quando sussiste l’interesse e la legittimazione ad impugnare la delibera del CdA?

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Il caso deciso e i principi enunciati

Il socio di una importante società per azioni operante nel mercato delle telecomunicazioni, proprietaria anche delle infrastrutture di rete utilizzate per il trasporto e la distribuzione del segnale sul territorio nazionale, uniche perché precedentemente realizzate in regime di monopolio, ha impugnato avanti al Tribunale di Milano la delibera del consiglio di amministrazione che disponeva la cessione del ramo di azienda costituito da tali infrastrutture, dall’attività di fornitura dei servizi di accesso alla rete ad altri operatori commerciali concorrenti (clientela c.d. wholesale) e da alcune partecipazioni sociali strumentali all’esercizio di tali attività.

Il socio ha osservato che, a norma dello statuto, l’attività della società doveva consistere necessariamente nella proprietà e nella gestione delle infrastrutture di rete al fine di fornire i propri servizi di telecomunicazione sia alla suddetta clientela wholesale che alla clientela c.d. retail. Per effetto di tale dismissione sarebbe cessata l’attività di fornitura di servizi di accesso alla rete agli altri operatori commerciali e sarebbe residuata la sola attività di fornitura di servizi alla clientela retail, ritenuta, peraltro, insufficiente a far fronte all’indebitamento della società. Secondo il socio, quindi, tale decisione avrebbe determinato una modificazione dell’oggetto sociale e un cambiamento significativo dell’attività della società non consentiti agli amministratori perché riservati alla competenza dell’assemblea straordinaria dei soci.

L’impugnazione è stata proposta ai sensi dell’art. 2388, comma 4, c.c., per contrasto della deliberazione impugnata con l’oggetto sociale e, comunque, per la sua adozione in violazione dei limiti legali alla competenza degli amministratori, che precludono il compimento di atti tali da comportare il mutamento delle caratteristiche strutturali dell’impresa sociale. Al riguardo, il socio opponente ha lamentato la lesione del suo diritto ad esprimere il voto in assemblea straordinaria sulla modificazione dell’oggetto sociale e, nel caso di dissenso dal voto espresso dalla maggioranza, anche del suo diritto al recesso, ai sensi dell’art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.

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Il socio ha impugnato la delibera anche per avere il consiglio di amministrazione violato gli artt. 2391 e 2391-bis c.c. nonché il Regolamento Consob sulle operazioni con parti correlate e le procedure attuative del medesimo. Sotto questo profilo, il socio opponente ha lamentato che l’inosservanza di tali disposizioni incideva sul diritto all’informazione necessaria a compiere le sue valutazioni in ordine alla gestione del proprio investimento e sul diritto all’integrità del valore della partecipazione sociale minacciata dalla possibilità di estrarre ricchezza dalla società a favore di una parte correlata.

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 278/2025 del 14/01/2025, ha rigettato l’impugnazione, dichiarando il socio carente di interesse ad agire con riguardo alla domanda di annullamento della delibera per contrarietà all’oggetto sociale e per violazione dei limiti legali alla competenza degli amministratori nonché carente di legittimazione attiva con riguardo alla domanda di annullamento per violazione della disciplina sulle operazioni con parti correlate.

In particolare, il Collegio meneghino ha affermato che il socio, il quale lamenta che la delibera del consiglio di amministrazione abbia – di fatto – determinato una modificazione dell’oggetto sociale, non consentita perché riservata alla competenza dell’assemblea straordinaria dei soci, mai convocata, è carente di interesse ad impugnare se non deduce (come nel caso a mano) che, in caso di convocazione di tale assemblea, avrebbe espresso voto contrario alla modificazione statutaria.

Inoltre, il socio è carente di legittimazione ad impugnare la delibera adottata in violazione della disciplina sulle operazioni con parti correlate di cui all’art. 2391-bis c.c., perché tale impugnazione va ricondotta nell’alveo delle impugnazioni previste dall’art. 2391 c.c. che non contempla i soci tra i soggetti legittimati.

L’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione ex art. 2388, comma 4, c.c. e l’interesse ad agire del socio.

