Saziano, forniscono molta energia, hanno eccellenti proprietà nutritive e sono versatili. Con il loro piacevole gusto zuccherino e pastoso, i fichi d’India promettono una salute di ferro. Il frutto è considerato un «superfood» perché ha un elevato contenuto di polifenoli e composti antiossidanti, vitamina C, vari sali minerali ed è ricco di fibre che possono essere anche dei «prebiotici», utili per la flora batterica. Per i principi di cui è ricco, insomma, racchiude un piccolo tesoro per l’alimentazione umana e animale del futuro. E ha anche un altro vantaggio: necessita di poca acqua per sopravvivere e crescere, una caratteristica che ha permesso a questa antica pianta di diffondersi in ambienti a forte siccità.
Siamo in Sicilia che, con una superficie coltivata a fico d’India di circa quattromila ettari, costituisce oltre il 90 per cento del mercato dell’Unione europea. Qui le principali aree di produzione sono l’Etna e località quali San Cono nel Catanese, Santa Margherita di Belice nell’Agrigentino, Roccapalumba nel Palermitano. La pianta è arrivata nel Vecchio continente dal Messico dove da sempre è apprezzata come alimento; anche i cladodi di questa cactacea, chiamati comunemente «pale», sono un elemento base della cucina del Paese centroamericano. In Italia la mucillagine dei cladodi, dalla consistenza simile al gel, viene già molto utilizzata nella cosmetica e nella farmaceutica per il potere idratante, lenitivo e cicatrizzante, paragonabile a quello dell’aloe. Studi scientifici hanno dimostrato come i flavonoidi contenuti nelle pale abbiano anche caratteristiche antiossidanti, riparative e protettive per il fegato. I frutti iniziano anche a essere oggetto di un interesse crescente per gli impieghi nel settore alimentare. «C’è una scarsa valorizzazione del fico d’India di prima fioritura, che troviamo nel periodo di luglio e che concentra molte sostanze bioattive, quindi polifenoli antiossidanti che si possono assumere in maniera diversa, rispetto al semplice frutto fresco. A parte utilizzare la polpa per la preparazione di bevande, abbiamo messo a punto formulazioni alimentari» racconta a Panorama Rosa Palmeri, docente di Scienze e tecnologie alimentari presso l’Università di Catania che ha contribuito a diverse pubblicazioni sull’Opuntia ficus-indica. «Ci sono delle linee di ricerca per la valorizzazione delle bucce del frutto, che normalmente si smaltiscono nell’alimentazione dei maiali; queste contengono gli stessi principi nutritivi della bacca principale e ne abbiamo ricavato una farina per prodotti da forno. L’aggiunta del prodotto all’impasto del pane, come fonte di nutrienti e composti bioattivi, ne migliora le proprietà di lievitazione e il volume specifico, oltre a mantenere un elevato contenuto di betalaine, composti colorati e funzionali che caratterizzano i frutti, anche dopo la cottura».
Aggiunge Palmeri: «È stato anche sperimentato l’uso di estratti di frutta di fico d’India per preservare la carne bovina affettata. L’estratto ha evidenziato attività antimicrobica in vitro contro vari batteri e, applicato alla carne, ha ridotto la crescita microbica durante la refrigerazione, mantenendo colore e consistenza. Può essere quindi impiegato come conservante naturale, alternativo a quelli chimici tradizionali».
La pala di fico d’India, che in genere è considerato uno «scarto», un ingombrante rifiuto delle potature antieconomico da smaltire, al contrario può rappresentare un’opportunità nella creazione di una nuova filiera produttiva a impatto zero. «Dalle mie esperienze dirette nel campo della “terrariofilia” e dalle conoscenze professionali nel settore alimentare ho constatato come il prodotto, ancora poco noto, sia invece ricercato in settori specifici» racconta Andrea Spada, proprietario dell’azienda Nutriopuntia e del marchio Ficomore ad Avola, nel Siracusano, la cui attività è quella di trasformare e commercializzare i cladodi sia freschi sia essiccati e ridotti in polvere. «Ho cominciato a raccogliere le pale dalle piante che crescono nelle mie campagne, spedendole ai miei conoscenti “terrariofili” in Italia e in Europa. Sono bastati pochi giorni e non sono più riuscito a soddisfare le richieste, che con il passaparola sono diventate sempre più numerose. Oggi esporto i cladodi per il 90 per cento in tutto il Continente, dove vengono apprezzati per le proprietà nutritive, soprattutto l’alta quantità di calcio e fosforo utili alle tartarughe, ad alcuni tipi di lucertole e rettili in generale. Mentre sia in Europa sia in Asia esporto la pala polverizzata e essiccata, utilizzata come integratore alimentare zootecnico».
Il mercato di questo frutto finora poco valorizzato è quindi in costante sviluppo. Il fatturato del territorio siciliano si aggira intorno ai 25 milioni di euro l’anno secondo le previsioni di Antonio Lo Tauro presidente del Distretto Ficodindia di Sicilia. Oltre agli impieghi di cui si è parlato, i cladodi si prestano all’utilizzazione in diversi altri settori. In Messico, per esempio, la mucillaggine delle pale è da sempre utilizzata nel campo dell’edilizia e oggi rappresenta anche un’ottima alternativa nel restauro, per il consolidamento di dipinti murali a secco. Dalla pianta si ricava anche un tipo di ecopelle. Ohoskin è la startup italiana che ha brevettato e produce un tessuto ricavato dalle pale e dalle arance: viene utilizzato così come alternativa alla pelle animale nella moda, negli accessori dell’automotive e nell’interior design. I sottoprodotti del fico d’India ogni anno «pesano» per 1,4 milioni di tonnellate e il loro smaltimento rappresenta un costo economico e ambientale. Dargli una seconda vita, considerate le potenzialità ancora da approfondire, è oltre che una pratica ecosostenibile anche un buon affare per l’economia siciliana.
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