In questi ultimi anni, perfino più che in passato, è diventata evidente al grande pubblico l’enorme criticità della nostra attuale situazione climatica: grandi catastrofi naturali sono ormai all’ordine del giorno sui notiziari, e il loro impatto è notevolmente aumentato, come dimostrano ad esempio i dati riportati dal ministero della sanità marocchino, dove si evidenzia l’incremento della mortalità per colpi di calore nell’estate 2024.
Come ad esempio spiega la “teoria del donut” dell’economista britannica Kate Raworth il quadro è chiaro: visualizziamo una ciambella, dove il vuoto centrale rappresenta la mancanza di bisogni essenziali come cibo e salute, mentre l’anello esterno segna i limiti ecologici che non dobbiamo superare, come il cambiamento climatico e l’inquinamento. L’obiettivo è vivere all’interno dell’anello, dove ognuno ha accesso a risorse vitali senza compromettere l’ambiente, ma le numerose zone rosse nel grafico evidenziano come la creazione di un’attività economica sostenibile ed equa è necessaria ora.
Dove si inserisce il nucleare in questo quadro?
La grave crisi energetica, accentuata ulteriormente dal conflitto tra Russia e Ucraina, ha riacceso il dibattito sulle centrali nucleari. Molti paesi, anche europei, non hanno mai smesso di produrre questa fonte di energia, mentre in Italia le centrali sono state chiuse in seguito al primo referendum sul nucleare del 1987.
Il tema del nucleare è, dai tragici incidenti di Chernobyl e Fukushima, piuttosto controverso. Ancora oggi questi eventi sono fissati nelle menti delle generazioni che li hanno vissuti, anche perché di fatto i rischi di nuove catastrofi simili sono ancora presenti, nonostante le centrali oggi siano certamente più sicure rispetto a una trentina d’anni fa grazie al progresso scientifico.
È necessario però sottolineare che entrambi gli incidenti furono peculiari:
- la centrale di Chernobyl aveva anche scopi militari, ma soprattutto, come ha rivelato un indagine dell’IAEA, il design del reattore RBMK era intrinsicamente instabile, i protocolli di sicurezza erano del tutto assenti, e la comunicazione tra progettisti e operatori era carente;
- per quanto concerne Fukushima, l’evento fu scatenato da un terremoto di magnitudo 9.0 sulla scala Richter, il quarto più potente della storia. Avvertendo la scossa il sistema di sicurezza spense subito i reattori attivi in quel momento, e la pompa di emergenza è entrata in azione per abbassare le temperature. Purtroppo però la centrale fu raggiunta da uno tsunami di 13 m, superando il muro di contenimento anti tsunami alto 9 m di altezza. Le alte temperature hanno creato idrogeno gassoso (il quale esplode al minimo contatto con l’aria) che ha fatto esplodere il tetto dove si trovavano piscine con del combustibile a raffreddare: questo incidente in particolare ha portato a un ripensamento globale sulla sicurezza del nucleare. Tentando di raffreddare il reattore si è deciso di operare un rilascio controllato di vapore per tentare di ridurre la pressione, causando una fuoriuscita di vapori radioattivi nell’atmosfera e nell’acqua attorno allo stabilimento. Analisi successive non sono riuscite a capire se l’incidente era evitabile considerando le particolari circostanze: la centrale era preparata alle scosse sismiche, così come era preparata per i maremoti. Non c’era mai stato un terremoto tanto potente in Giappone e non c’è più stato da allora.
A fomentare i dubbi sul nucleare è inoltre l’errata convinzione di alcuni che energia nucleare equivalga a bomba nucleare, quando l’uranio utilizzato è in realtà differente (per la prima si utilizza l’uranio 235, per la seconda l’uranio 238: l’uranio utilizzato per la bomba atomica supera il 90% di uranio 235, mentre per i reattori nucleari parliamo del 3-5%).
Entrambi i referendum italiani, quello del 1987 e quello del 2011, furono dunque votati da una popolazione “traumatizzata” da due tragici incidenti e di fatto ignorante sul tema. Attualmente l’opinione generale sembra essere mutata: la recente proposta di legge ha superato le 50.000 firme richieste (secondo i dati del Ministero della giustizia la maggior parte appartiene a giovani maschi tra i 20 e i 30 anni).
E a livello scientifico, di cosa stiamo parlando?
