Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è tuttora una irripetibile opportunità di rilancio dell’intero sistema Paese, dopo la gravissima situazione economica che si era venuta a creare, soprattutto in Italia, dopo l’emergenza Covid: crollo del Prodotto Interno Lordo, disoccupazione generalizzata per lunghi periodi, e interventi economici di sostegno da parte dello Stato (in aggiunta ai costi squisitamente sanitari), che in un solo anno avevano fatto salire il debito pubblico di 20 punti percentuali: dal 134,2% del 2019 al 154,2% nel 2020. In effetti nel 2023 il dato è sceso al 134,6% – sostanzialmente al livello 2019, pre-Covid: il che costituisce già un buon risultato, nel complesso. In ogni caso, già il 21 luglio 2020, di fronte alla crisi sanitaria e di generalizzata paralisi economica che tutti i paesi europei stavano affrontando, il Consiglio Europeo deliberava il Next Generation EU, come ambizioso strumento di sostegno e di rilancio delle economie dei vari Paesi. Il 30 aprile 2021 venivano poi presentati i vari Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza, modulati sull’impatto della pandemia in ciascun Paese, e articolati sull’orizzonte temporale 2021-2026 (naturalmente in modo differenziato per ciascun obiettivo/linea di attività). L’Italia diventava così la nazione beneficiaria della maggiore quantità di risorse: su un totale europeo di circa 806 miliardi di Euro (a dicembre 2021) per l’Italia si parlava di 210 miliardi dal PNRR più altri 80 dalla programmazione europea 2021-2027 (cifre poi modificate più volte, anche in modo significativo), di cui la maggior parte da restituire, e una parte “ a fondo perduto”. In questi anni il PNRR e le sue modalità di impiego sono stati oggetto di feroci scontri politici, ma certamente, soprattutto per il nostro Paese, si tratta di una iniezione straordinaria (forse unica) di risorse per poter programmare riforme di settore, grandi opere pubbliche, piani di investimento e interventi di riduzione delle disuguaglianze. Giova ricordare due principali caratteristiche strutturali di questi fondi, prima di dedicare una attenzione specifica al tema degli asili nido.
In primo luogo, per la prima volta l’Unione Europea ha sviluppato in modo sostanziale una linea strutturale di politica economica pubblica realmente sussidiaria, restituendo ampia titolarità, autonomia e libertà di azione ai singoli Governi. In altri termini, anziché ridefinire a livello centrale in modo analitico priorità, obiettivi e modalità operative, da imporre ai singoli Paesi in modo uniforme, i Piani nazionali sono stati espressione dell’autonoma progettualità politico-amministrativa dei governi nazionali, che hanno potuto beneficiare delle sinergie e dei finanziamenti dell’Unione europea. Il maggiore o minore successo dei vari PNRR potrà così diventare anche un’indicazione strategico-politica sul modello futuro di Europa: meno centralista e burocraticamente omogenizzante, e più capace di valorizzare e promuovere le differenze tra Paesi, pur all’interno di un orientamento unitario.
In secondo luogo, e a controbilanciare in modo armonico i rischi di differenziazione e di autoreferenzialità dei singoli Paesi, l’erogazione delle risorse economiche è stata subordinata a una puntuale e rigorosa ricognizione degli obiettivi raggiunti, in modo da non erogare risorse a fondo perduto e senza reale efficacia, ma garantire, in ciascun Paese e per tutta l’Europa, il reale perseguimento degli obiettivi dichiarati. Sono le famose tranche erogate dall’Unione Europea a ciascun Paese a fronte di documentati rapporti sul grado di perseguimento delle decine di obiettivi esplicitati all’interno delle “ missioni” (sei nodi per il PNRR italiano: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura; rivoluzione verde e transizione ecologica; infrastrutture per una mobilità sostenibile; istruzione e ricerca; inclusione e coesione; salute). È stato quindi indispensabile costruire sistemi affidabili e analitici di monitoraggio, rendicontazione e comunicazione rispetto al reale perseguimento degli obiettivi esplicitati nei Piani presentati all’Unione Europea. Decisiva è stata inoltre la realistica possibilità di modificare i piani e gli obiettivi, a fronte delle varie possibili difficoltà incontrate: lungaggini burocratiche ma anche nella fase operativa, difficoltà nella progettazione, incrementi dei costi, difficoltà di concertazione tra i livelli della pubblica amministrazione, ma anche fattori imprevisti – come ad esempio la violenta crescita dei costi dell’energia seguiti alla guerra in Ucraina, oppure l’aumento complessivo dei costi nell’edilizia a seguito del superbonus 110%. In ogni caso, per ogni Paese esiste un piano generale, che può ragionevolmente essere modificato, e che può anche essere seguito con una certa trasparenza (pur con molti limiti), grazie ad un reporting molto fitto, mirato sui singoli obiettivi e con un buon grado di accessibilità su vari siti, istituzionali e non.
In questo scenario generale, risultano estremamente interessanti le vicende relative all’investimento programmato su asili nido (0-3 anni) e scuola per l’infanzia (4-5 anni, prima della scuola dell’obbligo), infrastruttura sociale sicuramente strategica in ogni disegno organico di potenziamento delle politiche di sostegno e promozione della famiglia, e che ha rivestito funzioni trasversali potenzialmente di grande importanza su diversi obiettivi/missioni del PNRR, dal miglioramento dell’offerta dei servizi fino al tema della conciliazione famiglia-lavoro e del supporto all’occupazione, con particolare attenzione al lavoro femminile e alla parità di genere, e soprattutto come politica di contrasto agli squilibri demografici generati dalla costante diminuzione della natalità nel nostro Paese.
