La storica fabbrica brianzola ha 1.100 dipendenti: a fine giugno impianti fermi, resterĂ solo il quartier generale europeo. La crisi degli stabilimenti dei grandi marchi
L’ultima lavatrice sarà prodotta a fine giugno. A Brugherio la voce circolava da tempo, ma da lunedì è realtà : lo stabilimento Candy interromperà la produzione. Haier, l’azienda cinese proprietaria, lo ha comunicato formalmente e, per quanto preparati, per i circa 1.100 dipendenti la preoccupazione è enorme. La vita della storica fabbrica brianzola di lavatrici ha iniziato a essere faticosa già dai tempi della grande crisi del 2008 e da allora, nonostante il cambio di proprietà , la produzione è calata costantemente e, dopo gli ultimi esodi incentivati, sono rimasti meno di 300 operai.
Ora Haier ha detto stop: si produrranno lavatrici fino al 30 di giugno, poi si vedrà . L’azienda ha firmato un accordo con i sindacati per l’estensione della procedura di riduzione del personale su base volontaria, che dovrebbe coinvolgere 100 dipendenti, e si è impegnata a un progetto di «riconversione» dello stabilimento. Ma come spiega Pietro Occhiuto, segretario generale della Fiom Cgil Brianza, «al momento non ci è stata data alcuna indicazione sul futuro di Brugherio. Sappiamo soltanto che intendono mantenere qui il quartier generale europeo».
Aria pesante anche alla Beko (ex Whirlpool) di Cassinetta di Biandronno, in provincia di Varese, dove due delle cinque linee del piĂ¹ grande sito europeo per la produzione di frigoriferi saranno chiuse. E le conseguenze occupazionali sono pesanti: 541 esuberi giĂ previsti e sono a rischio 200-250 impiegati e dirigenti, su un totale di circa 2.200 dipendenti. Insomma, quasi 800 lavoratori in meno, senza contare le inevitabili ricadute sul territorio, perchĂ© anche lungo la filiera delle forniture diventa piĂ¹ azzardato investire in assenza di ordini tutt’altro che certi.Â
«Secondo uno studio della Provincia di Varese, traballano circa 6 mila posti di lavoro dell’indotto — osserva Tiziano Franceschetti, segretario della Fim Cisl dei Laghi — e anche per questo abbiamo chiesto all’azienda di rivedere il piano industriale, non è ammissibile il saccheggio dei marchi per poi spostare la produzione in Paesi low cost». Il 30 gennaio la questione Beko sarà discussa al Ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Preoccupazione anche all’Electrolux di Solaro, dove il grande timore è quello di un possibile disimpegno da parte della multinazionale svedese. Intanto l’azienda punta ai contratti di solidarietà per ridurre le buste paga dei 644 dipendenti del sito e chiede esodi volontari. Il problema sta nel vistoso calo dei volumi produttivi. Del tutto in linea con l’andamento del settore in tutta Italia e tutta Europa: «Stiamo assistendo a un forte calo della domanda e dell’export continentale, accompagnati da dinamiche globali che minano la competitività — spiega Marco Imparato, direttore generale di Applia Italia, l’associazione che riunisce le industrie che producono elettrodomestici — dai costi dell’energia al grande tema degli standard europei di sostenibilità , oltre che all’aggressività dei concorrenti asiatici».
 L’Italia (insieme a Germania e Polonia) era «la fabbrica d’Europa» con 30 milioni di pezzi all’anno, ora ridotti a una decina. Ma attorno agli stabilimenti dei grandi marchi gravita un indotto che contribuisce al fatturato di circa 3 miliardi di euro annui e quasi 45 mila posti di lavoro. E la Lombardia vale almeno un terzo di tutto questo. Cosa c’è da aspettarsi per il prossimo futuro? «Gli incentivi al consumo sono molto positivi ma in questo contesto da soli sono piĂ¹ o meno un’aspirina — spiega ancora Imparato — serve una politica forte di sostegno a livello nazionale ma soprattutto europeo».
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