Greengate, bisognerebbe processare i tecnocrati di Bruxelles

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Secondo alcuni esponenti filogovernativi il “Greengate”, cioè i finanziamenti della Commissione Europea a gruppi ambientalisti finalizzati a convincere gli europarlamentari ad approvare le politiche decise dalla stessa sotto il nome di Green Deal, costituirebbe uno scandalo perché i vertici della Ue avrebbero pagato per favorire la diffusione dell’allarmismo climatico.

“Fake news” è l’inglesismo ricorrente per definire le campagne di sensibilizzazione con cui gli ambientalisti avrebbero bombardato i parlamentari europei per conto di Frans Timmermans e del suo entourage di Commissario per il clima.

Formulato così, l’atto di accusa manca il bersaglio. Probabilmente molti ambientalisti esagerano quando cercano di quantificare l’impatto sul clima, sulla flora e sulla fauna delle azioni antropiche, per presentarlo come qualcosa di estremamente distruttivo. Ma questa è materia controversa, sulla quale è complicato pretendere di avere ragione al cento per cento, perché in buona parte si tratta di proiezioni e previsioni destinate a realizzarsi nel futuro. Certamente siamo in presenza di cambiamenti climatici, di impoverimento della biodiversità, di varie forme di inquinamento chimico dell’aria, delle acque e dei suoli. Fin dove arrivino le responsabilità umane e cosa si possa fare per evitare un tracollo che renderebbe misera la vita degli esseri umani e delle altre specie viventi non è facile da determinare, perché si tratta di trovare equilibri fra esigenze contrastanti.

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Saldo e stralcio

 

Ursula von der Leyen Green Deal
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen (foto Ansa)

Verso l’estinzione

La visione di fondo di buona parte degli ambientalisti e della quasi totalità dei partiti ecologisti è ideologica e fondamentalmente fanatica perché sottintende un giudizio radicalmente antiumanistico: se i nostri progenitori non fossero scesi giù dagli alberi, o se una volta scesi giù dagli alberi avessero continuato a vivere di caccia e di raccolta senza inventare l’agricoltura, i tassi di mortalità sarebbero rimasti alti e oggi al mondo saremmo ancora quattro gatti (pardon: qualche decina di milioni di esseri umani su tutto il pianeta), non ci sarebbero inquinamento e degrado ambientale, la biodiversità prospererebbe e il clima lo determinerebbero eventi cosmici.

Gli ambientalisti possono anche dire cose giuste dal punto di vista scientifico, o per lo meno attendibili, ma il punto è un altro: partono da un’impostazione sbagliata e propongono soluzioni radicali che porterebbero al risultato opposto a quello che, a parole, dicono di volere. Si danno nomi come “Extinction Rebellion”, ma le decisioni politiche e le soluzioni tecniche che propongono condurrebbero – quelle sì certamente – all’estinzione del 90 per cento dell’umanità, a una decimazione della popolazione mondiale che nemmeno le pestilenze del passato hanno mai prodotto.


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Quanta ipocrisia

Precisato questo, il Greengate rimane uno scandalo che una parte della classe politica europea tenterà in tutti i modi di insabbiare, ma per un altro motivo: rappresenta un caso eclatante dell’arroganza della tecnocrazia brussellese, un attacco senza vergogna alla democrazia, ed è sintomatico che coloro che hanno lanciato l’allarme per la presenza dei miliardari delle tecnologie della comunicazione e della logistica alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, vista come il simbolo della sottomissione del potere politico a quello dei tecnocapitalisti, non abbiano colto la continuità ideologica fra i due fatti: l’abolizione della politica come rappresentanza e il ritorno alla concezione oligarchica.

Con la differenza che al tempo di Sparta e di Cicerone il ruolo di preminenza degli aristocratici traeva la sua legittimità dai meriti militari, oggi invece si giustifica sulla base dell’esercizio di un monopolio su scienza, tecnologia e denaro. E in questo i mandarini di Bruxelles sono più perfidi dei cerimonieri di Washington, dove si può ancora sperare di interpretare la simbologia dell’investitura di Donald Trump come la possibilità di una conciliazione fra popolo in rivolta ed élites tecnocratiche, sulla base del programma neopopulista del vincitore delle elezioni presidenziali.


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Il governo degli esperti

Il Greengate invia un messaggio molto più duro, che dice così: la politica è una cosa per gente competente, non sia mai che la lasciamo nelle mani dei rappresentanti del popolo, incompetenti e faziosi come i loro rappresentati. Noi sappiamo cosa è il bene, noi sappiamo cosa dice la scienza, noi sappiamo cosa può fare la tecnologia, e non saranno gli interessi contrastanti o i modi di vita di 450 milioni di europei a fermarci. Se non siamo riusciti a convincere gli elettori della bontà dei nostri progetti, possiamo però convincere i loro rappresentanti. Abbiamo i soldi per farlo, e per non essere accusati di imposizioni dall’alto possiamo avvalerci dell’operato della parte più illuminata della società civile (se lo diciamo noi, è certamente la parte più illuminata), che eserciterà quell’opera di moral suasion che noi non possiamo intestarci.

D’altra parte, siamo riusciti da tempo nell’operazione di far credere che le Ong in genere e l’associazionismo vario, foraggiati dai governi e dagli enti multilaterali con fondi in alcuni casi pari all’80-90 per cento dei loro bilanci, sono i veri rappresentanti della società civile, mentre gli eletti del popolo rappresentano interessi ambigui e/o pericolosi. Basta vedere l’andamento della partecipazione al voto: sempre meno cittadini si recano alle urne, in quasi tutti i paesi europei va a votare poco più della metà degli aventi diritto e in alcuni casi anche meno, alle ultime elezioni per il Parlamento europeo è andato a votare solo il 51 per cento degli iscritti nei registri elettorali.

Militante ambientalista travestito da orso polareMilitante ambientalista travestito da orso polare
Militante ambientalista di Greenpeace travestito da orso polare durante una manifestazione a Stoccarda nel 2012 (foto Ansa)

Tecnocrazia Usa e Ue

Continueremo a mostrarci preoccupati per questa tendenza, ma in realtà ne siamo segretamente compiaciuti, e l’ideale sarebbe tornare ai tassi di partecipazione del decennio scorso, quando a scegliere gli europarlamentari ci andava il 42-45 per cento di tutti gli elettori potenziali. Perché questa tendenza conferma l’idea che la gente ha capito che la politica è roba per esperti, per gente che ha studiato nelle migliori università e che dagli uffici di Bruxelles vede e capisce quello che loro non possono né vedere né capire, perché noi abbiamo tutte le informazioni che contano e le relazioni con i poteri che contano davvero.

Così pensano in cuor loro i tecnocrati di Bruxelles. Perciò piuttosto che prendersela con gli ambientalisti, i cui partiti di riferimento stanno perdendo potere in tutta Europa, bisognerebbe istruire un vero e proprio processo che porti sul banco degli imputati la Commissione Europea, un processo contro la sua filosofia e la sua prassi antidemocratiche, ora che persino il nuovo commissario al Bilancio (il polacco Piotr Serafin) ammette che le cose non dovrebbero andare così. Altrimenti bisognerà pensare che chi lancia l’allarme sull’ascesa al potere della tecnocrazia negli Stati Uniti lo fa per distrarre l’attenzione dal fatto che nell’Unione Europea la tecnocrazia esercita un potere pervasivo e manipolatorio da tanti, troppi anni. Senza farsi fotografare nelle cerimonie di insediamento.



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