Anm al voto per il dopo-Santalucia: le toghe di destra verso la vittoria dopo oltre vent’anni. E il rapporto col governo ora può ammorbidirsi

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Il regno di Giuseppe Santalucia è stato lungo e stabile: un mandato intero di quattro anni alla guida di una giunta unitaria, sorta di “governo di larghe intese” tra le varie correnti. Ora però, nel momento politico forse più delicato di sempre, l’Associazione nazionale magistrati (Anm) è chiamata a rinnovare completamente i suoi vertici: dal 26 al 28 gennaio, gli oltre novemila iscritti all’organismo rappresentativo di giudici e pm eleggeranno online il Comitato direttivo centrale, il “parlamentino” di 36 seggi. Quest’ultimo, poi, sceglierà al suo interno il presidente, il segretario e il resto della giunta esecutiva, composta da dieci membri. Come noto da tempo nell’ambiente, Santalucia ha scelto di non ricandidarsi: il presidente uscente, esponente del gruppo progressista di Area, si dedicherà a tempo pieno al suo lavoro di giudice penale della Cassazione. Netto nei contenuti ma misurato nei toni, è riuscito a tenere (quasi sempre) unita l’Anm nonostante le faide interne, accreditandosi nel tempo come un leader riconosciuto e credibile. A prendere il suo posto, con ogni probabilità, sarà una toga di Magistratura indipendente (Mi), la corrente conservatrice più vicina al governo in carica: dalle sue file vengono Alfredo Mantovano, potente sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, e tutti i dirigenti scelti dal ministro della Giustizia Carlo Nordio. Quasi certamente la sigla di destra arriverà prima alle elezioni e quindi acquisirà il diritto a esprimere il frontman dell’associazione per la prima volta da oltre vent’anni, se si eccettua una brevissima parentesi nel 2019. Una novità che potrebbe ammorbidire, almeno nella forma, i rapporti con la maggioranza in vista del probabile referendum sulla separazione delle carriere, la riforma costituzionale detestata dai magistrati che ha appena avuto il primo via libera alla Camera.

Mi e i flirt col governo – I rappresentanti di Magistratura indipendente, infatti, hanno da sempre un rapporto privilegiato con il centrodestra e non nascondono una certa allergia verso i colleghi “toghe rosse“: i suoi eletti, ad esempio, non avevano voluto schierarsi a difesa di Iolanda Apostolico, la prima giudice attaccata in modo feroce dal governo per una decisione in materia di immigrazione. Sabato scorso, poi, quattro di loro si sono astenuti nel voto del “parlamentino” che ha deliberato di abbandonare le inaugurazioni dell’anno giudiziario quando parlerà il rappresentante del ministero. “Ribadiamo di voler esprimere i valori dell’intera magistratura moderata, ritenendo che il magistrato non debba farsi condizionare, nel proprio operato, dalla propria legittima ma individuale concezione della realtà, che deve essere mantenuta nella sfera riservata del singolo“, si legge in cima al programma elettorale di Mi. Che, come da tradizione del gruppo, si concentra poco sui temi politici e molto su quelli strettamente sindacali: diritto alla malattia senza decurtazioni, adeguamento dei carichi di lavoro, equiparazione degli stipendi a quelli dei magistrati amministrativi e contabili.

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I nomi in pole per la presidenza – Nella lista compaiono alcuni candidati considerati campioni di preferenze, tutti potenziali futuri presidenti: il procuratore di Messina Antonio D’Amato, ex membro del Consiglio superiore della magistratura, il procuratore aggiunto di Torino Cesare Parodi, il pari grado di Reggio Calabria Walter Ignazitto e il giudice di Palermo Giuseppe Tango, capo della sezione locale dell’Anm. Quest’ultimo, in particolare, è ritenuto il più adatto a mettere insieme i vari orientamenti politici del “parlamentino”, in quanto più giovane e meno legato alla stagione di Cosimo Ferri, ex leader della corrente e sottosegretario alla Giustizia con Pd e Forza Italia, pesantemente coinvolto nello scandalo Palamara. Se invece i designati fossero D’Amato o Parodi, più invisi ai progressisti, l’unitarietà della nuova giunta potrebbe non essere scontata. Qualcuno però ipotizza addirittura che Mi possa rinunciare alla presidenza, per evitare di trovarsi troppo esposta nello scontro politico: in quel caso potrebbe continuare a esprimere il segretario (come fa ora con Salvatore Casciaro) lasciando il ruolo più importante a un membro gradito di un altro gruppo.