In particolare il 15 gennaio L’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) ha pubblicato un nuovo Focus sullo stato di attuazione dei progetti per il potenziamento dell’offerta degli asili nido e scuole dell’infanzia, valutando il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi previsti sia nel PNRR (realizzazione di 150.480 nuovi posti complessivi) sia nel Piano Strutturale di Bilancio 2023-2027 PSB), indirizzato, per la fascia 0-3 anni, alla copertura del 33 per cento dei posti disponibili su base nazionale (primo obiettivo a livello europeo), con almeno il 15 per cento su base regionale, per promuovere una maggiore omogeneità nella distribuzione geografica, che oggi vede ampie zone del territorio (non solo nel Sud) pesantemente sottodimensionate. Da segnalare che i 150.480 nuovi posti complessivi sono l’esito di un forte ridimensionamento (già approvato dall’Unione Europea) rispetto agli obiettivi della primissima versione del PNRR Italia, che erano stati fissati originariamente sulla cifra di 264.480 nuovi posti. Oggi il finanziamento complessivo è di 4,57 miliardi, 3,24 dal PNRR e il resto da fondi nazionali. (dati dalla piattaforma ReGis, al 9 dicembre 2024). Sono però interessanti le varie criticità emerse nel corso di questi primi anni rispetto all’ obiettivo (più posti negli asili nido).
La prima criticità riguarda l’adesione degli enti locali. Sin dalle prime fasi attuative del PNRR si sono riscontrate difficoltà, in particolare per il segmento riservato agli asili nido. L’adesione da parte dei Comuni, soprattutto quelli del Mezzogiorno e con gravi carenze strutturali, è stata limitata e sono state necessarie più procedure di assegnazione dei fondi per esaurire tutte le risorse disponibili. Queste difficoltà si ripercuotono sullo stato di avanzamento dei 3.199 progetti censiti in ReGiS. Permangono quindi incertezze sul conseguimento dell’obiettivo PNRR sia in termini quantitativi (realizzare 150.480 nuovi posti complessivi) sia temporali (entro giugno 2026).
Una seconda criticità riguarda la copertura dei costi di gestione (stimato su un valore medio 7.560 Euro annui), una volta realizzati i nuovi posti, che ricadrebbe sulle amministrazioni comunali, e che è stata inclusa nei progetti in questione, ma in percentuali non decisive. Molti Comuni quindi avrebbero manifestato una certa “resistenza” a proporre progetti sugli asili nido perché preoccupati dei propri costi gestionali nel medio e lungo periodo, difficilmente sostenibili per i bilanci comunali, e che costringerebbero gli enti locali a chiedere agli utenti quote molto rilevanti di compartecipazione ai costi del servizio.
Così, un po’ paradossalmente (ma anche comprensibilmente), la progettualità degli enti locali è stata maggiore nei territori già ampiamente attrezzati, e meno presente nelle aree del Paese dove sono presenti meno posti in asili nido (anche in singole città medio-grandi, non solo nei piccoli centri). Per contrastare questo paradossale effetto di “aumento delle disuguaglianze territoriali”, dopo una prima fase di raccolta dei progetti liberamente promossi dagli enti locali (una dinamica più sussidiaria, dal basso verso l’alto, bottom-top), il governo si è visto costretto a promuovere e costruire graduatorie gestite dal centro (programmazione realizzata dal centro e subita dal territorio, top-bottom), per poter allocare proprio nei territori più sguarniti maggiori risorse/e incrementare in modo mirato l’offerta di posti in asili nido.
Inoltre, come riporta la relazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio, “complessivamente, la piena realizzazione degli interventi del PNRR sugli asili nido ridurrebbe i divari tra le regioni meridionali e quelle del Centro-Nord ma, nonostante il cambio di strategia nell’assegnazione dei fondi, aumenterebbe le disuguaglianze nell’offerta di questi servizi pubblici all’interno delle regioni stesse. Anche dopo gli interventi del PNRR, la quasi totalità dei Comuni con meno di 500 abitanti (96,6%) resterebbe priva di tali strutture e, più in generale, l’81,4% dei territori che non aveva alcun asilo continuerebbe a non averlo. E anche se al crescere della dimensione demografica migliora la copertura del servizio, alcuni Comuni di grandi dimensioni rimarrebbero con un’offerta inadeguata rispetto al bacino di utenti”.
In sintesi: nei prossimi anni, se il PNRR mantiene le sue promesse, la dotazione di posti in asili nido sarà migliore, più distribuita nel territorio è più vicina agli obiettivi europei (nel frattempo il 33% è passato al 45%m da perseguire entro il 2030). Quindi le politiche di sostegno alla famiglia e di rilancio alla natalità potrebbero contare su una risorsa migliore. Tuttavia anche in questo caso sarà indispensabile stabilizzare e consolidare il nuovo sistema, per non rendere anche il PNRR l’ennesima “una tantum” (pur di dimensioni gigantesche).
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