“Quello giudiziario è un potere che si è espanso moltissimo negli ultimi cinquant’anni. Oggi siamo in una fase di riequilibrio che ha spinto la politica a toccare anche aspetti dell’architettura costituzionale”. Così, alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, il vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura Fabio Pinelli ammette di fatto che lo scopo finale della riforma sulla separazione delle carriere – appena approvata in prima lettura alla Camera – è quello di ridimensionare il ruolo dei magistrati. Davanti al capo dello Stato Sergio Mattarella, suo diretto superiore in quanto presidente di diritto del Csm, l’avvocato leghista lancia messaggi alle toghe troppo attive nel contestare il governo: “La legittimazione del magistrato è diversa da quella della politica, perché si fonda sulla possibilità, scevra dal consenso popolare, di intervenire con le sue decisioni sulla vita di tutte le persone. Il fondamento del giudice sta dunque nella sua terzietà: se si è risolutori di conflitti non si può essere parte“, dice. Parole che ricordano quelle usate lo scorso anno nella stessa occasione, quando si spinse a predicare la necessità di superare il principio del giudice soggetto soltanto alla legge, affermando che i magistrati dovrebbero esercitare la loro funzione in modo tale da rispondere “alle aspettative collettive“. “La magistratura interviene legittimamente nel dibattito e porta il proprio contributo di competenza, ma non deve divenire parte del conflitto. L’identità dell’essere magistrato non postula la possibilità di essere “di parte”: esso è inserito in un ordinamento che si regge su un delicato equilibrio di pesi e contrappesi”, sostiene Pinelli. Poi accusa l’intero ordine giudiziario di corporativismo e poca disponibilità al confronto: “È necessario che la magistratura torni a occuparsi delle grandi questioni in termini costruttivi. Talvolta, invece, rischia di apparire interessata sostanzialmente ad un dibattito svolto in un’ottica di autotutela. L’autoisolamento è il maggior rischio che la magistratura possa correre”.
A lanciare un messaggio elegante ma chiaro alla politica è invece la prima presidente della Suprema Corte, Margherita Cassano. In chiusura della sua relazione, dopo aver citato i dati positivi sul raggiungimento dei target Pnrr da parte degli uffici giudiziari, Cassano sottolinea come l’immagine della magistratura che emerge dai numeri sia “diversa da quella oggetto di abituale rappresentazione e posta a base di progetti riformatori. Una magistratura che, conscia delle sue responsabilità, cerca di assolvere al meglio i propri doveri con spirito di collaborazione, tensione ideale, impegno professionale. Questo sforzo necessita di essere accompagnato da un contesto improntato al rispetto reciproco fra le varie istituzioni dello Stato, a razionalità, pacatezza, equilibrio”, avverte. Di fronte al ministro della Giustizia Carlo Nordio, seduto in prima fila, Cassano fa un riferimento esplicito ai continui attacchi della politica al potere giudiziario, l’ultimo dei quali, piuttosto violento, è arrivato dallo stesso Nordio mercoledì in Parlamento: “Serve un vero e proprio patto per lo Stato di diritto, in grado di alimentare la fiducia dei cittadini nei confronti di tutti gli organi cui la Carta fondamentale assegna l’esercizio di funzioni sovrane. Il mio auspicio per il nuovo anno giudiziario è che tutti noi possiamo recuperare la consapevolezza di essere parti dell’unico arco su cui poggia il ponte dello Stato di diritto”, conclude.
Nordio, da parte sua, ripete che la riforma “è un dovere assunto verso gli elettori” e non toccherà l’indipendenza dei pubblici ministeri rispetto alla politica. Ma tra una citazione e l’altra sembra ammettere che in futuro potrà non essere così: “I nostri padri costituenti, ispirati dalla saggezza dell’Ecclesiaste, sapevano che ogni cosa ha il suo tempo, e c’è un tempo per ogni cosa. Personalmente, da Cristiano, posso aggiungere che soltanto la veritas Domini manet in aeternum“, solo la verità del Signore è eterna. “Nondimeno la riforma si presenta, per quanto riguarda l’indipendenza e l’autonomia della magistratura, con una chiarezza cartesiana di rocciosa solidità. Ogni fantasia speculativa su variazioni futuribili è un’arbitraria interpretazione divinatoria. Il legislatore procederà senza esitazione, nella fiduciosa ma incondizionata acquiescenza al referendum popolare che suggellerà questo iter complesso”, promette. E ripropone uno dei suoi mantra: “Il ruolo del giudice uscirà difeso e rafforzato, senza indebolire l’accusa, attuando in pieno il principio liberale secondo cui la giurisdizione si attua mediante il giusto processo, dove le parti sono in condizioni di parità davanti al giudice terzo e imparziale”.
Anche il procuratore generale Luigi Salvato affronta il tema dei rapporti tra poteri e del rispetto reciproco tra istituzioni dello Stato: “L’equilibrio fissato dalla Costituzione impone che i poteri si riconoscano reciprocamente, senza infingimenti legati al contingente, con uno sguardo lungo sul bene delle istituzioni, senza denunciarne la contraffazione quando inesistente, senza indirette rivalse che sgretolino l’indipendenza della giurisdizione; mai può giovare all’equilibrio tra poteri una magistratura inutilmente sfregiata, agli occhi dei cittadini, dell’indispensabile autorevolezza della giurisdizione”, afferma. E ancora: “Vi sono segnali di una crisi di fiducia nella magistratura, preoccupante perché investe uno dei capisaldi dello Stato costituzionale di diritto. La fiducia non va confusa con il consenso sul merito dei provvedimenti. Il consenso è la fonte di legittimazione delle funzioni politiche, non del potere giudiziario, che si radica nella legalità, nell’autorevolezza nello stabilire la verità giudiziaria, attestata dalla motivazione dei provvedimenti che, all’esito di un giusto processo, danno applicazione alla legge”.
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