Il padre di Sara Piffer ha raccontato al Corriere del Trentino di aver ascoltato la preghiera di suo figlio, coinvolto nello stesso incidente, e di aver perdonato l’uomo che, guidando un’auto, aveva da poco ucciso sua figlia (immagine Instagram in apertura). Forse è il solo modo per assorbire un colpo del genere e forse è possibile solo con una straordinaria fede in Dio. L’uomo ha definito la ragazza un dono e ha ringraziato Dio per avergliela mandata.
E’ già difficile accettare la morte di un figlio per un male oscuro che se lo porta via, ma se di mezzo c’è la mano dell’uomo, allora è diverso. Non so se io ci riuscirei. Forse è possibile solo se nasci e cresci in un posto come Palù di Giovo, che guarda il cielo negli occhi e la valle là in basso sembra infinitamente lontana.
La fretta e il bullismo
«Papà , noi stiamo sempre attenti – diceva a suo padre – sono gli altri che non stanno attenti a noi». E così è stato. Sara è morta proprio laggiù, dove le persone hanno fretta e dove il Trentino con gli anni è diventato rumoroso e distratto come altre parti d’Italia, in cui le biciclette sono l’anello più piccolo della catena alimentare.
La fretta. Aveva fretta la donna che ha ucciso Silvia Piccini, come pure l’uomo che ha ucciso Michele Scarponi. Aveva fretta il camionista che ha ucciso Davide Rebellin. Dicono sempre che avevano fretta, come chiunque non abbia ben chiaro che i limiti di velocità esistono unicamente per motivi di sicurezza. Ciò che sta diventando insopportabile è l’indulgenza verso i carnefici, che alla lunga si fa sempre largo nell’animo della gente buona del ciclismo.
La bontà sta diventando un limite, perché la gente dimentica. Il bullismo sulle strade, alla pari di quello nelle scuole, ha radici nella morbidezza con cui viene affrontato. Nella debolezza davanti alle frasi deliranti di Vittorio Feltri. Nel tollerare un certo modo di esprimersi sui social che legittimano l’aggressione al ciclista. In questo Giorno della Memoria, paragonare i ciclisti sulle strade a quello che accadeva in quegli anni maledetti appare meno fuori luogo di quel che si potrebbe pensare.
Per colpa di tutti
La fretta è il male di questo secolo popolato di tecnologie che rendono tutto possibile. Avete mai avuto, guidando, l’impulso di riempire il tempo comunicando con qualcuno, cercando un’informazione sul web, mandando un messaggio? Avete mai provato a fare un esercizio di autodisciplina, riservandovi di farlo quando vi sarete fermati? Avete provato la sensazione di frustrazione di quando il telefono non ha campo e vi sentite fuori dal mondo o impossibilitati a ottimizzare il tempo, organizzando il lavoro nel tempo della guida?
Sara e tutti gli altri sono morti per colpa nostra, incapaci di dare un valore alla loro vita. Per colpa di chi usa il telefono durante la guida. Per colpa di chi beve e sa di dover guidare. E per colpa di chi pensa che a lui andrà sempre bene e si ritrova un giorno davanti a una ragazza morta a procurarsi le scuse che a lei non ha concesso. Sara è morta per sempre, mentre lui tornerà presto alla sua vita. Con un peso sul cuore, diamolo per scontato, come quello di Giuda che seppe scegliere per sé l’uscita di scena che meritava.
Lo sciopero delle bici
Oggi alle 15 in quel paesino che ha dato i natali ai fratelli Moser e a Gilberto Simoni si celebreranno i funerali di Sara Piffer, 19 anni, uccisa sulla strada da un uomo al volante della sua auto. Finché qualsiasi veicolo non sarà considerato alla stregua di un’arma del delitto – di una pistola o di un coltello – la giustizia avrà una falla.
Gli scioperi dei ferrovieri hanno messo in ginocchio l’Italia da qualche mese a questa parte. Se c’è un invito che ci sentiamo di fare alla Federazione Ciclistica Italiana, all’ACSI, alla FIAB e a tutte le sigle che raccolgono sotto le loro insegne milioni di ciclisti è quello di proclamare per un giorno lo sciopero nazionale delle biciclette. Andiamo tutti a Roma e blocchiamo il centro e i palazzi del Governo. Questo non è un invito alla sedizione, è un grido disperato. Almeno quello, forse, riusciranno a sentirlo.
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