Il Tribunale di Milano ha premesso che l’art. 100 c.p.c. impone al giudice di verificare che la domanda giudiziale sia sorretta da un interesse attuale e concreto della parte al provvedimento giurisdizionale richiesto e cioè che sia proposta in funzione del conseguimento di un risultato utile giuridicamente apprezzabile di tutela, non conseguibile senza l’intervento del giudice, essendo esclusa l’ammissibilità del ricorso alla tutela giurisdizionale fondato sulla prospettazione di un diritto meramente eventuale o sulla sollecitazione di una soluzione generale e accademica ad una questione di diritto volta all’elaborazione di regole di comportamento destinate a disciplinare situazioni future meramente ipotetiche ovvero per conseguire un risultato che la parte potrebbe ottenere attivando poteri e facoltà già riconosciutele dall’ordinamento.

Tanto premesso, il Giudice milanese ha osservato che, nel caso dell’azione tipica volta all’annullamento delle delibere assembleari contrarie alla legge od allo statuto sociale, proposta dal socio ex artt. 2377 e 2378 c.c., la ricorrenza dell’interesse ad agire in capo al socio deve ritenersi incorporato nella legittimazione a proporre la domanda. Ciò perché la legittimazione ad impugnare la delibera è, in generale, riconosciuta ai soggetti interessati alla conformità alla legge e allo statuto delle decisioni che regolano la vita sociale, in modo tale che la categoria dei soggetti legittimati ad agire coincide con il perimetro dei soggetti interessati alla legittimità delle delibere sociali e, in particolare, l’interesse del socio alla legittimità della delibera è sufficiente all’esercizio concreto dell’impugnativa.

Secondo lo stesso Giudice, invece, il principio dell’incorporazione dell’interesse ad agire nella legittimazione ad agire non vale nell’ambito dell’impugnazione da parte del socio della delibera del consiglio di amministrazione regolata dall’art. 2388, comma 4, c.c. Tale disposizione, infatti, attribuisce la legittimazione generale a proporre la domanda di annullamento della delibera non conforme alla legge e allo statuto solo al collegio sindacale e agli amministratori assenti o dissenzienti e la riconosce ai soci limitatamente alle delibere lesive dei loro diritti. La legittimazione ad impugnare del socio è, dunque, espressamente limitata alla delibera consiliare non conforme a legge o statuto che arrechi pregiudizio alla sua sfera giuridica personale, andando ad incidere direttamente su un suo diritto individuale, amministrativo o patrimoniale, derivante dal contratto sociale e dalla sua posizione all’interno dell’organizzazione sociale che lo contrapponga alla società. In tale contesto, l’interesse del socio ad impugnare la delibera consiliare non può essere ritenuto in re ipsa e coincidente con l’interesse alla legittimità dell’attività gestoria e all’eliminazione della delibera non conforme alla legge o allo statuto: l’interesse ad agire si appunta, infatti, sul diritto individuale del socio leso dalla delibera consiliare non conforme nel senso che deve risultare evidente il nesso funzionale tra la pronuncia di annullamento richiesta dal socio e la realizzazione dell’interesse sotteso al diritto leso attraverso la rimozione delle ragioni che lo comprimono.

Il Tribunale di Milano ha, quindi, rilevato che, nel caso a mano, il socio opponente lamentava che la decisione dell’organo amministrativo, attraverso una modificazione – di fatto – dell’oggetto sociale statutario, aveva impedito l’esercizio del suo diritto di voto nell’assemblea straordinaria che avrebbe dovuto essere convocata per la prodromica modifica formale dello statuto e la possibilità di eventualmente esercitare il diritto di recesso. Secondo, il Tribunale, quindi, ai fini della ricorrenza dell’interesse ad impugnare la deliberazione consiliare, tanto in relazione alla lamentata lesione del diritto di voto tanto in relazione alla lesione dell’eventuale diritto di recesso, il socio avrebbe dovuto prospettare come certa almeno l’espressione del suo voto di dissenso, che era l’unica facoltà effettivamente compromessa dalla deliberazione del consiglio di amministrazione elusiva della competenza assembleare. Non avendo la società attrice mai prospettato, nel corso del giudizio, la volontà di esprimere un voto dissenziente nell’eventuale assemblea indetta per la modificazione dell’oggetto sociale, doveva escludersi la configurabilità anche solo potenziale della prospettata lesione del diritto di recesso di cui all’art. 2437, comma 1, lett. a) c.c., e l’esistenza di un interesse giuridico della socia attrice, concreto e attuale, all’impugnazione e all’annullamento della deliberazione consiliare.

