Oggi è domenica 26 gennaio e questa è Occhiaie, la newsletter di Generazione curata dalla sua redazione.
Oggi parliamo di Francia, come ogni tanto ci capita di fare quando ci siamo stufati delle belle notizie. La situazione politica nel paese è – a dir poco – instabile e i recenti sviluppi istituzionali propongono diverse riflessioni in termini di similitudini governative con il nostro paese. Per anni, la Francia ha rappresentato uno dei pilastri dell’Unione Europea, per ragioni di stabilità, gestione delle istituzioni e potere economico.
L’Italia, al contrario, si è lungamente posizionata tra le ultime file nel contesto comunitario, senza alcuna grazia da parte dei galletti, spesso punzecchiatori pubblici della nostra precarietà. È curioso, oggi, trovarsi in una situazione opposta, esattamente rovesciata. Martina Bianchi ce la racconta, partendo da qualche mese fa.
Iniziamo.
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Lunedì la diocesi di Bolzano-Bressanone ha presentato un rapporto intitolato “Abuso sessuale di minori e persone vulnerabili ad opera di chierici nel territorio della Diocesi di Bolzano-Bressanone dal 1964 fino ale 2023”. Si legge qui e, evidentemente, raccoglie dei fascicoli su 67 casi di presunti abusi sessuali commessi da oltre 40 sacerdoti nella diocesi. Per lo più, le vittime sono state donne minorenni
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In settimana è stato arrestato e poi rilasciato Njeem Osama Elmasry, capo della polizia giudiziaria libica. Su mandato della Corte penale internazionale è stato bloccato a Torino, per poi essere liberato. Ne abbiamo parlato qui, cercando di tenere a mente gli interessi del nostro paese nei confronti della Libia, meticolosamente rinnovati ogni anno
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E infine si è anche insediato Trump, con una cerimonia di grande capacità anticipatoria rispetto ai prossimi quattro anni. Qui un riassunto di come è andata, cosa aspettarci e due parole sul ruolo della stampa nelle presidenze che non ci piacciono molto
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C’è un nuovo presidente della Corte costituzionale, è Giovanni Amoroso, giovanotto di 75 anni, membro più anziano della Corte. Somiglia incredibilmente a Giuliano Amato
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Circa 70 tifosi della Real Sociedad sono stati aggrediti a Roma, giovedì 23, in vista della partita con la Lazio. Gli ultras della squadra romana hanno attraversato il centro di Roma per condurre le aggressioni, di cui c’è questo video tremendo su X. Uno di loro è stato arrestato e quattro sono stati denunciati
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Con l’accusa di caporalato, è stato arrestato il padre del datore di lavoro di Satnam Singh, l’operaio di origini indiane morto per mancanza di cure a giugno scorso, dopo essersi ferito sul posto di lavoro
In Francia non sono abituati ai tanti stravolgimenti politici che si sono verificati nell’ultimo anno. A differenza nostra, per loro è abbastanza insolito ricorrere a rimpasti, nomine di nuovi primi ministri, elezioni anticipate, negoziati sfinenti per la mancanza di una maggioranza assoluta. Questo è altro è stato il 2024 francese.
In tutto, ci sono stati 4 primi ministri, 3 rimpasti, un’elezione parlamentare e, per spezzare, pure le olimpiadi – probabilmente la scusa più bella che un Presidente abbia mai avuto per mantenere in stallo la nomina di un nuovo primo ministro per cinquanta giorni. Ma andiamo con ordine.
L’8 gennaio 2024 l’ex premier Élisabeth Borne rassegna le dimissioni, su spinta di Macron, che nomina Attal nuovo primo ministro, rimediando all’impopolarità verso cui il governo Borne andava incontro, soprattutto per aver ricorso al 49.3 per far passare la riforma delle pensioni. Il 49.3 è un articolo della Costituzione francese che in sostanza permette di scavalcare il parlamento per approvare determinate riforme. Borne vi aveva fatto ricorso per far passare la legge con cui si aumentava l’età pensionabile e ne erano scaturite importanti proteste.
Quella di Attal era una nomina che dava una ventata di freschezza, funzionale anche all’immagine del Presidente: Gabriel Attal, giovane, carismatico, centrista, proveniente da un’ascesa un po’ favorita dall’alto ma spedita, simile al Macron che nel 2017 si “tirava fuori dal sistema” ed era alla prima entusiastica candidatura alle presidenziali, dopo poco viene soprannominato Baby Macron. Per qualche mese la sua presenza è bastata per far virare (senza troppo fracasso) il blocco centrista un po’ più a destra, restando in corsa.
A giugno Attal non basta più a nascondere sotto al tappeto che la maggioranza ha spazio di uno manovra tendente a zero, mentre le destre si fanno più solide e le sinistre si fanno sentire soprattutto dal basso. Dopo il risultato per lui disastroso alle europee, Macron sorprende tutti annunciando elezioni parlamentari anticipate.
