Perego ai lavoratori Rexnord: “Usare e gettare le persone è un’azione economica incivile e disumana”

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“Oggi la nostra preghiera comune e la nostra riflessione ha un particolare pensiero ai lavoratori e lavoratrici dell’azienda Regal Rexnord, storica azienda in questa comunità, per condividere un momento non facile, a motivo della chiusura improvvisa e immotivata dell’azienda, della cassa integrazione con la prospettiva del licenziamento dei suoi oltre 70 lavoratori”. Sono tra le prime parole pronunciate dal vescovo Gian Carlo Perego nella mattinata di ieri durante la messa che ha tenuto a Masi Torello per i lavoratori dell’ex-Tollok.

“Perdere il lavoro – prosegue il vescovo – non è una cosa di poco conto, perché significa perdere un bene essenziale per ogni persona, un sostegno per una famiglia, un aspetto fondamentale della propria vita, del proprio benessere. La perdita del lavoro, come la disoccupazione, di alcune persone, tanto più se non giovani, pertanto, è un fatto grave, perché ha un impatto non solo sulle singole persone e famiglie, ma su tutta una comunità che vive anche del lavoro delle persone. Per i giovani, poi, significa spesso lasciare il proprio territorio per andare a cercare il lavoro in città o addirittura all’estero, come sta purtroppo avvenendo”.

Perego si sofferma sulla speranza, di cui “hanno bisogno anche le persone che hanno perso il lavoro e che non riescono a programmare il proprio futuro, perché un’azienda improvvisamente chiude e delocalizza le proprie attività, con una buona uscita ai lavoratori”.

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“Non basta – prosegue – avere qualche soldo in più per ricostruirsi una vita. L’elemosina aiuta a vivere un giorno, il lavoro aiuta a vivere una vita. Occorre valorizzare e non disperdere le competenze di ciascuno, anche attraverso forme di riconversione industriale: cosa non facile nel nostro territorio a vocazione soprattutto agricola e non industriale. Chiudere una fabbrica significa perdere un luogo di lavoro, ma anche un luogo specifico che valorizza alcune competenze, alcuni doni personali. Non tutti i lavoratori vanno bene dappertutto”.

“Spiace soprattutto – aggiunge – quando una fabbrica cresciuta con il lavoro e le competenze delle persone e delle istituzioni di un territorio le misconosce per ragioni solo di profitto immediato, investendo in un altro territorio solo per guadagnare di più. Usare e gettare le persone è un’azione economica incivile e disumana. Una comunità perde lavoro, scuola, luoghi di fede, del tempo libero se ognuno pensa solo per sé. Solo nella condivisione, nella solidarietà, nella sussidiarietà, nell’interdipendenza si costruisce una comunità e si salvaguarda il bene comune. Educare alla solidarietà significa costruire una comunità e, insieme, salvaguardare i beni comuni. La solidarietà vede tutti protagonisti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Per usare l’immagine dell’apostolo Paolo, una comunità è come “un corpo, uno solo che ha molte membra””.

“Ognuno – conclude – ha bisogno dell’altro. Quando viene meno la solidarietà emergono gli egoismi, gli interessi personali. E quando questo avviene in un corpo che è un’azienda non conta più il lavoro, la dignità della persona del lavoratore, la condivisione, in una parola la solidarietà, ma solo il profitto, gli utili, gli interessi aziendali: si dimenticano le persone. E così un’azienda muore. Ma può morire anche una comunità se al primo posto ci sono gli interessi dei singoli. Ciò che vale per un’azienda, vale anche per ogni comunità, anche per le famiglie: se ognuno pensa per sé e non si condivide le gioie e le sofferenze, se non si condividono le risorse non cresce la famiglia, la comunità, anche la comunità ecclesiale”.

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