STOP VISITE PRIVATE PER ABBATTERE LISTE ATTESA: MEDICI CITTA’ SALUTE TORINO CONTRO PIANO SCHAEL | Notizie di cronaca

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L’AQUILA – Medici piemontesi in rivolta, tanto che almeno 40 di loro avrebbero già abbandonato il pubblico, dopo la decisione del nuovo commissario della Città della Salute di Torino, Thomas Schael, di bloccare l’attività privata in intramoenia per abbattere le liste d’attesa.

Un piano quello di Schael, attuale manager della Asl di Lanciano Vasto Chieti, già attuato in Abruzzo, ma che in Piemonte, dove è atteso per il nuovo incarico per il prossimo primo marzo, ha scatenato la protesta dei sanitari della Città della Salute e della Scienza di Torino, un’azienda unificata con circa 12 mila dipendenti, composta dai Presidi Ospedalieri Molinette, OIRM-Sant’Anna e CTO-Maria Adelaide.

“La legge va applicata. Se serve, anche mettendo in secondo piano la libera professione: chi sceglie di lavorare nella Sanità pubblica deve garantire l’accesso alle cure a tutti i cittadini, non solo a quanti possono permettersi di pagare visite ed esami – ha dichiarato Schael alla stampa locale – Concordo con il ministro Schillaci sul fatto che il nostro servizio sanitario è nato con una missione universalistica: garantire ad ogni cittadino, indipendentemente dalla sua condizione economica, sociale o geografica, l’accesso alle cure e la tutela del diritto alla salute. Questa ambizione, espressamente prevista dalla Costituzione, non è ancora pienamente attuata”.

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Sospendere le visite a pagamento, effettuate dai medici ospedalieri in regime di intramoenia, quando le liste d’attesa non rispettano i tempi delle prescrizioni: si tratta di un provvedimento il linea con il decreto del ministro della Salute Orazio Schillaci, dello scorso 7 giugno, poi convertito in legge il 29 luglio, ma fino a ora risulta un solo caso in cui questa norma a favore dei pazienti sia stata applicata, ed è proprio in Abruzzo.

Qui il manager ha firmato un provvedimento lo scorso 7 settembre ed è rimasto in vigore per tre mesi. Il piano di abbattimento delle liste d’attesa, in particolare, in provincia di Chieti, è stato riassunto così dallo stesso manager: “Abbiamo aumentato la produttività mettendo sul piatto risorse economiche e organizzative. Molti professionisti si sono resi disponibili a effettuare prestazioni nelle ore serali e nel week end, remunerate con l’istituto delle prestazioni aggiuntive, a cui se ne sono aggiunte 1.400 acquistate dal privato accreditato extra budget. La nostra offerta straordinaria ha sviluppato complessivamente 16 mila 700 prestazioni in più, di cui 6 mila visite e 11 mila 300 esami diagnostici”, un programma che a novembre ha consentito di passare “da 21mila a 800 utenti che erano stati semplicemente presi in carico dal Cup, o meglio collocati nelle cosiddette liste di galleggiamento in attesa di un appuntamento”.

Schael in Abruzzo era impegnato nel difficile piano di risanamento della azienda sanitaria per comprimere nei limiti del possibile il deficit della sua azienda sanitaria: nel suo piano, rivisto e corretto presentato a fine agosto, si era impegnato a mettere in campo entro fine anno, risparmi per 15.979.490 euro, per far scendere il deficit a 44.926.969 euro, rispetto ai 60.906.458 euro che si registrerebbero senza alcun intervento.

Non è chiaro se alla base della decisione di lasciare la Asl di Chieti ci sia un conflitto con l’assessore regionale alla Salute, Nicoletta Verì  e il presidente della Regione, Marco Marsilio, di Fdi, che pure lo avevano nominato ad inizio della prima legislatura del centrodestra,  e poi riconfermato ad agosto del 2023, per altri 4 anni. Certo è che Schael non aveva risparmiato frecciate alla Regione evidenziando che la Asl provinciale di Chieti soffre di un disavanzo strutturale e non comprimibile che ammonta a circa euro 45.000.000 di euro, e ciò è da attribuire anche al fatto che la ripartizione del fondo regionale in base alla popolazione, non tiene conto della grande estensione della provincia chietina, in buona parte montuosa, come pure delle aree di disagio, dell’età media della popolazione, tutti fattori che incidono pesantemente sulla spesa sanitaria, se si vuole garantire un servizio di prossimità, come la legge stabilisce.

Intanto, quando il prossimo prima marzo si insedierà quale commissario alla Città della Salute, la più grande azienda ospedaliera del Piemonte, proverà ad applicare questo piano per provare a ridurre le liste d’attesa.

