di Christian Benna
Luca Asvisio (Ordine dei commercialisti):«Per restare attrattivi peri giovani abbiamo bisogno di grandi investimenti, come quello di Apple a Napoli. E poi seguire il modello degli atenei di Milano che punta su studenti stranieri»
«Ritrovare i giovani: come trattenerli?». Lunedì 27 gennaio al Centro congressi del Lingotto si è parlato di loro: degli under 40 torinesi con valigia e in tasca una laurea specialistica che fuggono all’estero alla ricerca di carriere, salari e opportunità migliori. Il Forum Aldo Milanese 2025, organizzato dall’Ordine dei commercialisti, presieduto da Luca Asvisio, ha riunito i rappresentati di fondazioni, centri di ricerca, istituzioni e imprese, per suonare il campanello d’allarme su una situazione che rischia di sfuggire di mano.
«Il problema di questa città — ha affermato Asvisio — non è tanto il declino di Fiat quanto i giovani che lasciano Torino per trasferirsi all’estero o in altre regioni. Se perdiamo il capitale umano, perdiamo la partita della competitività».
I dati Istat
Stando gli ultimi dati Istat l’emorragia di cervelli under 40 dal capoluogo piemontese procede a ritmo serrato. Nel 2023 sono stati circa 7 mila i torinesi che hanno cambiato residenza traslocando all’estero: in Francia, Germania, Svizzera e anche Stati Uniti. Di questi più di 2.700 sono giovani laureati, dato record degli ultimi anni, dove la media degli addii a Torino ruotava intorno a 2 mila trasferimenti ogni dodici mesi. E infatti in dieci anni sono circa 20 mila i giovani laureati che hanno lasciato il territorio, su circa 80 mila cambi di residenze all’estero. Tante uscite, ma pochi ingressi. Certificando la fatica della città a essere attrattiva. Il saldo tra ingressi e uscite resta ancora in passivo.
L’effetto della Legge sul «rientro dei cervelli», amplificata da generose agevolazioni fiscali, poi ridotte dal governo, c’è stato e ha portato negli ultimi anni al ritorno sul territorio di circa un migliaio di laureati. Non solo torinesi di ritorno. Ma la bilancia «commerciale dei talenti», resta in pesantemente in passivo.
Secondo Marco Gilli, presidente di Compagnia di San Paolo, già addetto scientifico all’ambasciata italiana a Washington, Torino deve confrontarsi oggi con scenari globali, tecnologi e sociali, che imprimono cambiamenti rapidissimi. «Quando parliamo di ragazzi che scelgono di andare a lavorare all’estero la prima domanda che dobbiamo porci è il fatto che, oltre al tasso demografico che non cresce, non aumenta il numero di laureati».
In sostanza, bisogna intervenire a monte per arginare l’emorragia dei talenti, combattendo la «dispersione scolastica, e aumentando il numero di laureati». Perché i laureati in città sono il 30% contro una media Ocse del 40%. Inoltre secondo Gilli, Torino deve «sprovincializzarsi» per uscire dal limbo di città universitaria che forma talenti che poi spiccano il volo altrove. «Intanto abbiamo bisogno di grandi investimenti, come quello di Apple a Napoli. E poi seguire il modello degli atenei di Milano, che non solo hanno puntato su studenti stranieri ma anche su docenti dall’estero».
Poli e UniTo
Il problema della fuga dei cervelli, non è solo torinese, perché interessa quasi l’8% dei laureati italiani. Dal 2011 al 2023, sono 550mila i giovani italiani di 18-34 anni emigrati all’estero. Ma l’emorragia di talenti riguarda soprattutto le ambizioni di Torino e la sua trasformazione da one company town, capitale dell’ auto e poc0 altro, in «città della conoscenza». Se la conoscenza si forma nelle aule del Poli e di Unito, 100 mila studenti, ma non mette radici, la città rischia di non ripartire. Filippo Molinari, vice rettore del Politecnico di Torino con delega al piano strategico, mette le mani avanti: «Ai ragazzi bisogna dire la verità. Forse Torino non è tra le città più attrattive del mondo ma è in cima per qualità della vita e della formazione. Non sono aspetti di poco conto».
Chi va via?
A fare le valigie sono i giovani più qualificati: medici, ingegneri e specialisti It. Le ragioni della fuga sono ovviamente diverse ma ai primi posti ci sono le retribuzioni e le prospettive di carriera. Per Anna Maria Poggi, presidente di Fondazione Crt, bisogna distinguere i temi sul tavolo. «Da una parte c’è la mobilità dei talenti che va incoraggiata perché forma e aiuta a crescere. L’altra è l’attrattività di un territorio. E in questo senso Torino deve lavorare puntando non solo sull’eco-sistema delle startup come unico sbocco per i giovani anche perché sono tante quelle che falliscono». Secondo il presidente dei Giovani Commercialisti, Fabrizio Buontempo, bisogna fare un passo in avanti livello culturale: «A Torino si parla di giovani sempre al futuro. È sbagliato: gli under 40 devono essere il presente di questo territorio».
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