La Corte penale internazionale ha chiesto spiegazioni alle autorità italiane sulla scarcerazione del generale libico Almasri, accusato di crimini di guerra; ma “deve ancora ottenerle”. Resta poco chiaro quale sia stato il ruolo del governo Meloni. Tutti i suoi esponenti hanno smentito un intervento politico. Ecco cosa è successo e quali sono i punti da spiegare.
Attiva le notifiche per ricevere gli aggiornamenti su
“Il 18 gennaio 2025, la Camera preliminare I della Corte penale internazionale, a maggioranza, ha emesso un mandato di arresto per il signor Almasri. Il sospettato è stato localizzato a Torino, Italia, nelle prime ore di domenica 19 gennaio 2025 ed è stato arrestato con successo dalle autorità italiane”. La CPI in un lungo comunicato diffuso ieri sera ha ripercorso la vicenda del generale libico Almasri, arrestato in Italia ma poco dopo rilasciato e riportato con un volo di Stato a Tripoli. I giudici dell’Aja ora vorrebbero sapere perché, ma non hanno ancora ottenuto risposta.
L’irritazione della CPI: “Non abbiamo ancora avuto risposte dall’Italia”
Almasri, accusato di crimini contro l’umanità, “è stato trattenuto in custodia in attesa del completamento delle procedure nazionali richieste relative al suo arresto e alla sua consegna alla Corte”, e nel frattempo la Corte, “su richiesta e nel pieno rispetto delle autorità italiane”, si è “deliberatamente astenuta dal commentare pubblicamente l’arresto del sospettato”. Qui un primo aspetto da precisare: non è chiaro da quale autorità italiana sia arrivata la “richiesta” di non commentare l’arresto.
Il punto, però, è che “il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte penale internazionale, il signor Almasri sarebbe stato rilasciato dalla custodia e riportato in Libia”. La mossa ha colto di sorpresa anche i giudici, ed è stata giustificata dal Procuratore generale di Roma con un cavillo giuridico. Spiegazione che non ha convinto tutti. Per questo ora la Corte dell’Aha sta “cercando, e deve ancora ottenere, una verifica dalle autorità” italiane “sui passi presumibilmente intrapresi”.
In chiusura del suo comunicato, la CPI ha ricordato “il dovere di tutti gli Stati di cooperare pienamente con la Corte nelle sue indagini e nei suoi procedimenti penali in materia di reati”. Come a ribadire che in questo caso l’Italia ha fatto tutt’altro. Che si sia trattato di una scelta politica – negata da tutti gli esponenti della maggioranza – o meno, ci sono molti punti della vicenda che ancora non tornano. Oggi il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi risponderà sulla vicenda al question time, mentre la prossima settimana è atteso in Parlamento per un’informativa.
Cosa è successo nel caso Almasri
Njeem Osama Almasri Habish è il capo della Polizia giudiziaria libica, potente funzionario del governo ma anche tra gli esponenti più importanti della Radaa, milizia armata legata all’esecutivo di Tripoli, nonché capo del distretto militare di Mitiga, in cui controlla anche diverse prigioni. La Corte dell’Aja lo ha accusato di torture e crimini di guerra, legati anche al traffico di persone migranti che passano dalla Libia.
Dopo il suo fermo in Italia, la Corte penale internazionale aveva “ricordato alle autorità italiane” che se ci fossero stati “problemi in grado di impedire l’esecuzione” dell’arresto, avrebbero dovuto “consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione“. I giudici lo hanno riportato sempre nel comunicato diffuso ieri. Insomma, la priorità era fermarlo, e in caso di problemi – come il cavillo giuridico emerso martedì – ci si poteva confrontare per provare a risolverlo.
Ma le cose non sono andate così. Almasri si è mosso in Italia in auto, a Torino è andato anche allo stadio a vedere la partita tra Juventus e Milan, secondo quanto è stato ricostruito. Poi è arrivato l’arresto della polizia torinese, non concordato con il ministero della Giustizia – proprio questo è il problema che ha poi portato alla scarcerazione.
Dopo che la Questura piemontese ha avvisato la Corte d’appello di Roma, competente sulla materia, questa ha interpellato il ministero. Questo è il momento in cui il ministro Nordio avrebbe potuto intervenire, sistemando la questione e sanando il problema tecnico. Ma dal ministero non è arrivata nessuna risposta per più di 24 ore. Una volta emerso il problema giuridico, poi, nessuno ha contattato la Corte penale internazionale per provare a risolverlo.
Al contrario, dal ministro della Giustizia è arrivato un comunicato in cui si diceva che il ministero stava “valutando” di inoltrare gli atti necessari all’arresto alla Corte d’appello di Roma. Troppo tardi, però. Perché poche ore dopo Almasri è stato non solo scarcerato, ma immediatamente messo su un volo dei servizi di intelligence italiani diretto a Tripoli. Un atto, l’espulsione, deciso dal ministero dell’Interno.
I punti che il governo Meloni deve chiarire
Il governo dovrà spiegare, quindi, perché i tempi di reazione del ministero della Giustizia siano stati così lenti – e senza coinvolgere la CPI – mentre il ministero dell’Interno Piantedosi è stato velocissimo a ordinare l’espulsione e organizzare il volo per il rientro di Almasri in Libia. Finora, qualunque intervento politico è stato smentito.
Tra le ipotesi non mancano i collegamenti con il ruolo del generale libico nel governo di Tripoli e nel traffico di migranti. Il governo italiano avrebbe potuto temere una ritorsione della Libia: o nei confronti dei più di 200 italiani presenti nel Paese (come avvenuto con Cecilia Sala in Iran dopo l’arresto di Mohammad Abedini), o con la liberazione delle persone migranti che le milizie libiche imprigionano prima della partenza verso l’Italia.
Infine, c’è anche il fatto che Almasri, avendo un ruolo di peso in questi meccanismi, è sicuramente informato dei rapporti tra le autorità italiane e quelle libiche per la gestione dei migranti e della sicurezza. Starà al governo Meloni, nelle prossime ore, chiarire se questo abbia avuto un peso o se davvero, come ha sostenuto finora, la liberazione di Almasri sia stato un semplice incidente giudiziario.
La risposta del governo alla Cpi: “Si possono avere opinioni diverse”
“Il ministro Piantedosi riferirà in Aula e spiegherà tutto ciò che è stato fatto correttamente dal governo italiano”, ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani ai cronisti che lo aspettavano davanti a Palazzo Chigi. “Non c’è subordinazione nei confronti di nessuno. L’Aja non è il verbo, non è la bocca della verità. Si possono avere opinioni diverse. Noi non siamo sotto scacco di nessuno. Il diritto è una cosa seria, non si possono sanare errori di diritto con la politica”.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link