Nei giorni scorsi, il nuovo commissario avrebbe dato un’occhiata alle liste di attesa trovando prenotazioni non disponibili ed altre con tempi fuori range: “Per molte specialità le liste di attesa sono fuori legge. Non è permesso chiudere le agende, come sembra, per una visita cardiologica o per una risonanza magnetica. Anche i tempi di attesa per una visita dermatologica, oculistica o una mammografia sono fuori il limite massimo”.

“Al mio arrivo, oltre alla chiusura del bilancio consuntivo 2024, mi occuperò con assoluta priorità, insieme al nuovo direttore sanitario, delle liste d’attesa – spiega il manager -. Da quanto ho visto sul sito dell’azienda, molte prestazioni sono ben oltre 180 giorni, il tempo massimo per le programmabili: dovrò garantire da subito le urgenti e le brevi”.

Di qui lo stop pro tempore alle visite private in intramoenia da parte dei medici ospedalieri, fuori orario di lavoro e a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa, già adottato nella Asl Lanciano Vasto Chieti. Dopo il blocco, i medici hanno dovuto scegliere: o impiegare i giorni che dedicavano all’intramoenia per smaltire le prestazioni delle agende pubbliche, prendendo il compenso da turno aggiuntivo come dipendenti, o restare a casa. Pare che la maggioranza abbia optato per la prima soluzione: “Ho risolto il problema chiudendo per tre mesi la libera professione nelle specialità in maggiore sofferenza, ora i nostri tempi sono in linea con i parametri ministeriali”.

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Sul Corriere di Torino si legge: “Tra i corridoi degli ospedali afferenti a Città della Salute non si parla d’altro. ‘Thomas, Schael vuole congelare l’intramoenia per abbattere le liste d’attesa – si vocifera, infatti, tra un reparto e l’altro –sarebbe un vero disastro’. Disastro per chi? Cosa significherebbe per il sistema sanitario pubblico piemontese? In verità, sarebbe una vera e propria rivoluzione, anche di metodo, per tutte quelle corsie dove – e non sono poche – dalle tre del pomeriggio in avanti la presenza dei camici bianchi inizia a scarseggiare. In parte perché alcuni finiscono il proprio turno di lavoro o sono in sala operatoria, ma in (gran) parte, anche perché stanno ricevendo i propri pazienti in regime privato. Come previsto dalla legge, certo. Ma con una cadenza che, almeno parzialmente, negli anni è sfuggita di mano. La misura che il commissario potrebbe (diciamolo, vorrebbe) mettere in atto, peraltro è permessa da una legge firmata a fine luglio dal ministro della Salute Orazio Schillaci. Una norma che nessun direttore generale di Aziende sanitarie regionali ha ancora avuto il coraggio di attuare. Con una sola eccezione, l’Asl di Chieti che attualmente (e fino a fine febbraio) è governata proprio da Schael, il cui arrivo in Città della Salute è previsto per il primo marzo’”.

Per Claudio Delli Carri, segretario regionale del Nursing Up Piemonte: “Le dichiarazioni del commissario Schael riportano al centro del dibattito pubblico una questione cruciale: l’accesso equo e universale alle cure. Tuttavia, affrontare il problema delle liste di attesa esclusivamente attraverso lo stop alla libera professione intramoenia rischia di essere una risposta parziale e temporanea a una crisi ben più profonda. In Piemonte, la vera emergenza è la carenza di personale sanitario, in particolare di infermieri e professionisti sanitari, che rappresentano l’ossatura operativa del sistema. Senza un piano strutturale per colmare questa mancanza, qualsiasi misura rischia di essere inefficace. Le liste di attesa non si riducono solo con provvedimenti di questo tipo, ma attraverso un potenziamento reale delle risorse umane e una migliore organizzazione del lavoro. Chiediamo che il commissario Schael, al suo arrivo a Torino, metta al centro delle sue priorità non solo il miglioramento dei tempi di attesa, ma anche l’investimento su chi ogni giorno si fa carico del funzionamento del sistema sanitario. Le aperture serali e nel fine settimana, come proposto, sono utili ma necessitano di personale adeguato, che oggi manca. Non possiamo continuare a sopperire a queste carenze gravando ulteriormente sugli infermieri già esausti per turni massacranti e condizioni di lavoro insostenibili. Il Nursing Up è pronto a confrontarsi con il nuovo commissario per garantire che le misure intraprese non siano solo emergenziali, ma parte di una visione a lungo termine che restituisca dignità al lavoro degli infermieri e sicurezza ai cittadini, che hanno il diritto di accedere a cure tempestive e di qualità”.

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