«Una “joint venture” tra gruppi criminali»

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Sono 87 le persone arrestate – 56 in carcere e 31 ai domiciliari – con l’accusa di far parte, a vario titolo, di un’associazione per delinquere di stampo mafioso.

Gli indagati sono in tutto 112. Sono accusati, tra le altre cose, di associazione per delinquere finalizzata al traffico di droga, detenzione e porto illegale di armi da sparo con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa e altri reati contro la persona e il patrimonio. Alcuni degli indagati sono stati rintracciati al Nord, dove si erano trasferiti negli ultimi tempi dopo aver lasciato il Salento. Altri venti, già detenuti, hanno ricevuto il provvedimento direttamente in carcere.

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia.

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Nell’operazione sono impegnati più di 470 carabinieri del comando provinciale di Lecce supportati dai militari della Compagnia di intervento operativo e delle squadre antiterrorismo dell’11° Reggimento Carabinieri “Puglia”, del Nucleo cinofili di Modugno, dello Squadrone eliportato Cacciatori “Puglia”, del 6° Nucleo elicotteri di Bari, oltre che da rinforzi arrivati da altri comandi pugliesi.

L’indagine “Sud Est”

Dall’indagine, condotta dal 2020 al 2024 dai carabinieri del comando provinciale di Lecce e denominata “Sud Est“, sarebbe emerso che a capo dell’organizzazione ci sarebbe stata una persona, già condannata per mafia, a cui sarebbero collegati altri due gruppi criminali che avrebbero gestito lo spaccio della droga in tutto il territorio salentino, a seguito di intese con l’associazione mafiosa di base a Lecce.

I carabinieri – attraverso appostamenti, pedinamenti, osservazioni e sofisticate indagini tecniche – avrebbero accertato come il traffico di droga continui a essere il “core-business” della mafia leccese.

Sarebbe però emerso anche quello che viene definito «un significativo elemento di novità», cioè le “collaborazioni” tra gruppi criminali operanti in zone diverse del Salento. Una sorta di “joint venture” criminale, attorno alla quale ruotano il narcotraffico, le estorsioni per debiti di droga, l’autoriciclaggio e la violazione della disciplina sulle armi.

La “joint venture” criminale

Tra gli indagati ci sono persone «di elevato spessore criminale», tra cui spicca Antonio Marco Penza, già condannato per mafia e attualmente detenuto, operante a Lecce, oltre a quelli che sono considerati i suoi due principali referenti territoriali come Andrea Leo, anche lui già condannato per mafia, operante a Vernole, Melendugno e nei paesi limitrofi e la cosiddetta “leva emergente” Francesco Urso, operante ad Andrano e paesi limitrofi, ciascuno al vertice delle organizzazioni egemoni nelle zone di rispettiva competenza.

Gli ultimi due, in particolare, sarebbero stati capaci di gestire un vero e proprio monopolio del traffico e dello spaccio di droga avvalendosi della loro appartenenza alla compagine mafiosa capeggiata da Penza, utilizzando una fitta rete di collaboratori distribuiti nel capoluogo e nei vari paesi della provincia, che si ritiene abbiano avuto il compito di curare i rapporti con le altre realtà criminali presenti in tutto il Salento interessate al business della droga.

Ciascun gruppo, come emerso dalle indagini, avrebbe avuto una struttura organizzativa a carattere verticistico, «connotata – scrivono i carabinieri – da vincoli gerarchici, stabili rapporti di frequentazione, grande capacità di rigenerarsi, interscambiabilità dei ruoli, disponibilità di armi e di basi logistiche».

Gli affiliati al gruppo Penza avrebbero gestito le piazze di spaccio di alcuni comuni dell’hinterland leccese, tra cui quelle di Racale, Tricase, Scorrano e Maglie.

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Il traffico di droga nella provincia sarebbe stato gestito dal boss Penza anche dal carcere. Si sarebbe servito dei suoi sodali, “bracci operativi” del gruppo criminale, capaci di mettere in atto anche azioni intimidatorie o ritorsive per garantire il controllo sugli altri gruppi.

Il tentato omicidio

Un capitolo dell’indagine, infine, riguarda un tentato omicidio avvenuto a Lecce nel 2014, quando il 46enne Massimo Caroppo è sopravvissuto per miracolo ai colpi di un’arma da fuoco. L’uomo fu raggiunto dai proiettili al volto e al braccio sinistro durante un agguato avvenuto a San Ligorio, alle porte di Lecce, episodio rimasto un “cold case” per oltre dieci anni.

I carabinieri sono riusciti a svelare il nome dei presunti responsabili di quell’episodio, anche grazie alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia.

Contestati 127 capi di imputazione

Agli indagati vengono contestati 127 capi di imputazione. In particolare, per 18 indagati l’associazione mafiosa; ad altri 66 l’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (24 a Lecce, 40 ad Ardano, 12 a Vernole e Melendugno.

Nel corso delle indagini sarebbero stati accertati 319 reati in tema di stupefacenti; 7 estorsioni; 12 delitti in materia di armi; 16 tra tentato omicidio, reati contro la persona e contro il patrimonio.

Durante le indagini, poi, sono state arrestate 25 persone in flagranza di reato per droga e sono stati sequestrati complessivamente quasi 40 chili di droga tra cocaina, hashish, eroina e marijuana, oltre a pistole, fucili a pompa e munizioni.

Sono in corso sequestri preventivi a carico di alcuni indagati che avrebbero accumulato con il narcotraffico ingenti quantità di denaro tra beni immobili (terreni e fabbricati), auto e rapporti finanziari, per un valore complessivo di circa un milione settecentomila euro.

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Fra i beni sequestrati c’è anche il compendio aziendale di una rinomata pizzeria che si trova in centro a Lecce, gestita da una società di cui fa parte uno dei principali indagati.



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