È innegabile che l’energia nucleare è da considerare fondamentale per il nostro futuro, dato che è più pulita, non genera CO2 ed è inesauribile, ma bisogna fare una distinzione fondamentale tra fusione e fissione nucleare:
- nella fusione nucleare due nuclei di elementi leggeri, quali deuterio e trizio, a temperatura elevatissima si fondono formando nuclei di elementi più pesanti come l’elio, con emissione di grandi quantità di energia (con 1,6 gr di deuterio estratto da acqua più il trizio, che è il primo isotopo radioattivo di un elemento chimico nonché dell’idrogeno stesso, si ottiene il fabbisogno energetico di una persona per circa dieci anni);
- nella fissione nucleare invece si va a bombardare con dei neutroni materiali con nuclei pesanti, come ad esempio il torio e l’uranio, che dividendosi in due frammenti a carica positiva si respingono con violenza allontanandosi con elevata energia cinetica.
Delicato è il discorso dell’uranio, considerato da alcuni paesi (ad esempio il Giappone) materia prima critica. L’uranio utilizzato per la fissione è una risorsa finita, ma se l’uomo riuscirà a dominare la fusione la situazione sarà molto diversa. C’è da dire che ci sono metodi che consentono di riciclare l’uranio o di arricchirlo, come la tecnica laser “Silex”, e incrementare inoltre l’uso del torio, vantaggioso anche dal punto di vista della sicurezza, potrebbe ridurre l’alto utilizzo di uranio fino a quando non si sarà riuscito a ottenere energia grazie alla fusione.
In conclusione la fusione dunque non genera residui di lunga vita (fatta eccezione per alcuni sottoprodotti, come dei neutroni ad alta energia, che possono avere impatti a lungo termine su materiali strutturali), e in un ipotetico incidente non si verificherebbero ricadute rilevanti, dato che in caso di guasto il reattore si spegnerebbe autonomamente. Durante la fissione invece viene rilasciato del materiale radioattivo dal combustibile esausto, andando a causare problemi non indifferenti all’ambiente.
Se è apparentemente così vantaggiosa, perché la fusione non si usa?
Per ottenere la fusione di due atomi serve una enorme quantità di energia in modo da sconfiggere la repulsione atomica di due nuclei dello stesso segno: non ci sono materiali in grado di raggiungere tali temperature (stiamo parlando di diversi milioni di gradi celsius).
Attualmente il progetto ITER (International Thermonuclear Experimental Reactor) vuole dimostrare che è possibile generare energia elettrica in modo vantaggioso, producendo 70 volte quella utilizzata per produrla, al contrario del progetto JET (Joint European Torus), la cui consumazione di energia risultò maggiore rispetto a quella prodotta.
Il progetto sperimentale Iter, in sviluppo a Cadarache nel sud della Francia, intende trovare un sistema conveniente per ottenere energia nucleare attraverso la fusione: il cuore, il tokamak, avrà diametro e altezza di 30m, e al suo interno il plasma verrà scaldato fino a oltre 100.000.000 gradi celsius; i magneti che lo controlleranno invece opereranno invece a una temperatura di circa -269 di gradi celsius. Il campo magnetico sarà capace di racchiudere nelle proprie spire il plasma e di fatto il tokamak potrebbe diventare contemporaneamente il luogo più caldo e più freddo dell’intero universo.
Nei primi anni ‘30 del 2000 si procederà con la fase Demo, la fase dimostrativa del primo prototipo del reattore, che dovrà funzionare entro il 2050. Solo dopo la fase operativa degli anni ‘40 si procederà con reattori di fusione commerciali su larga scala, che dovranno essere pronti circa per il 2060.
Grazie a questo progetto si dovrebbe arrivare nel giro di una trentina d’anni ad avere delle centrali nucleari capaci di produrre energia pulita ed ecosostenibile, ma quando si parla di energia nucleare, le argomentazioni di chi è contro non riguardano solamente i tempi e i costi, su cui ci concentreremo più avanti, bensì soprattutto sulla gestione del combustibile esausto (scorie nucleari).
