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La giustizia italiana affronta una nuova sfida: l’uso delle comunicazioni criptate come prova nei processi penali. Il caso di Nicola Valletta, accusato di tentato omicidio e altri reati gravi, apre interrogativi sui limiti delle garanzie processuali e sull’utilizzo di tecnologie avanzate nella raccolta di prove.
Le accuse e il contesto
Nicola Valletta, nato a Cerignola nel 1986, è accusato di essere coinvolto nel tentato omicidio di due persone a Foggia, avvenuto il 30 settembre 2020. Da atti, “con ordinanza del 22 giugno 2023, il Tribunale di Bari, in funzione di giudice del riesame, aveva rigettato il gravame proposto in relazione alla misura della
custodia cautelare in carcere disposta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari con ordinanza del 30 maggio 2023 nei confronti di Nicola Valletta, gravemente indiziato di avere commesso, in concorso con Andrea Gaeta, il tentato omicidio aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen. di Ciro Stanchi e Alessio Di Bari (capo 1), nonché la detenzione illegale e il porto in luogo pubblico, anch’essi aggravati, della pistola utilizzata per il tentato omicidio (capo 2); fatti commessi in Foggia il 30 settembre 2020“.
Le indagini ruotano intorno a comunicazioni effettuate tramite Sky-Ecc, una piattaforma di messaggistica criptata spesso usata per scopi illeciti. Secondo l’accusa, Valletta avrebbe utilizzato questa piattaforma per organizzare il crimine, insieme a un presunto complice, Andrea Gaeta.
La vicenda giudiziaria è complessa. L’elemento centrale è l’uso delle conversazioni intercettate su Sky-Ecc, ottenute attraverso un’operazione internazionale che ha coinvolto le autorità di Francia, Olanda e Belgio. Le comunicazioni, conservate su server della società OVH a Roubaix, in Francia, sono state sequestrate, decriptate e successivamente condivise con l’Italia tramite un ordine europeo di indagine (OEI).
La difesa di Valletta ha messo in discussione la legittimità dell’utilizzo di queste prove, sollevando dubbi sulla loro acquisizione e sul rispetto dei diritti fondamentali. In particolare, ha sottolineato come l’assenza di trasparenza sul processo di decrittazione rappresenti una potenziale violazione del diritto di difesa.
In Francia, il processo tecnico di decrittazione è stato coperto dal segreto di Stato, rendendo impossibile per la difesa accedere agli strumenti utilizzati per decifrare i messaggi. Questo, secondo gli avvocati di Valletta, preclude un controllo effettivo sull’affidabilità delle prove, minando il principio di un equo processo.
Il ruolo delle Sezioni Unite
La questione dell’utilizzo della messaggistica criptata nei processi penali è stata affrontata anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione italiana. In una sentenza chiave del febbraio 2024, la Corte ha stabilito che il trasferimento di messaggi da piattaforme criptate deve essere valutato caso per caso. Se l’acquisizione avviene durante una captazione in tempo reale, si applicano le norme sulle intercettazioni; se, invece, riguarda messaggi già archiviati su server, si applicano le regole sul sequestro documentale.
In questo caso, le comunicazioni di Valletta rientrano nella seconda categoria. La Corte ha confermato che la copia forense del server è stata acquisita legalmente e che il processo di decrittazione non ha alterato i contenuti delle conversazioni. Tuttavia, la decisione non placa i dubbi sul rispetto dei diritti della difesa, soprattutto alla luce dell’impossibilità di verificare le modalità tecniche con cui le prove sono state generate.
Le garanzie della difesa e i limiti del segreto di Stato
Un punto critico della vicenda è il bilanciamento tra esigenze investigative e diritti dell’imputato. Da un lato, le autorità sottolineano come l’uso delle tecnologie di decrittazione sia stato certificato come affidabile da esperti forensi. Dall’altro, la difesa lamenta l’impossibilità di accedere al processo tecnico, che sarebbe fondamentale per garantire trasparenza e correttezza.
Le Sezioni Unite hanno ribadito che l’assenza di accesso agli algoritmi di decrittazione non costituisce, di per sé, una violazione dei diritti fondamentali, a meno che non emergano prove di manipolazione. Tuttavia, questo principio lascia aperta la strada a futuri conflitti legali, specie in casi dove le prove digitali svolgono un ruolo centrale.
Una sentenza che divide
Il ricorso presentato dalla difesa di Valletta è stato rigettato. La Corte ha stabilito che le prove acquisite tramite l’ordine europeo di indagine sono utilizzabili e non violano i diritti costituzionali dell’indagato. Tuttavia, la decisione solleva interrogativi più ampi sulla gestione delle prove digitali in ambito transnazionale.
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