Corruzione, chiesto il rito alternativo da tre imprenditori e dall’ex assessore. Il sindaco Brugnaro coinvolto nel secondo filone che riguarda la vendita di palazzo Papadopoli e la trattativa sul terreno dei Pili
Inchiesta «Palude», l’ex assessore del Comune di Venezia Renato Boraso e tre degli imprenditori — Fabrizio Ormenese, Francesco Gislon e Daniele Brichese che con Boraso sono ancora soggetti a misure cautelari — chiedono di patteggiare. Tutte le istanze sono state presentate alla gip Carlotta Franceschetti e i pubblici ministeri Federica Baccaglini e Roberto Terzo hanno depositato il proprio consenso: per metà febbraio sarà fissata l’udienza. Se le richieste saranno o meno accolte dipenderà dalla giudice. Dal giorno della presentazione della richiesta di giudizio immediato da parte dei pm (subito accordata dal gip Alberto Scaramuzza) è partito il confronto tra avvocati e procura: l’accordo è stato raggiunto e il 22 gennaio, giorno di scadenza dei termini per appunto procedere con la richiesta dei riti alternativi, tutti i documenti sono stati presentati. Per l’ex assessore Renato Boraso (avvocato Umberto Pauro) l’ipotesi è di una condanna di tre anni e dieci mesi e 400 mila euro da restituire (contro i 755 mila inizialmente calcolati dalla procura). Per Ormenese (avvocato Leonardo De Luca dello studio Simonetti) due anni e nove mesi e 27 mila euro di confisca, per Gislon (difeso da Paola Bosio) due anni e sei mesi più 45 mila euro di confisca, oltre ai 250 mila euro sequestrati a luglio e per Brichese (Luca Mandro e Giuseppe Sacco) tre anni e dieci mesi e 7.200 euro di confisca.
I reati contestati
Ai quattro sono contestati i reati di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio (con l’aggravante della stipulazione di contratti) e per l’esercizio della funzione pubblica, emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, turbativa d’asta. E in alcuni episodi la recidiva. Boraso, ritenuto dai pm il «motore» sempre pronto a intervenire in appalti, procedimenti urbanistici e vendite di terreni per favorire gli «amici» in cambio di tangenti che lui avrebbe poi fatturato come consulenze attraverso le sue società, dovrà rispondere anche di altre accuse e la pena finale supererà i tre anni e dieci mesi di cui si è chiesto mercoledì il patteggiamento.
I filoni dell’inchiesta
L’inchiesta «Palude» è divisa in due filoni. Da un lato ci sono gli episodi di corruzione, contestati a Boraso e ai suoi «amici», che sono al centro della richiesta di giudizio e immediato e dei patteggiamenti, dall’altro c’è l’alienazione di Palazzo Papadopoli a un prezzo, per la procura, ribassato (da 14 a 10,8 milioni) per favorire l’acquirente — il magnate di Singapore Ching Chiat Kwong — e le trattative per la vendita dei terreni di Porto Marghera, i cosiddetti Pili, di proprietà del sindaco di Venezia Luigi Brugnaro. E per cui sono indagati il primo cittadino, i suoi «fedelissimi» Morris Ceron (direttore generale del Comune e capo di gabinetto) e Derek Donadini (vice capo di gabinetto) insieme a Ching e al suo collaboratore Luis Lotti. Boraso sarebbe, per la procura, coinvolto anche in questa parte di «Palude» (gli si contestano 73 mila euro ricevuti per Papadopoli dal «grande accusatore» Claudio Vanin dal cui esposto è partita l’inchiesta) che complessivamente vede iscritte nel registro degli indagati trentatré persone e quattordici aziende. Al di là dei patteggiamenti, tutta l’inchiesta per fine mese sarà chiusa.
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