I partiti di sinistra francesi (che di solito non vanno d’accordo) si coalizzano e formano l’alleanza del Nouveau Front Populaire, che al secondo turno – dopo un primo turno in cui era in vantaggio Rassemblement National di Le Pen e Bardella – riesce a ribaltare la situazione soprattutto grazie alle desistenze e alla mobilitazione popolare (di più qui). Ve lo ricordate questo video?
Si creano quindi tre blocchi:
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Il Nouveau Front Populaire, unione delle sinistre formata da Partito Comunista, La France Insoumise, Les Écologistes e Partito Socialista. Il suo elettorato, durante la campagna elettorale, si è avventurato in una serie di manifesti politici molto divertenti. Qui avevamo intervistato Geoffrey Dorne, il grafico che ha curato la diffusione dei poster
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Il gruppo macronista, attuale governo, formato da Ensemble-Renaissance (partito presidenziale), MoDem (partito dell’attuale premier Bayrou), Horizons
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Il blocco delle destre, numericamente dominato dall’estrema destra Rassemblement National, ma composto anche da Les Republicains e da “L’Unione delle destre per la Repubblica” (fondata e guidata da Eric Ciotti, stato a lungo leader dei Republicains, ma espulso dopo che aveva aperto ad una collaborazione di LR con RN, cosa che il resto della dirigenza del partito non approvò)
Mancano all’elenco solo gli indipendenti, i non iscritti e i funzionari eletti nei territori d’oltremare, che spesso non adottano posizioni comuni.
Poi le olimpiadi, lo stallo di 50 giorni, la nomina di Barnier, che ancora non lo sapeva, ma formerà il governo più breve della Quinta Repubblica. Infatti poi è stato sfiduciato. Su un po’ di cose nel corso dell’anno ci avevamo preso: la nomina di Attal non sarebbe stata risolutiva, Macron ci ha messo più di 24 ore a nominare Bayrou, successore di Barnier e, sì, anche la scelta di Bayrou non ha risolto le tensioni: non l’hanno sfiduciato e non c’erano i numeri per farlo, ma ci hanno provato. Il 14 gennaio, Bayrou ha fatto il suo discorso di politica generale.
Il problema della Francia al momento è economico, oltre che di instabilità politica. Barnier e Bayrou dovevano e devono far quadrare i conti, servono 150 miliardi. Su questo Barnier era più netto, Bayrou è più propenso a dialogare, soprattutto con i socialisti, memore dell’esperienza precedente alla sua.
Nel suo discorso, Bayrou tocca vari argomenti: i territori d’oltremare (tra cui Mayotte), la necessità di ritrovare stabilità “riconoscendo il pluralismo”, la possibilità di introdurre la legge proporzionale. Di budget, sanità, sburocratizzazioni e rilancio dell’imprenditoria. En passant, anche d’istruzione (soprattutto di insegnanti) e immigrazione (vuole far rispettare gli obblighi di “uscita dal territorio francese”).
C’era un po’ di tutto, pure le pensioni. Bayrou, come già detto, è più propenso al dialogo e ha detto di voler rimettere in cantiere la riforma – tuttora in vigore e approvata nel 2023 da Borne – ritoccandola nei limiti della valutazione della Corte dei Conti. Quando si è capito che non ci sarebbe stata né abrogazione né sospensione, le reazioni si sono fatte accese soprattutto a sinistra: Mélenchon (leader di La France Insoumise) commenta dicendo che è “un discorso pieno di fumo”, Cyrielle Chatelain (Écologistes) si dice “sconcertata” e stessi toni si hanno dal Partito Comunista. Più tiepido il Partito Socialista, più positivi il gruppo centrista e i Républicains (che hanno vari ministri e ministre nel governo). RN resta composto e gioca un po’ di strategia.
Si invoca (di nuovo) una censura, che viene depositata il 15 gennaio e PC, LFI e gli Ecologisti annunciano che la voteranno: vengono denominati “ribelli”. I socialisti dicono che devono rifletterci: da una parte sono delusi da quanto detto da Bayrou sulle pensioni, ma vorrebbero anche distanziarsi dalla linea dura di Mélenchon.
Nelle ore che seguono, gli altri partiti lasciano intendere più o meno velatamente che non vorrebbero votare per la sfiducia. Più cauto nelle dichiarazioni è RN, che dà un colpo al cerchio e uno alla botte definendo il governo di Bayrou “nato morto”, ma anche che loro votano “una censura solo su fatti concreti e non su parole”. Questo perché RN poteva confermare o ribaltare la situazione se (!) anche il PS avesse scelto di sostenerla, obbligando Bayrou ad affidarsi all’estrema destra per restare in carica, che numericamente sarebbe diventata l’ago della bilancia.
L’unico modo per sfiduciare Bayrou senza RN sarebbe stato un voto a favore della censura di tutta la sinistra, di tutti i parlamentari di destra (tranne RN) e di tutti gli indipendenti, i non-iscritti e i territori d’oltremare, arrivando precisamente a 288, esattamente quanto serve e letteralmente sul filo del rasoio. Di fatto impossibile.
