Caso mascherine, Arcuri assolto dall’abuso d’ufficio ormai abrogato. Il gup invia atti alla Consulta

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Come in tanti altri casi, è arrivata l’assoluzione per quel reato non c’è più, cassato dalla riforma della giustizia del governo Meloni. E così è stato assolto dal giudice per l’udienza preliminare di Roma l’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid, Domenico Arcuri “perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato”. Arcuri era accusato di abuso d’ufficio (i reati di corruzione e peculato erano stati archiviati, ndr) nell’ambito dell’inchiesta sulla fornitura di mascherine dalla Cina nella prima fase dell’emergenza pandemica. Quella ommessa avvenne all’inizio della pandemia nel marzo del 2020, con una fornitura da oltre 800 milioni di mascherine che secondo l’accusa costò alle casse dello Stato più di 1,2 miliardi di euro. Per gli altri imputati, circa una decine di posizioni che hanno scelto il rito ordinario, il giudice accogliendo la richiesta del pm ha sollevato la questione di costituzionalità relativa all’attuale formulazione del reato di traffico d’influenze illecite inviando gli atti alla Consulta.

La richiesta della procura – Lo scorso dicembre, infatti, la Procura di Roma aveva chiesto al gup di sollevare la questione di costituzionalità relativa all’attuale formulazione del reato di traffico d’influenze illecite. Per gli inquirenti l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio porta a una riduzione del margine di manovra rispetto al traffico di influenze. Tra i soggetti coinvolti anche l’imprenditore, poi deceduto, Mario Benotti, a cui era contestato il traffico di influenze illecite, e Antonio Fabbrocini, responsabile unico del procedimento per la struttura commissariale accusato di frode nelle pubbliche forniture, falso e abuso d’ufficio. Il traffico di influenza erano stato contestato ad altri sei imputati.

“Con la legge 114/2024 è intervenuto un deciso revirément nel trend che aveva caratterizzato, prima con l’introduzione del reato e poi con il suo ampliamento, l’ipotesi di traffico d’influenze – si leggeva nella richiesta firmata dal pm Fabrizio Tucci e dal procuratore aggiunto Paolo Ielo – L’articolo 1 lett. e) ha ridotto, sterilizzato, secondo autorevole dottrina, in misura assai consistente, il possibile perimetro applicativo della fattispecie. Sotto un primo angolo di visuale, il profilo della mediazione illecita deve consistere nell’utilizzazione intenzionale di relazioni esistenti con l’agente pubblico, con esclusione di quelle vantate, e devono essere relazioni esistenti, non meramente asserite. Sotto altro angolo di visuale, s’individua il profilo di illiceità della mediazione onerosa nella circostanza che essa sia finalizzata alla commissione di un reato da parte dell’agente pubblico, dal quale possa derivare un vantaggio indebito. Sotto ulteriore profilo, infine, l’utilità è limitata ai casi di denaro o altra utilità economica”.

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La motivazione dei pm – “Una formulazione normativa – si sottolineava – che ha fatto parlare in dottrina di soffocamento applicativo della fattispecie. Un effetto sinergicamente potenziato dalla circostanza che uno dei reati più classici obiettivo della mediazione onerosa era proprio l’abuso d’ufficio, oggi abrogato dalla medesima legge, sì che più che di soffocamento più propriamente occorrerebbe ritenere l’esistenza di una totale asfissia applicativa, tale da portare in concreto all’ineffettività di ogni profilo sanzionatorio”.

Per i pm, “l’attuale formulazione dell’art. 346 bis cp (traffico d’influenze, ndr.) non prevede l’incriminazione di quel nucleo minimo di condotte individuate dall’art. 12 della Convenzione di Strasburgo ed oggetto di specifici obblighi convenzionali di penalizzazione” siva legge nella richiesta al gup. “Non sono incriminate (e sono stati anzi depenalizzate) le condotte di chi si faccia promettere o consegnare utilità, anche non economiche, a titolo di remunerazione della influenza esercitata su titolari di pubbliche funzioni per atti illegittimi di loro competenza o atti contrari ai doveri di ufficio, indipendentemente dal fatto che gli atti posti in essere integrino fatti costituenti reato, condotte alla cui incriminazione lo Stato si era obbligato con la Convenzione di Strasburgo. Per tale ragione, quest’ufficio dubita della legittimità costituzionale dell’attuale formulazione dell’art. 346 bis cp, per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 12 della Convenzione di Strasburgo” affermano i pm capitolini.

“Appare evidente – concludevano il pm Tucci e l’aggiunto Ielo – che, con l’abrogazione del reato di cui all’art. 323 del codice penale (abuso d’ufficio, ndr.) e con la riduzione del perimetro applicativo dell’art. 346 bis cp (traffico di influenze illecite, ndr.) anche a prescindere dall’abrogazione di tale ultima norma incriminatrice, in assenza di una declaratoria d’incostituzionalità della modifica dell’articolo 346 bis del codice penale il processo dovrebbe concludersi con una sentenza di proscioglimento”. Adesso la parola spetta alla Corte costituzionale, che al momento è ancora composta da 11 giudici in attesa che il Parlamento elegga i 4 magistrati mancanti.



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