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La decisione del Tribunale, sul tema generale dell’interesse ad agire, è conforme all’orientamento della giurisprudenza di legittimità, che trova il conforto anche della più autorevole dottrina, secondo cui l’interesse ad agire deve essere apprezzato ed accertato in relazione alla utilità concreta che, dall’eventuale accoglimento della domanda, può derivare al sedicente interessato (Cass. civ., sez. II, 04 marzo 2002, n. 3060; Cass. civ., sez. II, 28 ottobre 1993, n. 10708) con verifica, da compiersi d’ufficio da parte del giudice, in ordine all’idoneità della pronuncia richiesta a spiegare un effetto utile alla parte istante, dovendo lo stesso escludersi nel caso in cui la decisione risulterebbe priva di conseguenze giuridicamente apprezzabili in relazione alla situazione giuridica fatta valere in giudizio (Cass. civ., sez. lavoro, 30 giugno 2014, n. 14756).

In ordine alla ritenuta incorporazione dell’interesse ad agire nella legittimazione ad agire, in caso di azione di annullamento delle delibere assembleari ex artt. 2377 e 2378 c.c., la decisione del Tribunale di Milano asseconda l’orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. I, 4 dicembre 1996, n. 10814; Cass. civ., sez. I, 15 marzo 1995, n. 2968), avallato anche da una parte della dottrina, cui si contrappone, tuttavia, un indirizzo rigoroso e più risalente, secondo cui alla legittimazione si deve sempre accompagnare anche un interesse dell’impugnante all’annullamento, in ossequio alla regola generale sancita dall’ art. 100 c.p.c. (Cass. civ., sez. I, 13 gennaio 1988, n. 181).

Non risultando editi provvedimenti giurisprudenziali in tema di interesse ad agire del socio nel caso di impugnazione ex art. 2388 c.c. Non condivisibile, tuttavia, appare la decisione milanese nella parte in cui ha escluso la sussistenza di detto interesse per non avere il socio manifestato espressamente la propria volontà di dissentire all’operazione, in caso di convocazione dell’assemblea, potendo, tale dissenso evincersi anche dal tenore complessivo delle doglianze dell’impugnante, per come riportate in sentenza, in ossequio al principio secondo cui domanda giudiziale deve essere interpretata non solo nella sua formulazione letterale, ma anche, e soprattutto, nel suo sostanziale contenuto e con riguardo alle finalità che la parte intende perseguire (Cass. civ., sez. II, 03 marzo 2008, n. 5743).

La legittimazione del socio all’impugnazione delle delibere del consiglio di amministrazione per violazione delle norme sulle operazioni con parti correlate di cui all’art. 2391-bis c.c.

Relativamente alla impugnazione proposta dal socio per la ritenuta violazione dell’art. 2391-bis c.c. (e, segnatamente, per essere stata la delibera consiliare adottata in assenza del parere vincolante del Comitato Operazioni Parti Correlate sulla congruità del prezzo), il Tribunale di Milano ha osservato che tale disposizione si pone come norma di chiusura del sistema di protezione della società da comportamenti degli amministratori contrari all’interesse sociale, delineato in generale dall’art. 2391 c.c..

L’art. 2391-bis c.c. non prevede, però, alcuno specifico rimedio esperibile in caso di inosservanza delle regole in questione da parte del consiglio amministrazione. Il regime dell’impugnazione della decisione assunta in violazione di tale norma deve, quindi, essere mutuato dalla previsione generale dell’art. 2391 c.c. relativa alle decisioni assunte dall’organo amministrativo in conflitto di interesse di cui la fattispecie delle operazioni con parti correlate costituisce una specificazione.

L’art. 2391 c.c., tuttavia, confina in modo tassativo la legittimazione all’impugnazione della delibera consiliare ai soli amministratori ed al collegio sindacale e non anche ai soci.

La società attrice era, dunque, carente di legittimazione a impugnare la delibera per tali motivi.

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Sulla questione decisa dal Tribunale non risultano editi altri precedenti giurisprudenziali.

In dottrina vi è, però, chi predica la ammissibilità dell’impugnazione ex art. 2388 c.c. della delibera consiliare assunta in violazione della disciplina sulle operazioni con le parti correlate. La deliberazione, in questo caso, sarebbe – infatti – invalida per violazione di legge o di statuto e, pertanto, impugnabile.

Riferimenti normativi:

Art. 2377 c.c.

Art. 2378 c.c.

Art. 2388, comma 4, c.c.

Art. 2391 c.c.

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Art. 2391-bis c.c.

Art. 2437, comma 1, lett. a), c.c.

Art. 100 c.p.c.

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