“Nel suo carcere in Libia bimbo violentato e 34 morti”

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Nel carcere di Mittiga, in Libia, diretto da Osama Njeem Almasri, dal febbraio 2015 sono stati uccisi almeno 34 detenuti e 22 persone, compreso un bimbo di 5 anni, hanno subito violenze sessuali dalle guardie. È quanto si legge nel dispositivo della Camera preliminare di consiglio della Corte penale internazionale che lo scorso 18 gennaio ha notificato – a maggioranza – il mandato di arresto per il generale libico bloccato in Italia il 19 e poi scarcerato. Njeem, secondo i giudici dell’Aja, “ha picchiato, torturato, sparato, aggredito sessualmente e ucciso personalmente detenuti, nonché ha ordinato alle guardie di picchiarli e torturarli”.

I crimini nel carcere di Almasri: cosa dice l’Aja

La violenza è stata esercitata a colpi di bastoni, pugni, colpi d’arma da fuoco, elettrocuzione, confino in cubi di metallo. Le informazioni disponibili indicano che almeno sei detenuti sono stati stuprati a Mittiga.

Secondo il materiale a disposizione della Camera, almeno quattro detenuti sono morti a causa di colpi di arma da fuoco; almeno 12 sono a causa di comportamenti equiparabili a tortura o altri maltrattamenti gravi; circa 16 per mancanza di cure mediche adeguate; almeno due perché costretti a dormire nel cortile della prigione nonostante la temperatura gelida. Almeno 36 persone sono state ridotte a schiavitù, incluso un bambino di 9 anni.

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In alcune occasioni Almasri era presente mentre le guardie picchiavano i detenuti o sparavano contro di loro. Secondo quanto riferito, avrebbe ordinato alle guardie di picchiare i detenuti in modo da garantire che le ferite non fossero visibili. Inoltre, si dice che abbia punito le guardie che stavano aiutando detenuti a contattare le loro famiglie. Sulla base del materiale fornito dall’accusa, la maggioranza dei giudici “trova ragionevoli motivi per ritenere che il signor Almasri ha compiuto, come autore diretto o avendo incaricato altri di farlo, i seguenti atti nei confronti dei detenuti della prigione di Mitiga: percosse e ordine ai detenuti di picchiare altre persone detenute; tortura; sparatoria; aggressione sessuale. Inoltre, gli atti diretti del signor Almasri hanno portato anche alla morte di alcuni detenuti”.

L’uomo, aggiungono i giudici, “non solo era consapevole delle problematiche condizioni di detenzione, ma lasciandole in vigore per un periodo prolungato, intendeva necessariamente che le condizioni esistessero e voleva che i detenuti ne venissero danneggiati. O era a conoscenza degli atti criminali commessi contro i detenuti oppure, quando venivano commessi in momenti in cui non era presente, intendeva che gli atti accadessero e sapeva che sarebbero accaduti nel normale corso degli eventi”.

L’Associazione nazionale magistrati: “Liberato per inerzia di Nordio”

”Il generale libico Almasri è stato ‘liberato, non per scelta del Governo, ma su disposizione della magistratura”. Aveva pronunciato queste parole Giorgia Meloni, durante la visita istituzionale a Gedda, in Arabia Saudita. La presidente del Consiglio Meloni ha aggiunto che il Governo avrebbe deciso di espellerlo perché “soggetto pericoloso”, come aveva detto il ministro Piantedosi.

La protesta dei magistrati contro il governo Meloni: fuori dalle aule con la Costituzione in mano

“In realtà, Almasri è stato liberato lo scorso 21 gennaio per inerzia del ministro della Giustizia che avrebbe potuto – perché notiziato dalla polizia giudiziaria il 19 gennaio e dalla Corte d’appello di Roma il

20 gennaio – e dovuto, per rispetto degli obblighi internazionali, chiederne la custodia cautelare in vista della consegna alla Corte penale internazionale che aveva spiccato, nei suoi confronti, mandato di cattura per crimini contro l’umanità e crimini di guerra commessi nella prigione di Mitiga (Libia)”. Così la Giunta esecutiva centrale dell’Associazione nazionale magistrati in una nota.

“Almasri, per scelta politica e nel silenzio del Guardasigilli, il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva, è stato infine liberato, e, seppur indagato per atroci crimini, riaccompagnato con volo di Stato in Libia. Tanto va detto per amor di verità conclude la nota.

Le date chiave del caso Almasri, dall’Italia alla Libia

Il caso Almasri è iniziato sabato 18 gennaio. La Corte penale internazionale emette un ordine di cattura. Come da procedura, viene trasmesso anche alle autorità italiane. La stessa sera il generale viene individuato a Torino, dove arriva per vedere la partita Juventus-Milan.

La mattina del 19 viene arrestato in hotel. Si verificano però dei ritardi – che sarebbero meramente burocratici – nelle comunicazioni tra forze dell’ordine e istituzioni. Torino chiede a Roma cosa fare e a sua volta il procuratore generale di Roma interpella il ministero della Giustizia. Gli uffici che fanno capo al ministro Nordio tardano a rispondere e l’arresto non viene convalidato. Dallo scalo di Torino parte così un Falcon 900 dei Servizi Segreti che riporta Almasri a Tripoli. 

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