Il Pd, un partito fantasma

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Oggi l’Assemblea di un gruppo dirigente che non segue l’esempio di Schlein e ha ceduto al tranello delle mance

La percezione diffusa è che se il Partito Democratico continuerà di questo passo, il centrodestra, in Sicilia, avrà vita facile per (almeno) i prossimi dieci anni. Mentre Schifani & Co. prendono le misure alle emergenze, rischiando di non risolverne nemmeno una, l’anima pulsante della sinistra è ferma a un dibattito sterile sulle regole congressuali che porteranno all’elezione del prossimo segretario. Devono ancora scrivere le regole e già litigano come matti, chissà cosa accadrà quando dovranno scegliere gli interpreti. La figura del leader, peraltro, in Sicilia somiglia tanto a quella di un martire.

L’attuale, Anthony Barbagallo, era stato scelto sulla scorta di una mozione unitaria, per venir fuori dal terribile scontro coi renziani (la vittoria di Davide Faraone, nel 2019, venne ‘invalidata’ dopo 7 mesi dalla commissione di garanzia, che aveva accolto il ricorso dell’area Zingaretti). L’ex sindaco di Pedara, cresciuto a pane e autonomismo (iniziò la propria carriera politica con il partito di Raffaele Lombardo), sembrava incarnare il momento della pacificazione. Ma il suo passaggio attraverso elezioni sventurate (le Politiche del ’22), candidati sbagliati (la Chinnici alla Regione) e trend nefasti (il Pd siciliano, alle Europee, è cresciuto meno rispetto al resto d’Italia), lo hanno condotto sul banco degli imputati: vorrebbero farlo fuori.

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Barbagallo è uno dei pochi, però, ad aver fatto opposizione in questi due anni e mezzo di governo Schifani: da Roma. Nel frattempo, infatti, è stato eletto deputato alla Camera, da dove ha tenuto alta l’attenzione sui problemi dell’isola. E’ stato lui a ‘minacciare’ un esposto alla Corte dei Conti per denunciare la pessima abitudine dell’Ars di spartirsi le mance a tavolino. Ed è stato proprio quell’intervento ad averlo esposto al tiro a bersaglio da parte dei suoi ex colleghi, rei – nel frattempo – di aver collezionato l’inciucio perfetto con la maggioranza di Schifani e di Fratelli d’Italia, portando a casa numerose misure nell’ambito del maxiemendamento della discordia (le solite prebende). Aver denunciato il metodo, senza fare distinguo di sorta, ha aperto una contesa rilevante all’interno del Pd. Ormai spaccato in due: da un lato chi versa (regolarmente) le quote al partito, dall’altro chi se ne frega; da una parte la segreteria regionale, dall’altra il gruppo parlamentare.

Nel caso di Barbagallo è nota la vicinanza con l’attuale segretaria nazionale Elly Schlein, mentre nel gruppo dell’Ars (non tutto) prevalgono le altre correnti, che ormai si fatica a ricordarle. C’è chi sta con Bonaccini, chi con Orfini, e via discorrendo. E ci sono pure i “neutrali”, come Antonello Cracolici, o i grandi saggi, vedi Mirello Crisafulli, che vorrebbero una conciliazione decisa ma a sinistra. Il Pd, invece, è ostaggio dei fuochi incrociati che non promettono nulla di buono: Schlein si è vista costretta a mandare i suoi emissari per rimettere la chiesa al centro del villaggio. Igor Taruffi, che presiederà l’Assemblea di oggi, ha già parlato: “Il mio interesse – ha detto a Repubblica – è che il Pd siciliano discuta di temi politici. Che si confronti e parli dei problemi della Sicilia, delle proposte per l’Isola. Che si sieda attorno a un tavolo e parli di come fare opposizione al governo di Renato Schifani e di come costruire l’alternativa alle destre. Delle discussioni attorno alle regole del Partito democratico ai siciliani non può fregare di meno”.

Però alcuni deputati, con in testa il sindaco di Militello Giovanni Burtone (cerimoniere per la visita di Mattarella in città, non l’ultimo arrivato), continuano a promuovere una petizione, giunta a oltre 4 mila firme, per scegliere il segretario nei gazebo, evitando che la conta avvenga solo fra i tesserati. Impedendo ai signori delle tessere di fare il loro gioco, com’è sempre accaduto in passato. “Vogliamo che le primarie restino nello statuto regionale, perché – sottolinea Burtone – sono davvero l’unico strumento in grado di coinvolgere persone che non si tessererebbero mai ma che comunque possono dare una grande mano al nostro Pd”. Il “nostro”? Il problema è proprio quello: che oggi, il Pd siciliano, è un organismo apolide. Senza radici e senza appartenenza. Senza identità, perché al netto dei proclami, non riesce a mettere in piedi un solo tentativo di resistenza rispetto al governo di centrodestra. Altro che rappresentare l’alternativa… Dove sono finite le battaglie? E dove gli elettori?

Ci si potrebbe attaccare a mille questioni: dalla gestione scellerata sul turismo al caos problematico della sanità. Ma l’unica iniziativa degna di nota, che per un attimo aveva cancellato le divisioni interne, è stata l’ispezione nei Pronto soccorso. Si è esaurita in due giorni. Il Partito Democratico non riesce a rilanciare sulla questione morale (tranne il solito Cracolici, che da presidente dell’Antimafia si è tuffato sulla gestione dell’istituto Zooprofilattico), non riesce a distinguersi sulla qualità della spesa (contribuendo al sistema marcio delle mance), né riesce a dare il proprio contributo su temi (anche se l’azione spetta alla maggioranza). E’ piatto sulla riforma della dirigenza, che a breve sarà accantonata; ma anche su quella dei Forestali e dei Consorzi di Bonifica, due grandi incompiute che si trascinano dai tempi del governo Musumeci.

In generale è debole. Ed è anche poco popolare e per niente attrattivo, perché non riesce a individuare una guida carismatica ed entrare sottopelle al popolo della sinistra, al civismo progressista, ai giovani, agli ultimi (il reddito di dignità è un provvedimento di Schifani e della destra). Categorie lasciate a marcire senza una rappresentanza chiara e identitaria. Ma se viene prima il dibattito sul congresso, a cos’altro puoi ambire?





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