Influenza aviaria, serve ripensare l’avicoltura – Zootecnia

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A colpire non è tanto il nuovo episodio di influenza aviaria, quanto l’entità degli animali coinvolti.

È accaduto a Verona dove il virus ad alta patogenicità (H5N1) è stato rinvenuto in un allevamento che complessivamente ospita ben 800mila galline ovaiole.

 

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Dimensioni elevate che offrono vantaggi in termini di economie di scala, garantiscono efficienza nell’impiego dei mezzi di produzione, possono avvalersi di eccellenze professionali in ogni campo, alimentazione, management, salute.

Che però non fermano un virus insidioso come quello dell’influenza aviaria.

Quest’ultimo episodio lo conferma, come pure quelli che lo hanno preceduto, a dispetto delle eccellenti misure di biosicurezza adottate.

I focolai in atto

Dall’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, che di questa patologia è centro di referenza nazionale, si apprende che negli ultimi quattro mesi si sono avuti 53 focolai di influenza aviaria, i più recenti fra Mantova e Verona nelle prime tre settimane di gennaio.

Complessivamente i focolai dell’infezione in atto o già risolti sono 23 in Veneto, 22 in Lombardia, 6 in Emilia Romagna e 2 in Friuli Venezia Giulia.

 

Non a caso le regioni citate sono quelle dove sono più presenti allevamenti avicoli professionali, anche di dimensioni rilevanti, in molti casi fra loro collegati dallo stesso management.

Personale in comune, gli stessi veicoli che si spostano fra le diverse località di allevamento, sono per il virus dell’influenza aviaria una straordinaria opportunità per muoversi da un punto all’altro, “bucando” le misure di biosicurezza.

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Un’avicoltura di successo

Il modello di sviluppo dell’avicoltura italiana, fortemente integrato verticalmente (dai mangimi alle strutture di trasformazione) è vincente sul piano produttivo.

Non a caso è uno dei pochi settori della nostra zootecnia in grado di assicurare l’autosufficienza e di accompagnare senza strappi l’evoluzione dei consumi.

 

Con progressi straordinari sul piano della sicurezza alimentare e della qualità (meno 94% di antibiotici in sette anni).

A costo però di una concentrazione degli allevamenti su aree limitate, un “vulnus” del quale approfitta il virus dell’influenza aviaria per diffondersi.

Un virus che cambia

Siamo di fronte a un virus che sta modificando le sue caratteristiche e per questo più temibile.

Un cambiamento sottolineato a un recente incontro con le aziende avicole organizzato da Confagricoltura Veneto.

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“Il virus – ha detto in questa occasione Calogero Terregino, direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche Comparate dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie – circola in nuove aree come il trevigiano, finora poco a rischio, con nuovi uccelli selvatici infetti che lo propagano, come gli ibis e gli aironi, riuscendo anche ad adattarsi ad ambienti diversi da quelli accertati finora”.

La biosicurezza non basta

Se le misure di biosicurezza non sono più sufficienti, si è detto, torna di attualità l’adozione della vaccinazione.

Vaccini già ne esistono e altri sono allo studio, ma il loro impiego, ricordiamo, non è esente da controindicazioni, tanto che la vaccinazione è limitata alle situazioni di emergenza e solo in presenza di una specifica autorizzazione da parte del Ministero della Salute.

 

Il motivo di tanta precauzione è legato a motivazioni di carattere sanitario e commerciale.

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La presenza di animali vaccinati può comportare forti restrizioni ai movimenti di import export.

La lotta all’influenza aviaria è così affidata a misure draconiane come l’abbattimento di tutti gli animali che possono aver contratto il virus e al blocco di tutte le attività per evitare che il virus possa uscire dalle aree contaminate.

È questa la procedura adottata in Italia e in tutti i Paesi alle prese con questo virus, purtroppo largamente diffuso. Il costo è enorme, ma necessario.

Virus ubiquitario

In Europa la presenza del virus dell’influenza aviaria è segnalata, con livelli differenti di gravità, in Germania, Francia, Ungheria, Polonia, Portogallo, Cechia e Italia.

Gli ultimi e più recenti casi segnalati in Italia, ma anche in Polonia, hanno costretto le autorità sanitarie europee ad aggiornare la mappa degli interventi in atto.

 

Sulla Gazzetta Europea del 21 gennaio 2025 sono indicati i 18 comuni del veronese che rientrano nelle zone di restrizione.

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Oltre a quelli del veronese sono elencati anche i 33 comuni del mantovano coinvolti negli episodi più recenti e che sino alla fine di febbraio resteranno in “zona rossa”.

Un nuovo modello avicolo

Questa diffusione dell’influenza aviaria (che non è un’esclusiva europea, ma coinvolge l’avicoltura di tutto il mondo) obbliga a un ripensamento delle strategie da adottare, tanto più che si tratta di un virus che può trasmettersi alle persone e che può interessare altri mammiferi. Quanto avvenuto negli Usa nei bovini ne è una conferma.

Nessun allarmismo però. Il consumo di carni, ovviamente cotte, non rappresenta alcun pericolo per i consumatori.

Un eventuale contagio è peraltro raro e limitato agli addetti ai lavori.

 

Nei confronti di un virus influenzale, capace di mutare, la prima misura da prendere è quella di ridurne al massimo la diffusione.

Cosa che l’eliminazione di tutti gli animali coinvolti può consentire, e con immediatezza. Ma per evitare che questa ecatombe di animali continui all’infinito, si dovrà pensare a un nuovo modello di evoluzione e sviluppo dell’avicoltura, non meno professionale, ma meglio distribuita e meno concentrata.

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