Ma il Partito Socialista sceglie di non sostenere la censura, rendendo i calcoli di RN nulli e rompendo con gli altri partiti di sinistra (per ora). In Francia, tornano ad esserci due sinistre, scrive Le Monde. La scelta del PS, anche se ha fratturato il NFP e spezzato il cuore degli altri partiti di sinistra e di chi credeva che fosse la volta buona per una sinistra coesa, lo ha anche proposto come ulteriore interlocutore con il governo di Bayrou, a cui il gesto non è dispiaciuto avendogli evitato la morsa in cui Barnier era caduto.
Dalla bagarre, RN ne esce meno determinante di prima, il NFP forse non ne è proprio uscito se non in pezzi. Bayrou ha guadagnato margine d’azione e una finestra a sinistra. Il PS, la possibilità di chiedere cose per non far crollare il castello di carte che si è andato strutturando.
Avrete notato che di Macron si è parlato poco. Per tagliare cortissimo: non se la passa bene a livello di gradimento e credibilità, così è spesso fuori casa (viaggia molto) e lascia la scena agli altri più spesso di quanto abbia fatto in passato. Si tira avanti, direbbe qualcuno, fino al 2027, mi sento di aggiungere io. Un posto in cui Macron non è andato è Washington DC per la cerimonia d’insediamento di Trump. Nel senso che non è stato invitato.
Il 7 gennaio in Francia è accaduto un fatto importante: all’età di 96 anni, Jean-Marie Le Pen è morto. Per decenni, Jean-Marie Le Pen ha creato e plasmato un intero, controverso pezzo della politica francese. Le Pen ha saputo raccogliere scontenti e riaccendere nostalgie in chiunque ne fossero rimaste. Ha fomentato odio e violenze a cui lui stesso non fu estraneo, rendendo la vita più difficile a persone già generalmente discriminate, trasformandole nel capro espiatorio su cui convogliare la frustrazione di chi lo ascoltava, mentre lui guadagnava consensi.
Per questo a Parigi, Marsiglia e altre città francesi, molti sono scesi in piazza e hanno festeggiato in grande. Se non avete mai sentito il suo nome, forse è perché siete molto giovani. Il suo cognome vi sarà però probabilmente più familiare: Jean-Marie Le Pen è infatti il padre di Marine Le Pen, attuale guida del partito di estrema destra Rassemblement National, che quando c’era il padre si chiamava Front National.
Nel 2015 la figlia lo esclude dal partito che egli aveva per decenni guidato, rompendo – formalmente – col passato. Marine Le Pen inizia quindi un’operazione di ripulitura d’immagine: cambia il nome del partito da Front National a Rassemblement National, modera toni e dichiarazioni. Se Jean-Marie Le Pen fosse rimasto a capo del partito, una parte di Francia che oggi vota RN forse non avrebbe iniziato a farlo, anche per pudore. Il finto tagliare i ponti di Le Pen figlia ha fatto sì che sia stato possibile arrivare alla situazione di oggi, in cui è accettabile e accettato da molti (e così è stato votato) che il Rassemblement National abbia 124 seggi su 577 all’Assemblea Nazionale, nonostante sia un partito nato e cresciuto su fondamenta razziste, xenofobe, omofobe, antisemite, islamofobe e più in generale neofasciste.
Il quotidiano francese di centrodestra Le Figaro scrive che Le Pen “era noto anche per i suoi errori”: i suoi “errori” lo hanno portato ad essere condannato (condannato!), ad esempio, per istigazione all’odio razziale, e tra i suoi numerosissimi “errori” c’è il descrivere le camere a gas come un “dettaglio della storia” e chiamare “feccia” i giovani che nel 2005 animarono “la rivolta delle banlieue” scoppiata dopo la morte di Zyed Benna e Bouna Traoré, 17 e 15 anni, fulminati in una cabina elettrica in cui probabilmente si erano rifugiati per sfuggire a un controllo della polizia.
Il quotidiano comunista l’Humanité titola che “l’odio era stato il suo mestiere”. In copertina la foto di un coltello con inciso “J.M. LE PEN”, ritrovato nell’edificio in Algeria in cui l’attivista Ahmed Moulay fu torturato e ucciso nel 1957.
A cura di Martina Bianchi
Elogio del margine è un libro di Bell Hooks, pubblicato per la prima volta nel 1998. Il saggio esplora il ruolo delle case durante gli anni della segregazione razziale, come unico luogo privato in cui le persone nere ottenevano una dimensione di libertà, seppur censurata dal trauma loro imposto dalla società bianca e razzista. Hooks svela il doppio significato politico delle mura domestiche in quegli anni, raccontando come tutto – per chi viveva quella condizione – veniva a galla in contemporanea, competendo in un gioco di equilibri e contrappesi: la questione razziale, le differenze di genere, la violenza dentro e fuori. È un testo importante, leggerlo oggi è un atto di impiego del tempo e attenzione verso un gruppo di persone che, dopo l’elezione di Trump, non sono al sicuro.
In Italia è pubblicato da Tamu edizioni, insieme al un saggio di Maria Nadotti “Scrivere al buio”, storica traduttrice e autrice di saggi femministi.
A cura di Benedetta Di Placido
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