Bambini in guerra: a Sarajevo il museo per le vittime di Bosnia, Gaza e Ucraina

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Il War Childhood Museum conserva centinaia di oggetti appartenuti ai bambini che hanno vissuto la guerra in Bosnia-Ergezovina, ma anche i piĆ¹ recenti conflitti in Ucraina e Medio Oriente. I racconti di Emina, Vesna, Emir, Hala, Dmytroā€¦ Secondo lā€™Onu, circa la metĆ  delle vittime dei conflitti armati in tutto il mondo sono bambini o adolescenti

(Foto Simone Matteis)

ā€œBenvenuti in una cittĆ  senza acqua, senza corrente, senza cibo, senza medicine. Benvenuti a Sarajevo negli anni Novantaā€. Comincia cosƬ War Childhood (ā€œInfanzia di guerraā€), il libro attraverso cui Jasminko Halilovic ha racimolato i ricordi drammatici dei 1.425 giorni dā€™assedio che sfregiarono in maniera crudele e indelebile la capitale della Bosnia-Erzegovina al tempo della guerra in Jugoslavia. Per riavvolgere il nastro degli orrori Halilovic ha scelto di affidarsi a coloro che piĆ¹ di tutti hanno patito le sofferenze (e le conseguenze) del conflitto: i bambini. ā€œHo imparato che crescere in guerra ĆØ unā€™esperienza complessa, non sufficientemente studiata e universaleā€, ha dichiarato lā€™autore, che da quelle sue pagine ha tratto ispirazione per eternizzare ancora di piĆ¹ il concetto espresso nel libro. Nel 2015 ĆØ nato infatti il War Childhood Museum, dedicato ā€“ letteralmente ā€“ allā€™infanzia in guerra. Per chi visita Sarajevo ĆØ una tappa imperdibile, in grado di trasportare chi varca la soglia un poā€™ nascosta tra i vicoli che scendono verso la Bascarsija (il centro storico) indietro di trentā€™anni, fino alla tragedia che per anni ha insanguinato i Balcani.

Silenzio profondo. Tre piccole sale, un percorso obbligato attraverso gli oggetti appartenuti ai bambini che hanno vissuto la guerra e un silenzio profondo contraddistinguono questo museo unico nel suo genere, premiato per la sua mission dal Consiglio dā€™Europa nel 2018. ā€œLa visioneĀ del War Childhood Museum ĆØ quella di aiutare le persone a superare le esperienze traumatiche del passato e prevenire i traumi altrui, promuovendo allo stesso tempo la comprensione reciproca a livello collettivo per migliorare lo sviluppo personale e socialeā€, si legge nella descrizione dello spazio espositivo. Appena entrati si viene catapultati in unā€™esperienza profondissima che coinvolge lā€™intera sfera sensoriale: si ascoltano diversi suoni, dal fruscio dellā€™erba al rimbalzo del pallone in una palestra, oppure si annusano profumi o si applica un adesivo sotto alcune frasi, tutto per rievocare la propria infanzia. Passando nellā€™altra sala, lo stacco ĆØ drastico. Unā€™altalena variopinta con attaccato il campanellino da suonare per dire ā€œsono qui!ā€ ai propri genitori, un coniglio di pezza blu, una palla di gomma con su scritto ā€œEminaā€, dal nome della proprietaria. Negli anni il museo ha raccolto oltre seicento oggetti appartenuti alla gioventĆ¹ passata attraverso il dramma della guerra in Bosnia-Erzegovina, ciascuno corredato da una descrizione fornita dai proprietari, assieme alle motivazioni che li hanno spinti a donare quello che tante volte ĆØ lā€™unico ricordo di un familiare scomparso.

