I giorni decisivi per Santanchè, Meloni congela il caso. Le 3 inchieste che rischiano di diventare una via crucis

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“Non ho le idee chiare” dice la presidente del Consiglio Giorgia Meloni parlando del prossimo futuro di Daniela Garnero Santanchè all’interno del governo. La ministra del Turismo, alta dirigente di Fratelli d’Italia, colonna portante del partito in Lombardia e in generale nel Nord, figura vicinissima al presidente del Senato Ignazio La Russa, si avvia lungo una via crucis giudiziaria dagli esiti che nessuno può prevedere e che comunque, come ogni percorso di passione, appesantisce il passo, rallenta il ritmo, anche se alla fine c’è la speranza della salvezza. “Si è colpevoli se si è condannati” annota il leader della Lega Matteo Salvini.

Ma il bagaglio della ministra che si autoproclamò pitonessa comincia ad avere un peso specifico notevole. E così il nodo è sempre più avviluppato e “chi più sgruppa, più raggruppa”, per prendere a prestito il libretto di un’opera di Rossini. Meloni rompe il silenzio per dire che ancora non sa cosa fare, perché il rinvio a giudizio non può essere sinonimo di dimissioni e che Santanchè sta facendo un ottimo lavoro e nel frattempo- si chiede – perché il Pd non chiede le dimissioni di Franco Alfieri, che è presidente della Provincia di Salerno ai domiciliari da tre mesi? Quello che Meloni probabilmente sa è che il ruolo di ministra del Turismo, in un Paese che col turismo fa colazione pranzo e cena, nell’Italia visitata da tutte le nazionalità del mondo (il made in Italy!), non può essere accostata alla situazione certamente scabrosa del sindaco di Capaccio Paestum amico di Vincenzo De Luca. E che il lavoro di “ambasciatrice” del turismo italiano nel mondo può diventare un po’ farraginoso se nel frattempo ci si deve difendere in una, due o – sia mai – perfino tre aule di tribunale. Per giunta si integrano abbastanza male – sotto il profilo anche solo estetico – le immagini di un incarico governativo per promuovere la salute di un settore imprenditoriale determinante per il Paese – o la Nazione – e i sospetti (accatastati l’uno sull’altro) che gettano più ombre che luci sul lavoro di imprenditrice non “a regola d’arte”, per utilizzare un’espressione di cautela.

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Saldo e stralcio

 

La settimana che viene può essere decisiva per il destino della ministra. Da una parte Meloni ha anticipato che avverrà il faccia a faccia tanto atteso dopo giorni di esitazioni, arrocchi, imbarazzi. Dall’altra mercoledì la Corte di Cassazione deciderà se il processo sulla truffa all’Inps – l’accusa senz’altro più sgradevole nei confronti di una parlamentare e pure ministra – deve rimanere al tribunale di Milano o, come chiedono gli avvocati difensori, essere trasferito a Roma. In mezzo una puntata di Report che si concentrerà sui manager pregiudicati neoazionisti di maggioranza di Visibilia e sui capitali per rilevare le quote. Per questo vale la pena rimettere in fila, una volta di più, le vicende in relazione alle quali la ministra potrebbe essere costretta a rispondere.

“I conti truccati” di Visibilia
Al 20 marzo è fissata la prima udienza davanti alla seconda sezione penale del tribunale di Milano e lì sarà attesa Santanchè e altri 15 imputati oltre alla società Visibilia srl in liquidazione. Tra gli imputati ci saranno il compagno della ministra (Dimitri Kunz), l’ex compagno (Canio Giovanni Mazzaro), la sorella (Fiorella Garnero), la nipote (Silvia Garnero), i quali hanno avuto tutti ruoli all’interno della società. L’accusa è false comunicazioni sociali. In sostanza, per l’accusa, i bilanci erano truccati. La Procura contesta che chi ha rivestito ruoli apicali abbia omesso “ogni attività di accertamento” sul bilancio di Visibilia Editore, spa quotata sul mercato, per conseguire “un ingiusto profitto”, con l’effetto finale di indurre in errore gli investitori e mettere a rischio la continuità della società. “Tutti sapevano e tutti hanno taciuto” delle irregolarità sui conti e della crisi di Visibilia, secondo i pubblici ministeri. Tra quei “tutti” anche Santanchè. “Sarò soddisfatto quando rivedrò indietro i miei soldi. Abbiamo perso tra i 350mila e i 400mila euro“ ha detto alcuni giorni fa Giuseppe Zeno che è alla guida dei soci di minoranza che quattro anni fa hanno cominciato la battaglia giudiziaria con un esposto. “Non ci volevano dare le informazioni che chiedevamo, come prevede la legge”.