Ci sono diverse tipologie di combustibile esausto:
- i rifiuti a basso e medio livello di radioattività, con cui vengono creati degli oggetti (ad esempio vestiti e attrezzi ospedalieri);
- le scorie radioattive (la radioattività è causata da plutonio e uranio, utilizzati nella produzione energetica), che costituiscono meno del 3% dei rifiuti radioattivi prodotti ma contengono il 95% della radioattività. Al contrario di quanto si potrebbe credere le scorie non sono destinate esclusivamente al condizionamento, come nel caso della cementazione e vetrificazione nei cosiddetti dry casks. Scientificamente è possibile il riprocessamento delle scorie, ottenendo nuovo combustibile da quello esausto. L’energia contenuta è infatti ancora molto elevata, oltre il 95% dell’energia iniziale, il che lo rende particolarmente adatto al riciclo, ma è fondamentale aggiungere che non si tratta di una soluzione applicabile universalmente, sia per ragioni economiche sia per ragione legate alla proliferazione del nucleare. Purtroppo la maggior parte delle centrali nucleari sono “once-through”, ovvero inadatte a utilizzare combustibile riciclato.
Attualmente a regolare l’utilizzo di energia nucleare ci sono la CEEA (Comunità europea energia atomica) e la IAEA (Internazional atomic energy agency), fondate in risposta alla preoccupazione internazionale nei confronti degli armamenti nucleari durante la guerra fredda.
Nell’UE la decisione spetta agli Stati membri, e la legislazione è intesa a migliorare gli standard di sicurezza delle centrali e al trattamento delle scorie. In Italia il trattamento delle scorie radioattive è chiarito nel decreto legislativo del 17/03/1995 n.230, che riguarda l’attuazione delle direttive Euratom e regola l’uso delle sorgenti radioattive, la protezione sanitaria dei lavoratori e della popolazione, e stabilisce norme per il controllo delle attività che comportano esposizione a radiazioni ionizzanti, garantendo la sicurezza e la salute pubblica.
Torniamo agli altri due punti sottolineati da coloro che sono contrari al nucleare: costi e tempi.
Solitamente servono 7 anni e mezzo (ottimisticamente parlando, poiché si possono verificare numerosi ritardi come nel caso di Olkiluoto 3 in Finlandia che ha impiegato 22 anni per diventare operativa) per costruire una centrale nucleare, ma i tempi sono notevolmente diminuiti, anche perché la lentezza è per motivi politici. Esempio: la costruzione dell’Hintley Point C è stata rallentata per motivi burocratici, oltre che al Covid-19, e la dilatazione delle tempistiche ha aumentato notevolmente i costi per l’azienda, a cui il governo inglese non aveva concesso prestiti. Fuori dall’Europa i tempi sono più brevi, la Cina ad esempio costruisce ogni anno da 6 a 8 centrali nucleari (ha iniziato a costruire negli anni ‘80 del novecento e da allora non si è fermata), ma c’è anche da dire che le normative europee in materia di sicurezza sono particolarmente restrittive.
Le centrali dunque presentano costi non indifferenti: le spese devono comprendere la costruzione, la manutenzione, l’ammodernamento e la connessione rete elettrica, ma un reattore, con le dovute sostituzioni periodiche, può durare anche 80 anni. La fonte nucleare però risulta proprio per la sua complessità fra le più competitive: è necessaria una ricca e approfondita istruzione, che unita a una maggiore intensità di lavoro porta a
salari più alti.
Come possiamo considerare il nucleare sostenibile se le procedure e i costi sono di fatto così elevati?
Prendiamo per esempio il caso della Germania. Ha scioccato qualche anno fa la decisione di chiudere le centrali nucleari tedesche (prima ce n’erano ben 17), ma fino a poco prima della guerra in Ucraina 3 reattori erano ancora accesi e Scholz aveva deciso di mantenerli tali. Ad aprile 2023 anche questi sono stati spenti e sia in termini di emissioni sia economici la situazione è decisamente peggiorata, causata dall’aumento dell’uso del
carbone per compensare la chiusura delle centrali nucleari.
La soluzione potrebbe quindi essere provvedere al fabbisogno energetico statale utilizzando il nucleare e raggiungendo la quota necessaria con le rinnovabili, andando a eliminare totalmente l’utilizzo del carbon fossile e non rischiando di ottenere aumenti vertiginosi nelle bollette. L’Italia ha investito 230 mld nelle rinnovabili, che da sole però non bastano.
Sul discorso delle rinnovabili bisogna citare il ritorno sull’investimento (ROI). I costi iniziali di costruzione sono elevati, ma i costi operativi sono bassi dato che sfruttano le risorse naturali e a lungo andare i benefici sono maggiori dei costi di mantenimento. Gli investimenti nelle rinnovabili diventano economicamente vantaggiosi in periodi di tempo variabili ma solitamente tra i 5 e i 15 anni.