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Ricordi indelebili. ā€œMio padre era un insegnante, vestiva sempre elegante e con la barba rasata, quando ero piccolo lo guardavo mentre si preparava per andare al lavoro. Non ĆØ sopravvissuto al genocidio di Srebrenica, ed io ho conservato questo rasoio con cura per tanti anni, ma ogni volta che cercassi di utilizzarlo riaffioravano i ricordi di mio padre e il suo amore infinito per me, mia madre e mia sorella. Sono consapevole di non essere in grado di usarlo cosƬ bene come faceva lui, per questo ho scelto di donarlo al Museo per tenerlo al sicuroā€. La storia raccontata da Emir, che al tempo della guerra aveva appena quindici anni, ĆØ soltanto una delle tante testimonianze capaci di far immobilizzare lo spettatore al pensiero di cosā€™ĆØ stata quella infanzia a confronto con la propria, rievocata appena pochi istanti prima nella sala adiacente. Una dicotomia potente come uno schiaffo in pieno viso, il colpo inferto dallā€™odio allā€™umanitĆ  nella sua purezza piĆ¹ integra, lā€™etĆ  della fanciullezza.

(Foto S.M.)

Gli altri conflitti. Tra abitini colorati (ā€œLā€™unico vestito nuovo che ricevetti durante la guerraā€, dal racconto di Vesna) e aiuti umanitari conservati integri fino ad oggi, dalla tela di nylon targata Unhcr alle lattine di cibo, il Museo di Sarajevo si ĆØ arricchito con due nuove sezioni contenenti oggetti provenienti dai teatri di guerra piĆ¹ caldi degli ultimi mesi: lā€™Ucraina e la Striscia di Gaza. Cā€™ĆØ il braccialetto intrecciato a formare i colori della bandiera palestinese che appartiene a Hala, vissuta quattro anni in Malesia dove ha imparato che ā€œla vita ĆØ differente fuori da Gazaā€. Cā€™ĆØ un peluche a forma di cagnolino che ha ā€œsalvato la vitaā€ a Dmytro, corso fuori per recuperare il suo pupazzo in cortile durante un pomeriggio di giochi e, proprio in quel frangente, scampato al fuoco dei proiettili russi diretti verso casa sua. Cā€™ĆØ persino un portafoglio color rosso rubino appartenuto alla nonna di Vlada, morta a seguito del bombardamento della loro casa di Popasna appena due giorni dopo aver salutato i suoi nipoti in partenza verso lā€™Ucraina occidentale: ā€œCol tempo ho capito che nonna ĆØ sempre con me, mi protegge e mi aiuta a costruire una vita migliore, quindi ho deciso di donare questo ricordo al Museo, cosƬ che il suo esempio possa essere di supporto a molti altriā€.

(Foto S.M.)

ā€œQuesto dondolo continuerĆ  a oscillareā€. Lā€™ultima stanza ĆØ buia, con unā€™altalena simile a quella che apriva la carrellata di oggetti appartenuti ai bambini in guerra. ƈ tutta bianca, con un filo rosso a tenerla appesa al soffitto e un solo faretto a rifletterne lā€™ombra sul pavimento. ā€œQuando spingi questa altalena, imprimi unā€™energia cinetica che diventa energia potenziale nel momento in cui il dondolo raggiunge il suo punto piĆ¹ alto. In teoria, in assenza di forze esterne, lā€™altalena non smetterebbe mai di muoversi. State uscendo dal War Childhood Museum, ma questo dondolo continuerĆ  a oscillare, cosƬ come la vita prosegue dopo lā€™infanzia durante la guerra. PerchĆ© la vita dura piĆ¹ a lungo rispetto a noi e alle nostre esperienzeā€.

Una cittĆ -emblema. In unā€™epoca macchiata senza sosta dal sangue di migliaia di vittime innocenti, poter contare su uno spazio in cui i ricordi dei bimbi si ergono a totem di vita contro le centinaia di mani che hanno impresso morte ĆØ un bene prezioso e da tutelare, in una cittĆ  come Sarajevo che racchiude al suo interno unā€™anima che fa della convivenza tra le differenze la propria cifra costitutiva. E la sua straordinaria unicitĆ , oggi come ieri.

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