Debiti erariali, liquidazione controllata e principio solidaristico

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Il Tribunale di Brindisi, con provvedimento di apertura di una liquidazione controllata, del 28 gennaio 2025 (Pres. Palazzo, Rel. Natali), affronta la problematica relativa ai limiti di ammissibilità della procedura della liquidazione controllata nell’ambito del CCII, quando, in particolare, a venire in rilievo siano debiti erariali (nei confronti di enti pubblici), derivanti da una pronuncia di condanna per responsabilità erariale, passata in giudicato.

In particolare, secondo il Tribunale, la natura pubblicistica del credito, per quanto derivante da una pronuncia di condanna per responsabilità erariale, passata in giudicato, non costituisce circostanza ostativa all’accesso alla procedura, tale posta patrimoniale passiva può essere sottratta alla falcidia, ingenerata dalla ricomprensione nel programma liquidatorio.

Il provvedimento, pervenendo a dichiarare l’apertura della procedura, evidenzia come, nella logica di un’interpretazione costituzionalmente orientata della disciplina della microcomposizione, non possano sottacersi le inevitabili implicazioni interpretative” della cornice costituzionale che fa da sfondo a tale microsistema normativo, “irradiandolo” e conferendogli una peculiare forza interpretativa, “che taluna dottrina ha declinato in termini di efficacia passiva rafforzata“.

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A venire in rilievo sono, in particolare, i principi solidaristico e personalistico che trovano fondamento nell’art. 2 Cost., quale clausola generale e fattispecie aperta, come tale idonea a consentire la recezione da parte dell’ordinamento, e di quello giudiziario in particolare, delle istanze del corpo sociale: e ciò non solo ai fini risarcitori, ma anche in relazione ai diversi apparati rimediali che vengono approntati, di volta in volta, dal legislatore anche speciale.

La “Persona” costituisce il presupposto della costruzione costituzionale e, al contempo, fine cui la stessa deve tendere e come tale concorre a delineare quel nucleo rigido e essenziale, che deve ritenersi indisponibile da parte del legislatore ordinario, così come della stessa maggioranza di governo: come più volte evidenziato dalla Corte Costituzionale, la stessa deve essere considerata, in modo innovativo rispetto al passato,non in modo isolato e astratto”, ma “nella sua connessione con la prassi dei rapporti interpersonali e comunitari e, dunque, quale soggetto relazionale che ha bisogno per realizzarsi di idonee condizioni non solo famigliari ma anche sociali e economiche.

Per quanto concerne il diverso, ma correlato principio solidaristico, il Tribunale ricorda, ripercorrendo parte della dottrina, che lo stesso può essere declinato secondo due distinti modelli operativi:

  • la “solidarietà di tipo correttivo, che si serve di strumenti quali la buona fede oggettiva per incidere, invalidandolo, su un determinato vincolo contrattuale (si pensi alle nullità di protezione di cui alla disciplina comunitaria consumeristica e in materia antitrust), oppure per integrare il regolamento contrattuale in virtù del meccanismo di eterointegrazione contrattuale, discendente dal combinato disposto degli art. 1375 e 1175 C.c.
  • la “solidarietà in chiave dinamica o proattiva” che è fondamento degli strumenti normativi di riequilibrio sociale e economico, nel quale si inserisce anche la disciplina della microcomposizione, che legittima un sacrifico del diritto all’integrale soddisfazione dei crediti, ogniqualvolta questo sia necessario per preservare un soggetto debole, indebitato in modo irresolubile.

In una prospettiva di lettura, fondata sulla c.d. analisi economica del diritto, per il Tribunale deve ritenersi che il legislatore abbia voluto riversare il peso economico, correlato all’esposizione debitoria del sovraindebitato, sul ceto creditorio nel suo complesso, tramutandolo in un costo che tal ultimo è chiamato ad affrontare.

Di tale duplice principio (personalistico e solidaristico) si riconosce, oramai la valenza immediatamente precettiva e la sua applicabilità, non solo nei rapporti verticali fra Stato (e, in genere, le istituzioni) e il cittadino, bensì nei rapporti di diritto comune, fra privati.

Pertanto, secondo il Tribunale, la finalità solidaristica che è sottesa a tale microsistema di disciplina e il conseguente ancoramento costituzionale dello stesso, ne impone un’interpretazione costituzionalmente orientata: ritiene, pertanto, il Collegio, che nel caso di specie debba emettersi sentenza di apertura della liquidazione controllata, nella ricorrenza dei presupposti di cui agli artt. 268 e 269 C.C.I.I.

Più nel dettaglio delle ragioni argomentative poste a sostegno della decisione, e sotto il profilo teologico, il Tribunale afferma che l’esclusione dei debiti erariali sarebbe contraria alla ratio della disciplina regolativa della microcomposizione, in quanto impedirebbe quell’effetto esdebitatorio che costituisce il fine ultimo della normativa settoriale, inaugurata dalla L. 3/2012 e mutuata dal CCI, sia che lo stesso si produca automaticamente sia che, come nell’ipotesi della liquidazione controllata, debba transitare attraverso il vaglio giudiziale di meritevolezza.

Né rileva che lo stesso titolo di formazione giudiziale sia passato in giudicato, in quanto, come affermato dal Consiglio di Stato, in altra sede, la definitività del quantum dovuto che discende dall’effetto di giudicato opera su un piano diverso da quello della sua esigibilità e eseguibilità, che può essere preclusa da una vicenda negoziale bilaterale, come una transazione, oppure, come nel caso di specie, da una previsione normativa che legittimi ad una sua rimodulazione in minus del debito stesso, o ancora da un provvedimento amministrativo.

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D’altronde, tale ordine di considerazioni assume ancora maggiore pregnanza ove l’una e l’altra rappresentino fatti sopravvenuti, certamente idonei ad incidere anche su una sentenza non più reversibile nei propri effetti.

Ricorda il Tribunale infatti, proprio in relazione a questo profilo, che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 3/2018) era stata chiamata a stabilire se il giudicato formale – posteriore al prodursi dell’effetto interdittivo – impedisse in ogni caso all’amministrazione di sottrarsi agli obblighi da esso nascente di corrispondere una somma di denaro a titolo risarcitorio ad un soggetto attinto da un’informativa interdittiva antimafia, mai entrata nella dialettica processuale, anche se precedente alla formazione del giudicato, oppure se le finalità e la ratio dell’informativa interdittiva antimafia dessero vita ad una situazione di incapacità legale ex lege (tendenzialmente temporanea e capace di venir meno con un successivo provvedimento dell’autorità prefettizia) che produca corrispondentemente una sospensione temporanea dell’obbligo per l’amministrazione di eseguire quel giudicato: il Consiglio di stato ha stabilito quindi che il divieto, per il soggetto sottoposto a interdittiva antimafia, di ottenere erogazioni dalla PA, opera anche in presenza di giudicato di condanna sopravvenuto e comprende le somme dovute a titolo di risarcimento del danno.

Inoltre, sotto il profilo soggettivo, conclude il Tribunale, né la L. 3/ 2012 né il CCII contengono alcuna limitazione all’accesso dei piccoli imprenditori allo strumento della liquidazione del patrimonio della liquidazione controllata: l’art. 33 CCII esclude tale ultima categoria di soggetti dal solo concordato minore, che, dunque, deve ritenersi non possa assumere portata liquidatoria, tale funzione venendo svolta, nella logica del sistema, proprio dalla liquidazione controllata.



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