Su questo processo pesano già le motivazioni della sentenza di patteggiamento per due società (Visibilia Editore e Visibilia Editrice) e per un altro imputato, l’ex consigliere Federico Celoria. La giudice per l’udienza preliminare Anna Magelli in quell’atto parla di “plurime condotte di falso in bilancio dal 2013 al 2023”, del fatto che sono state “celate le ingenti effettive perdite”. Tanto più che nel frattempo “in nessuno degli esercizi, tra il 2016 e il 2020, la società ha conseguito utili”. La stessa gup ha rilevato che il rinvio a giudizio di tutti gli altri è motivato dal fato che le prove “escludono la possibilità di emettere una sentenza di non luogo a procedere”.

La presunta truffa all’Inps
La storia più imbarazzante per una componente di un governo è senz’altro la truffa aggravata all’Inps, l’istituto di previdenza della Repubblica a cui la ministra ha giurato fedeltà. L’accusa è che l’azienda guidata da Santanchè abbia chiesto e ottenuto 126mila euro di fondi pubblici della cosiddetta “cassaintegrazione Covid”, gli aiuti che tra il 2020 e il 2022 il governo Conte aveva messo a disposizione delle imprese costrette a ridurre la produttività per via della pandemia e del lockdown e a mettere a riposo i lavoratori per alcuni periodi. Secondo le indagini della Guardia di Finanza coordinate dai pm Visibilia Editore chiese questa procedura per 13 dipendenti ma nel frattempo tutti continuavano a lavorare a pieno regime in smartworking.

Anche in questo caso Santanchè è tecnicamente “imputata” poiché la Procura ha già chiesto il rinvio a giudizio. Il tribunale non si è ancora pronunciato perché gli avvocati della ministra hanno chiesto il trasferimento del processo a Roma sulla base di alcune norme della riforma Cartabia. Si dovrà pronunciare la Corte di Cassazione. Secondo i legali il processo si deve celebrare a Roma perché è lì che aveva il conto il primo dipendente di Visibilia che incassò il contributo di cassaintegrazione. Secondo la Procura la truffa presunta ebbe una condotta “continuata” su tutti i dipendenti e l’ultimo pagamento avvenne su un conto di una banca di Milano. Per la gup Tiziana Gueli è più plausibile la tesi dei pm Marina Gravina e Luigi Luzi del “reato a consumazione prolungata” in quanto i versamenti mensili del contributo speciale a ciascun lavoratore si presentano come una “condotta unitaria”. Ma ha comunque deciso di sottoporre la questione al vaglio della Suprema Corte che deciderà mercoledì che viene “in camera di consiglio senza la presenza delle parti”.

Anche in questo caso insieme a Santanchè si ritrovano accusati altri ex dirigenti o responsabili amministrativi di Visibilia, dal compagno Dimitri Kunz al responsabile della tesoreria, Giuseppe Concordia.

Il fallimento di Ki Group
La terza inchiesta in cui è coinvolta Santanchè riguarda la Ki Group, la società della galassia del bio-food guidata dalla senatrice fino a fine 2021. Vendeva seitan, tofu, latte, pane, biscotti, cereali, farine e chicchi, ma anche prodotti per la casa, per il giardino, per l’orto o ancora dentifrici e saponi naturali. La ministra è indagata con il suo ex compagno Giovanni Canio Mazzaro, al fratello Michele Mazzaro e ad altre persone. Il tribunale fallimentare ha dichiarato la liquidazione giudiziale della società – il vecchio fallimento – dopo aver acclarato “uno stato di definitiva incapacità” di “fare fronte regolarmente alle proprie obbligazioni”. E questo in quanto non avrebbe avuto “più credito di terzi e mezzi finanziari propri” per coprire un “passivo” di oltre 8,6 milioni di euro. Una situazione difficile da sanare e che ha portato i giudici a rigettare la proposta avanzata dai legali: si trattava di un concordato semplificato che puntava su circa 1,5 milioni di euro che sarebbero dovuti arrivare dalla capogruppo Bioera, anche lei però in crisi, tant’è che ai primi di dicembre scorso è stata dichiarata fallita. La parlamentare di Fdi ha affermato di essere “assolutamente certa che verrà dimostrata la totale estraneità a qualsiasi ipotesi di addebito”.

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Il fallimento di Bioera
Sullo sfondo c’è poi il fallimento di Bioera, un’altra società del gruppo, dichiarato a dicembre. Vendeva succhi, sciroppi, integratori, cosmetici. La sentenza del tribunale è arrivata dopo una richiesta dei pm Gravina e Luzi. Nella relazione del commissario giudiziale, valorizzata dai pm che avevano insistito per la liquidazione giudiziale, veniva indicato che la società ha attualmente un “patrimonio netto negativo”, ossia un ‘buco‘, di circa 8 milioni di euro. Il crac potrebbe portare, poi, come avviene in questi casi, all’apertura in sede penale di un ennesimo fascicolo per bancarotta a carico di amministratori ed ex.



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