La sinistra divisa – In ogni caso difficilmente il leader dell’Anm verrà ancora dalle file della sinistra giudiziaria, che nella migliore tradizione si presenta divisa. Area, il “correntone” vincitore delle ultime elezioni nel 2020, ha subito ormai tre anni fa la scissione della sua ala più radicale, che ha ridato autonomia politica allo storico marchio di Magistratura democratica (Md). Il risultato – già visto in occasione del voto per il Csm nel 2022 – sono due liste che si rivolgono allo stesso elettorato, facendosi concorrenza spesso con una certa acredine. Area, che al primo punto del programma mette la “difesa dell’assetto costituzionale” contro il ddl sulla separazione delle carriere, dovrà fare a meno dell’apporto del pm milanese Luca Poniz: l’ex presidente dell’Anm, recordman di voti alla scorsa tornata non può ripresentarsi avendo già svolto due mandati nel Comitato direttivo. Ma il gruppo punta molto sui due membri uscenti ricandidati: Rocco Maruotti, giovane ed energico pm della Procura di Rieti (in lizza per un ruolo importante in giunta), e Paola Cervo, giudice di Sorveglianza a Napoli. Altri nomi forti in lista sono Marco Gianoglio, procuratore aggiunto di Torino e coordinatore dell’indagine sull’eredità Agnelli; Morena Plazzi, procuratrice aggiunta a Bologna; Giorgio Falcone, aggiunto a Vicenza; Ida Teresi, pm anticamorra napoletana appena promossa alla Direzione nazionale antimafia; Andrea Vacca, pm a Cagliari e presidente dell’Anm sarda; Chiara Valori, gip a Milano; Domenico Pellegrini, giudice civile a Genova.

Il giudice “anti-Meloni” in lista con Md – Magistratura democratica, invece, potrebbe capitalizzare nelle urne un periodo di intensa esposizione mediatica di alcuni dei suoi membri. A causa del limite dei due mandati non può più correre Silvia Albano, giudice dell’immigrazione a Roma che ha firmato alcuni dei provvedimenti sgraditi alla maggioranza sui centri in Albania (e per questo è finita sotto scorta). Ma tra i candidati c’è Marco Patarnello, pm in Cassazione finito nel mirino per una mail privata in cui definiva “pericolosa” la premier Giorgia Meloni. Corre pure Emilio Sirianni, giudice di Catanzaro punito dal Csm – e bastonato dai giornali di destra – per aver dato consigli tecnici e supporto all’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, suo amico allora indagato. Tra gli uscenti, l’unico a ripresentarsi è Stefano Celli, esperto e apprezzato pm a Rimini; ci si aspetta un buon risultato, poi, da alcuni giudici giovani e piuttosto attivi nel dibattito interno, come Sergio Rossetti (Milano), Giulia Locati (Torino) e Simone Spina (Siena). Nonostante il forte profilo identitario, Md ha scelto di dare spazio in lista anche a candidati indipendenti: tra gli altri Leonardo Lesti, pm e presidente dell’Anm di Milano (con un passato in Autonomia&Indipendenza, corrente fondata da Piercamillo Davigo e ormai sciolta), la giudice palermitana Rachele Monfredi e pure una neo-vincitrice di concorso, la 31enne Marta Zavatta, ancora in tirocinio al Tribunale di Bologna.

I “moderati” per risalire, gli “anti-correnti” per la conferma – In questa tornata puntano a riemergere nei consensi i “moderati” di UniCost (Unità per la Costituzione), crollati nel 2020 dopo lo scandalo che travolse Luca Palamara, per anni leader della corrente. Da allora il gruppo ha intrapreso un percorso di profondo rinnovamento – passato per la rottura dell’asse con la destra al Csm – e tra i punti centrali del programma cita il “ripudio di ogni forma di convergenza e di collateralismo con forze politiche e con apparati esterni alla magistratura”. Tra i candidati, scelti in base alla stima negli uffici e all’esperienza nelle giunte locali dell’Anm, i più forti sono Annamaria Frustaci, pm antimafia calabrese; Dora Bonifacio, giudice d’Appello a Catania; Marcello De Chiara, giudice del Tribunale di Napoli; Eugenia Serrao, giudice penale in Cassazione; Gaspare Sturzo, pm alla Suprema Corte, già sostituto procuratore antimafia a Palermo e pronipote di don Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare. Infine, cerca quantomeno la conferma dei suoi quattro seggi Articolo 101, il gruppo “anti-correnti” intitolato alla norma costituzionale che prevede soggezione del giudice soltanto alla legge. Nel programma compaiono le storiche battaglie della sigla, tra cui il sorteggio dei candidati al Csm e la rotazione negli incarichi ai vertici degli uffici giudiziari. Ricandidati tre membri uscenti del Comitato direttivo: Andrea Reale, combattivo giudice del Tribunale di Ragusa, Cristina Carunchio, pm a Vicenza, e Giovanni Favi, giudice a Torre Annunziata.



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