“Suscitare empatia, non illusioni, chiusura e rabbia”

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“Sogno una comunicazione che sappia renderci compagni di strada di tanti nostri fratelli e sorelle, per riaccendere in loro la speranza in un tempo così travagliato. Una comunicazione che sia capace di parlare al cuore, di suscitare non reazioni passionali di chiusura e rabbia, ma atteggiamenti di apertura e amicizia; capace di puntare sulla bellezza e sulla speranza anche nelle situazioni apparentemente più disperate; di generare impegno, empatia, interesse per gli altri“. 

Un “sogno” che Papa Francesco ha reso pubblico oggi nel suo messaggio per la 59esima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali sul tema: “Condividete con mitezza la speranza che sta nei vostri cuori”. Un appuntamento che quest’anno si inserisce nel calendario delle celebrazioni per il Giubileo che dal 24 al 26 gennaio vede coinvolto il mondo della comunicazione con un pellegrinaggio alla Porta Santa di San Pietro, un incontro con il pontefice, e a seguire la messa celebrata dal Santo Padre.

Nel messaggio il Papa ricorda che “la comunicazione dei cristiani – ma direi anche la comunicazione in generale – dovrebbe essere intessuta di mitezza, di prossimità: lo stile dei compagni di strada, seguendo il più grande Comunicatore di tutti i tempi, Gesù di Nazareth, che lungo la strada dialogava con i due discepoli di Emmaus facendo ardere il loro cuore percome interpretava gli avvenimenti alla luce delle Scritture”. 

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Il Papa ha sottolineato, inoltre la necessitò di “essere testimoni e promotori di una comunicazione non ostile, che diffonda una cultura della cura, costruisca ponti e penetri nei muri visibili e invisibili del nostro tempo. Raccontare storie intrise di speranza, avendo a cuore il nostro comune destino e scrivendo insieme la storia del nostro futuro”. Nelle raccomandazioni rivolte a comunicatori e giornalisti a conclusione del messaggio il Pontefice prospetta “l’esigenza di una comunicazione attenta, mite, riflessiva, capace di indicare vie di dialogo. Vi incoraggio perciò – ribadisce Francesco – a scoprire e raccontare le tante storie di bene nascoste fra le pieghe della cronaca; a imitare i cercatori d’oro, che setacciano instancabilmente la sabbia alla ricerca della minuscola pepita. È bello trovare questi semi di speranza e farli conoscere. Aiuta il mondo ad essere un po’ meno sordo al grido degli ultimi, un po’ meno indifferente, un po’ meno chiuso. Sappiate sempre scovare le scintille di bene che ci permettono di sperare. Questa comunicazione può aiutare a tessere la comunione, a farci sentire meno soli, a riscoprire l’importanza del camminare insieme”, afferma.   

“Essere miti e non dimenticare mai il volto dell’altro – esorta ancora Francesco -; parlare al cuore delle donne e degli uomini al servizio dei quali state svolgendo il vostro lavoro. Non permettere che le reazioni istintive guidino la vostra comunicazione. Seminare sempre speranza, anche quando è difficile, anche quando costa, anche quando sembra non portare frutto”.  E “cercare di praticare una comunicazione  – prosegue il Papa – che sappia risanare le ferite della nostra umanità – aggiunge -. Dare spazio alla fiducia del cuore che, come un fiore esile ma resistente, non soccombe alle intemperie della vita ma sboccia e cresce nei luoghi più impensati: nella speranza delle madri che ogni giorno pregano per rivedere i propri figli tornare dalle trincee di un conflitto; nella speranza dei padri che migrano tra mille rischi e peripezie in cerca di un futuro migliore; nella speranza dei bambini che riescono a giocare, sorridere e credere nella vita anche fra le macerie delle guerre e nelle strade povere delle favelas”.

Una comunicazione che “ci aiuti a riconoscere la dignità di ogni essere umano” e “che non venda illusioni o paure, ma sia in grado di dare ragioni per sperare”.  Francesco, in questo senso, ha anche citato Martin Luther King: “Se posso aiutare qualcuno mentre vado avanti, se posso rallegrare qualcuno con una parola o una canzone… allora la mia vita non sarà stata vissuta invano” (cit.). Ma per fare ciò, è la sua constatazione, “dobbiamo guarire dalle ‘malattie’ del protagonismo e dell’autoreferenzialità, evitare il rischio di parlarci addosso: il buon comunicatore fa sì che chi ascolta, legge o guarda possa essere partecipe, possa essere vicino, possa ritrovare la parte migliore di sé stesso ed entrare con questi atteggiamenti nelle storie raccontate. Comunicare così – conclude – aiuta a diventare ‘pellegrini di speranza’, come recita il motto del Giubileo”.



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