Quale futuro per Fibercop?

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Voci di uscita dell’ad di Fibercop Luigi Ferraris sollevano un punto interrogativo sul piano industriale e sul futuro in generale della società. Resta da capire la strategia a lungo termine dell’azienda nel sul rapporto con Tim, sullo switch-off del rame e sul merger con Open Fiber.

Nebbia fitta nel cielo delle Tlc italiane, dove da qualche giorno è scoppiato il caso Luigi Ferraris, l’ad di Fibercop già numero uno di FS, che sembrerebbe già in procinto di lasciare il timone. Una tempesta inattesa. Tanto più che Fibercop come società della rete indipendente da Tim esiste soltanto dal primo luglio scorso.

Le divergenze fra soci, KKR (37,5%) da un lato e MEF (16%) dall’altro, stanno mettendo quindi a dura prova la tenuta del top management, con Ferraris che pagherebbe lo scotto delle divergenze di vedute del Cda?

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Quale piano industriale?

Fibercop è controllata dal fondo americano KKR, che ne ha preso le redini per un totale di 18,8 miliardi di euro in cordata con il Mef (16,6%)

Resta da capire, a questo punto, quale sarà il piano industriale dell’azienda, che doveva essere presentato a febbraio ma che a questo punto slitterebbe a marzo.  

Oggi un Cda della società potrebbe già dare risposte su un eventuale cambio al vertice.

Ma al di là di questo, resta la questione centrale del futuro dell’azienda e di un piano industriale che, secondo le voci circolate nelle scorse settimane, avrebbe dovuto contare su 10 miliardi di investimenti in tre anni.

Cosa intende fare il primo azionista americano?

Il nodo dello switch-off del rame

Fra le principali domande aperte c’è quella sullo switch-off della rete in rame.

Come sarà gestito lo spegnimento del rame?

In maniera graduale?

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O fissando una dead line?

Si ricorda che l’Unione Europea raccomanda sì lo spegnimento del rame, ma che non esiste un obbligo in capo ai diversi Stati membri per procedere in questo senso. Tentativi della politica in questo senso sono stati anche bocciati.

Sulla rete lavorano 20mila dipendenti, con un’età media sopra i 50 anni. Il che fa alzare le antenne dei sindacati, che sono preoccupati sul futuro della società dopo lo scorporo della rete.   

Tutte questioni di carattere industriale ma anche sociale, che impatteranno sul valore dell’asset principale di Fibercop che è la sua rete.

Leggi anche: UILCOM, FiberCop: ‘Fortemente preoccupati dalle notizie su possibile uscita dell’Ad’

La situazione non è semplice

Fibercop è l’unica società europea che si è separata dall’incumbent, scorporando la Netco. Un’operazione fortemente voluta dal Governo.

Il rapporto con Tim resta privilegiato, grazie al Master Service Agreement che garantisce alla società della rete 2 miliardi all’anno dalla compagnia guidata da Pietro Labriola per l’uso della rete. Ma già l’Antitrust ha avviato un’indagine sul MSA, che durerà un anno, per verificare l’assenza di rapporti privilegiati fra le due entità, che potrebbero danneggiare la concorrenza con particolare riferimento alla durata trentennale e alla sontistica accordata.

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Fibercop opera in un contesto complicato e deve rispettare i stringenti obiettivi di copertura del PNRR nel quadro di Italia 1 Giga e Italia 5G, dove si è aggiudicata i lotti per il backhauling in fibra delle stazioni radio base.

L’asset principale è la rete FTTC

Il suo core business è legato alla rete FTTC, fibra misto rame, che nel nostro Paese rappresenta ancora la tecnologia più diffusa e che secondo le stime durerà ancora a lungo, almeno fino al 2036.

Sullo sfondo resta poi la fusione con la rete in fibra di Open Fiber, società partecipata da CDP per il 60% e Macquarie per il 40% su cui spinge il Governo, che vorrebbe l’avvio dei negoziati entro la primavera.

Stefano Paggi, ex capo rete di Tim e Open Fiber, ha assunto la guida delle operazioni di Fibercop dopo l’uscita di Elisabetta Romano, ex ad di Sparkle e in precedenza Chief Network, Operations & Wholesale Officer di TIM.

Ma resta da capire quale sarà l’atteggiamento di KKR rispetto all’earn out.

La rete unica è un mito?

C’è da dire che la rete unica, secondo altre voci, è in realtà un mito, vista la presenza nel nostro paese di numerose altre reti alternative regionali che non rientrano nel perimetro del progetto, e che continueranno ad esistere separatamente, in primis quella di Fastweb che tra l’altro è uscita da Fibercop all’atto dello scorporo.

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Di certo Fibercop avrà in futuro una forte concorrenza da Fastweb ma anche da parte di piccoli operatori regionali.

Il nodo degli earn out: come si porrà KKR?

Il governo discute da anni della possibilità di unire le attività di rete fissa di Tim con quelle del rivale più piccolo Open Fiber. All’inizio del 2024, Tim ha completato la vendita della sua rete a KKR in un accordo da 18,8 miliardi di euro per aiutarla a ridurre il debito. L’accordo include 2,5 miliardi di euro – che potrebbero salire a 2,9 miliardi – in guadagni (earn out) che KKR dovrebbe pagare a Tim, per lo più legati a una possibile fusione con Open Fiber entro 30 mesi.

Per ora, le due aziende procedono separatamente su binari paralleli e Open Fiber ha ancora bisogno del sostegno delle banche per proseguire con i suoi piani di copertura delle aree bianche e grigie del paese. Sullo sfondo resta da capire se KKR sarà davvero propensa a favorire la fusione di Fibercop con Open Fiber, visto l’earn out non trascurabile che dovrebbe sborsare e su cui Tim punta molto per partecipare attivamente (da predatore e non da preda) all’ondata di consolidamento da più parti auspicata.

Leggi anche: Switch off del rame per legge? Ma l’obbligo di spegnimento non è previsto nella Ue 

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