A fine gennaio 2025, in Italia, s’è malinconicamente esaurito tutto il fondo per gli incentivi delle auto termiche ed elettriche, essendo stato svuotato il plafond per le ibride plug-in. In modo legittimo, i consumatori attendevano che i decisori politici proseguissero sulla stessa strada, quella di spingere con gli sconti statali a favore della domanda, così da rinnovare un parco circolante vetusto e favorire transizione e decarbonizzazione, e da migliorare la sicurezza stradale. Invece, d’improvviso, i potenziali clienti delle concessionarie – privati, famiglie, aziende, società di noleggio a lungo termine – sono rimasti a bocca asciutta. Sono politiche oscure e instabili che danneggiano cittadini e mercato, considerando anche l’anomala evoluzione delle scelte del governo Meloni, tali e quali – per tempestività e tipologia – a quelle degli esecutivi precedenti.
Prima fase: il Fondo Automotive
Eppure, in partenza, l’esecutivo attuale pareva avesse poche idee e chiare, come necessario per stimolare le immatricolazioni. A gennaio 2024, erano scattati i contributi già previsti dal decreto varato due anni prima dal governo Draghi per il triennio 2022-2024: circa 570 milioni di euro per termiche a basso impatto inquinante ed elettriche.
Seconda fase, consapevolezza dell’insuccesso
Con quegli incentivi, il governo non aveva centrato uno degli obiettivi, ossia aumentare le produzioni italiane, con Stellantis protagonista, per fare un milione di auto l’anno entro il 2030 nel nostro Paese. Poca soddisfazione dai volumi degli stabilimenti, soprattutto della Fiat Panda a Pomigliano e della 500 elettrica a Mirafiori. Interessante pertanto la rivoluzione di agosto 2024, illustrata dal ministro delle Imprese Adolfo Urso al Tavolo Automotive: una prospettiva pluriennale con bonus maggiori a favore delle auto più pulite, e un sostegno alle classi meno abbienti. Il Fondo Automotive prevedeva 750 milioni di euro per il 2025 e un miliardo annuo dal 2026 al 2030. Inoltre, si voleva seguire il modello francese: lo sconto maggiore alle auto con più componenti europee e meno componenti cinesi. In più, via a parametri innovativi, quali impronta ecologica, cybersecurity, rispetto dei diritti fondamentali della forza lavoro.
Terza fase: stop agli incentivi
A fine ottobre 2024, il cambiamento di 180 gradi del governo, stop agli incentivi sottraendo addirittura 4,6 miliardi dei 5,8 residui per il periodo 2025/2030 dal Fondo per la transizione verde, la ricerca, gli investimenti del settore automotive e per il riconoscimento di incentivi all’acquisto di veicoli non inquinanti. Come da Bilancio Finanziario dettagliato per capitoli di spesa dei singoli Ministeri, senza concertazione con le Case né altri soggetti. Una decisione che contraddiceva gli intenti di agosto. Un taglio dell’80% con disimpegno lato sostegno sia alla domanda sia all’offerta. A oggi, nessuna campagna in atto. E comunque, se proprio un giorno dovessero esserci nuovi incentivi, andrebbero a supporto dell’offerta, ossia dell’industria dell’auto, ha detto Urso. È sottinteso che i livelli occupazionali – in cambio – restino immutati.
Il fallimento dell’ecobonus e non solo
L’ecobonus ha fallito, mentre il target di 4,3 milioni di elettriche circolanti in Italia nel 2030 – dichiarato a Bruxelles – è utopia. Non c’è un piano pluriennale di sostegno alla domanda, nessun intervento sul regime fiscale delle aziendali, le infrastrutture di ricarica sono insoddisfacenti e i costi dell’energia elevatissimi, in attesa del prossimo Tavolo Automotive. Per giunta, è andato a vuoto anche il tentativo di coinvolgere un Gruppo cinese per un’eventuale fabbrica in Italia tale da raggiungere il famigerato milione di auto fatte nel nostro Paese: avendo votato sì ai dazi UE anti elettriche Made in China, Pechino s’è allontanata dalla nostra nazione.
Come reagisce l’italiano medio
Il risultato è che – per muoversi in libertà – l’italiano medio predilige l’auto usata: negli 11 mesi 2024, crescita del 7,2% con 4.945.228 passaggi complessivi rispetto a gennaio-novembre 2023. Nel 43% dei casi, si compra una diesel, e nel 47% delle transazioni la protagonista è una macchina con almeno 10 anni di vita. Altro che rivoluzione elettrica.
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