guadagni, decisi dai distributori.

Nel 2023 il valore complessivo della produzione lorda agricola veneta viene stimato dall’Istat in 7,7 miliardi di euro, -2,3% rispetto al 2022 leggiamo nel “Rapporto 2023 sulla congiuntura agroalimentare veneta” uscito quest’anno. Nello stesso rapporto si segnala l’“annata negativa per i cereali autunno-vernini” e che “le rese si sono notevolmente ridotte a causa di un andamento climatico sfavorevole”. Non è un fenomeno passeggero: il clima in crisi ci ha trasportati in terra incognita, sicuramente meno fertile.

Sette per cento in meno

Gli scaffali dei supermercati sono comunque pieni visto che siamo inseriti all’interno di un sistema di commerci globali, ma questo non significa che il sistema non sia in affanno, tutt’altro.

“La produzione cerealicola dell’UE 2024/25 è stimata a 260,9 milioni di tonnellate, circa il 7 % in meno rispetto alla media quinquennale, che rappresenta la produzione più bassa dell’ultimo decennio – evidenzia la recente relazione sulle prospettive a breve termine per i mercati agricoli dell’UE della Commissione europea -, ciò è dovuto a condizioni meteorologiche sfavorevoli che incidono sulle rese e, in parte, a una riduzione della superficie coltivata dovuta, tra l’altro, all’eccessiva pioggia che interrompe la semina. Le colture più colpite sono il grano tenero e il mais, mentre aumenta la produzione di avena, orzo e grano duro”.

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Il 2 novembre 2024 la FAO (Food and Agricultural Organization of United Nations) e dal WFP (World Food Programme) hanno pubblicato l’“Hunger Hotspots FAO–WFP early warnings on acute food insecurity”, secondo questa analisi le condizioni dei Paesi più fragili rispetto alla sicurezza alimentare peggioreranno la loro situazione a causa dei conflitti armati e la crisi climatica.

L’insicurezza alimentare

“I fenomeni meteorologici estremi – leggiamo nel Rapporto – come piogge eccessive, tempeste tropicali, cicloni, inondazioni, siccità e aumento della variabilità climatica, rimangono fattori significativi di insicurezza alimentare in alcuni Paesi e regioni”. In un altro studio della Fao leggiamo come “negli ultimi 30 anni la produzione agricola e zootecnica ha subito perdite per un valore stimato di 3800 miliardi di dollari a causa di eventi calamitosi, pari a una perdita media di 123 miliardi di dollari all’anno o al 5% del prodotto interno lordo (PIL) agricolo mondiale”.

Non c’è un’unica ricetta per rispondere a questa situazione: c’è chi punta su un forte investimento nell’innovazione con la promozione di Tecniche di Evoluzione Assistita (TEA) dei semi per la produzione di piante più resilienti – tecniche molto costose e difficili da sostenere per le piccole e medie imprese – e chi ricorda l’enorme perdita di biodiversità indotta dall’agricoltura intensiva che ha fatto scomparire il 75% delle piante e dei frutti commestibili a favore di varietà esteticamente perfette. “In realtà le tecniche possono arrivare fino ad un certo punto – ricorda Stefano Bortolussi – occorre mettere in campo un modello di agricoltura completamente diverso in cui vengano accorciate le filiere, remunerati direttamente i produttori, ridotti gli allevamenti intensivi, privilegiati prodotti meno impattanti”.



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