Philippe Donnet raccoglie la sfida lanciata da Francesco Gaetano Caltagirone. L’amministratore delegato di Generali ha detto di essere disponibile a guidare l’attuazione del piano industriale al 2027 del gruppo assicurativo triestino. “Sarei entusiasta di farlo con questo team”, ha spiegato rivendicando i risultati raggiunti dall’attuale consiglio di amministrazione del Leone, come è chiamata la compagnia per via dell’animale simbolo. Il prossimo 8 maggio l’assemblea dei soci sarà chiamata a rinnovare il vertice del gruppo e nei corridoi della finanza già si dice che i grandi soci di Generali, l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, cassaforte degli eredi di Leonardo Del Vecchio che controlla il colosso degli occhiali EssilorLuxottica, sono tentati dal ribaltone e a presentare una propria rosa di manager per contendere il vertice agli attuali manager. Negli anni non hanno mai nascosto insofferenza verso la gestione Donnet. Il top manager francese, ma con passaporto italiano, mette sul piatto l’aver superato gli obiettivi che la società si era posta per il triennio 2022.2024. “Abbiamo una performance finanziaria stupefacente”, ha spiegato, Anzi. la soddisfazione è per i risultati ottenuti già dal 2016.
In primavera è già quindi pronta ad andare in scena la replica del confronto del 2022, vinto da Donnet. A differenza dell’ultima volta, però, il cda uscente non presenterà una propria lista di candidati. Dovranno essere gli azionisti a muoversi, L’amministratore delegato può contare sul sostegno di Mediobanca. L’istituto d’affari milanese fondato nel 1946 da Enrico Cuccia e oggi guidato dal ceo Alberto Nagel, è il primo azionista della compagnia triestina con il 13%. La disponibilità data Donnet e da una buona parte del cda uscente a un nuovo mandato guarda quindi a Piazzetta Cuccia.
La scelta di non mettere in campo un elenco di candidati del board uscente è stata motivata con i paletti posti all’uso di questo strumento dalla legge sui Capitali approvata un anno fa dal Parlamento. Affinché il cda possa muoversi occorre il benestare dei due terzi dei componenti, la lista deve essere presentata in anticipo rispetto a quelle proposte dai soci, anche la scelta dei candidati è diventata più bizantina. In più la Consob, l’autorità di vigilanza sui mercati e la borsa, deve ancora varare il regolamento per dare attuazione alle norme. C’è una bozza in consultazione, ma i tempi rischiano di accavallarsi con quelli necessari al cda per decidere. Perciò il board ha deciso di lasciare ai singoli soci l’iniziativa.
I vertici sono in campo e per perorare la loro causa, oltre ai risultati degli ultimi tre anni, hanno preso l’impegno a una maggiore remunerazione per gli azionisti. Al 2027 saranno distribuiti 7 miliardi in cedole. Il piano prevede inoltre 1,5 miliardi a disposizione per il riacquisto di azioni proprie (altra forma per remunerare i soci che decideranno di vendere al Leone i titoli in loro possesso) e un altro miliardo per possibili operazioni di acquisizione e fusione. Per gli investimenti la cifra prevista è di 1,9 miliardi.
Donnet ha quindi dato rassicurazioni sull’ultimo accordo che lo ha visto scontrarsi con Caltagirone e Delfin, la joint venture con i francesi di Natixis e la nascita di uno dei primi operatori al mondo nel risparmio gestito, con asset per quasi 1.900 miliardi e primo in Europa per ricavi.
“Non abbandoniamo le decisioni sugli investimenti”, ha risposto sui timori che il controllo sul risparmio degli italiani possa passare da Trieste a Parigi. “È importante capire come funziona l’accordo A differenza di quanto accaduto in passato con Unicredit che ha venduto Pioneer ad Amundi ed Axa che lo scorso anno ha ceduto Axa Im a Bnp Paribas non cederemo alcun controllo degli investimenti. Avremo più controllo degli asset perché internalizzeremo masse che oggi non controlliamo”.
Lunedì 3 febbraio, intanto, il manager inizierà il tour tra le piazze finanziarie per illustrare il piano agli investitori. Prima tappa Londra dove oggi l’amministratore delegato del Monte dei Paschi, Luigi Lovaglio, è impegnato in una serie di incontri con i grandi fondi internazionali per convincerli della bontà dell’offerta pubblica lanciata dall’istituto senese su Mediobanca. Partita che si intreccia in più di un modo con Generali. Sia Caltagirone sia Delfin sono soci della compagnia, di Mediobanca e di Mps.
Il disegno che in molti vedono attorno all’operazione studiata da Lovaglio è quello di riscrivere il potere dentro Generali conquistando la banca d’affari con sede a Piazzetta Cuccia. Se l’operazione dovesse andare in porto, di fatto gli eredi di Leonardo Del Vecchio e il costruttore ed editore capitolino porterebbero Mediobanca dalla loro tramite un’acquisizione fatta attraverso il Monte di cui sono grandi soci accanto al ministero dell’Economia, primo azionista all’11,6% e convinto della bontà della mossa su Piazzetta Cuccia. È la partita delle partite nella finanza italiana.
L’ultimo cda di Mediobanca ha smontato l’operazione definite senza ha razionali né industriali né finanziari. Fonti vicine a Mps avevano replicato sottolineando la natura industriale della combinazione dei business dei due istituti. “Mediobanca ha deciso di includere ormai da tempo nel proprio perimetro lo stesso credito al consumo, e non si tratta certamente di un’attività legata all’Investment Banking, ma è molto più nelle corde di una banca commerciale”, come appunto Mps. Quanto alla sproporzione della capitalizzazione in borsa tra le due entità le stesse fonti ribadivano, tirando in ballo proprio la quota del 13% detenuta da Mediobanca in Generali e che avrebbe contribuito “in modo importante anche alla crescita della market cap”.
Concetti che Lovaglio con molta probabilità avrà ripetuto agli investitori istituzionali. Fino all’estate la sfida sarà sulla capacità di convincere i soci ad aderire o non aderire all’offerta che mette sul piatto 23 azioni Mps in cambio di 10 azioni Mediobanca.
Le ultime corse al rinnovo dei cda di Mediobanca e prima ancora di Generali hanno mostrato la capacità di Nagel di convincere gli investitori istituzionali (che dentro Piazzetta Cuccia detengono il 35%). Lovaglio non è da meno, vantando una solida reputazione prima al vertice di Pekao, poi di Creval e, infine, avendo risanato il Monte.
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