Il ROI del nucleare invece chiede inizialmente costi di costruzione molto alti, ammortizzati dalla durata delle centrali nel tempo (fino a 80 anni). I costi di produzione sono molto inferiori rispetto a quelli del carbon fossile, dato che i materiali utilizzati servono in quantità minime rispetto all’enorme quantità di energia prodotta. Le centrali nucleari producono energia costantemente, al contrario delle rinnovabili che dipendono dai fenomeni climatici.
In generale la lunga vita utile e i bassi costi operativi portano a un ritorno economico competitivo rispetto alle fonti fossili, anche contando lo smaltimento delle scorie e il decommissioning (smantellamento), ma è necessario appunto considerare le numerose variabili.
Facendo un breve confronto tra i due, il ROI del nucleare è generalmente più lento rispetto alle rinnovabili (15-30 anni contro 5-15 anni), tuttavia il nucleare è più competitivo per coprire il fabbisogno di energia continua su larga scala, ma richiede una pianificazione a lungo termine.
Perché, dunque, l’energia nucleare dovrebbe essere un bene europeo?
La crisi climatica è affrontata spesso in maniera disorganizzata: le COP sono inadeguate, e per quanto abbiano rappresentato dei passi avanti significativi come nel caso del Protocollo di Kyoto e dell’Accordo di Parigi, sono gestite da meccanismi intergovernativi che creano impegni non vincolanti per gli Stati partecipanti.
Una politica energetica nucleare con ottica federale potrebbe contribuire in modo decisivo a spingere l’Europa verso una comune politica ambientale. La visione federalista basata sul principio di sussidiarietà si rivelerebbe fondamentale per dare vita a Istituzioni comuni con effettivo potere decisionale, creando organismi soggetti a un diretto controllo democratico per garantire la massima trasparenza.
Il 30% dei fondi del Next generation eu è destinato alla transizione ecologica, e come sottolineato nel Rapporto Draghi il rafforzamento delle industrie nei campi dell’energia pulita è tra gli obiettivi dell’Unione, mirando quindi a creare posti di lavoro di alta qualità. Il Green Deal europeo si pone come fine entro il 2050 il raggiungimento di un’economia carbon neutral, e ciò sarà possibile solamente grazie all’utilizzo dell’energia nucleare in aggiunta alle insufficienti rinnovabili.
L’Unione europea deve dunque adottare una politica energetica nucleare comune, in modo da favorire non solo il raggiungimento degli obiettivi prefissati, ma anche di spingere verso una collaborazione internazionale più stretta e decisiva, andando a favorire economicamente i vari Stati con la creazione di numerosi posti di lavoro.
Si riuscirà a diventare carbon neutral solamente se l’Europa sarà capace di creare Istituzioni tecnocratiche volte a regolare l’utilizzo del nucleare, aiutando gli Stati attualmente privi a creare nuove centrali, o a rimettere in funzione quelle vecchie. Le aziende dovranno convertirsi e ciò produrrà numerosi posti di lavoro per persone con un elevato grado di preparazione.
L’energia nucleare è quindi da considerare come un bene europeo per tutte le sopracitate ragioni. Una comune strategia di lotta al cambiamento climatico disposta a sfruttare il nucleare come energia principale data sia la sua sostenibilità sia i vantaggi economici che ciò comporterebbe, potrebbe configurarsi dunque come soluzione ultima per l’Europa, rendendola in grado di diventare finalmente energeticamente indipendente da paesi come
ad esempio la Russia. Il conflitto con l’Ucraina non ha fatto che evidenziare la situazione di dipendenza in cui prima ci si trovava, e tale conflitto ha inoltre mostrato come una politica ambientale comune sia essenziale.
Come scritto nel documento di risposta alla crisi climatica approvato al recente Comitato Federale di Senigallia della Gioventù Federalista Europea, è essenziali che l’Unione europea «si doti di una politica estera unica che promuova lo sviluppo di una strategia comune di lotta al cambiamento climatico globale tra Paesi occidentali e Paesi in via di sviluppo basata sulla solidarietà attraverso il principio common but differentiated responsibility and respective capabilities», e riformi in senso federale le Istituzioni per favorire la transizione ecologica sfruttando l’energia nucleare: pulita, sostenibile e necessaria se intendiamo aiutare il nostro pianeta durante la crisi climatica.
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