Dopo le udienze di convalida, i giudici di secondo grado hanno rimesso gli atti alla Corte di giustizia dell’Ue, che il 25 febbraio si esprimerà sull’interpretazione del concetto di paese sicuro
La decisione sulla convalida del trattenimento è sospesa in attesa della pronuncia della Corte di giustizia dell’Unione europea, a cui la Corte d’appello rimette gli atti. È questa la decisione che hanno preso oggi i giudici di secondo grado di Roma sui trattenimenti del terzo gruppo di migranti portati in Albania martedì scorso. È arrivata nello stesso giorno in cui l’Unione europea ha richiamato l’Italia sul ruolo della Corte penale internazionale, dopo la liberazione del «torturatore» libico Almasri, su cui pende un mandato di cattura. La Commissione europea sostiene «la Cpi e i principi stabiliti nello Statuto di Roma» e ha ricordato l’invito a «tutti gli stati membri a garantire la piena cooperazione con la Corte internazionale».
Era il primo caso dalla modifica della competenza, introdotta dal governo con il decreto Flussi, che non aveva gradito le decisioni della sezione specializzata, trasferendola così alla Corte d’appello. Nei fatti poco è cambiato. I magistrati sono gli stessi che erano stati aggiunti alla sezione specializzata proprio per l’attuazione del protocollo Italia-Albania, poi trasferiti. E anche le aule dove si sono svolte le udienze nella giornata di ieri non sono cambiate, perché è in questi spazi che era stata installata la strumentazione per assicurare i videocollegamenti con l’Albania.
Per questo terzo trasferimento in Albania, il più numeroso, sono stati nominati dieci avvocati d’ufficio, ognuno con circa quattro assistiti, per 43 udienze davanti a dieci giudici.
Le testimonianze
Il pre-screening fatto in mare e la valutazione eseguita dall’Usmaf (Ufficio di sanità marittima, aerea e di frontiera) nel centro di identificazione di Shëngjin non sono stati sufficienti per accorgersi di alcune bruciature sulle mani. Sono bruciature di sigarette. A mostrarle in udienza, in videocollegamento, è stato un ragazzo del Bangladesh. Ha raccontato del suo periodo trascorso in Libia.
Un altro ragazzo bengalese ha raccontato di essere arrivato in Libia attraverso Dubai e poi l’Egitto. Il trafficante che ha organizzato il viaggio gli ha trovato un lavoro nel paese, ma non si allontanava troppo per paura, per le storie sentite sulla Libia. Un giorno è stato fermato dalla “polizia libica” ed è stato portato in prigione, il giorno successivo è stato venduto alla mafia, racconta. In mano alle milizie, le richieste di denaro si facevano sempre più alte e, solo una volta pagate, è stato liberato. Ci sono voluti più di dieci mesi.
Le storie sono tutte molto simili, parlano di detenzione e trattamenti inumani in Libia, di debiti per fare il viaggio e di disperazione per essere sopravvissuti al mare ed essere stati portati dietro le sbarre di un’altra prigione, in un paese fuori dall’Unione europea, senza alcune prospettiva. «Non avrei mai rischiato la vita e accumulato debiti se avessi saputo che mi sarei ritrovato in Albania», ha raccontato un 30enne di origini egiziane all’Ansa. È stato recluso in condizioni disumane, i suoi carcerieri hanno chiesto un riscatto alla famiglia, fissando il prezzo della sua liberazione secondo un «listino del traffico di esseri umani».
Le ombre
Sono queste le storie di chi è stato portato forzatamente in Albania, raccontate in audizioni lampo alla Commissione territoriale, che ha considerato tutte le richieste di asilo «manifestamente infondate». Di chi, intercettato in mare, è trasferito senza grandi spiegazioni sul pattugliatore della Marina militare Cassiopea. Le autorità hanno fatto decorrere i termini del trattenimento (48 ore per la notifica e 48 per la richiesta di convalida ai giudici) da martedì sera, ma nei fatti la privazione della loro libertà è iniziata ben prima: per undici persone sabato 25 e per gli altri domenica 26 gennaio. Sono molti gli esperti che contestano i tempi dilatati che superano le 96 ore. Il trasferimento dall’imbarcazione della Guardia costiera alla nave da guerra della Marina, per gli esperti, non può essere considerato salvataggio.
Ci sono altri dettagli sulle procedure e le valutazioni delle condizioni di vulnerabilità poco chiari. Non si trovano nei fascicoli informazioni sull’esame delle vulnerabilità, né approfondimenti sull’idoneità al trattenimento, solo una vaga dichiarazione che attesta l’assenza di elementi ostativi. C’è poi una grave violazione del diritto di difesa, sulla nomina degli avvocati, sia per le udienze di convalida sia per il ricorso contro il diniego delle richieste di protezione internazionale. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) aveva infatti inviato una lettera al presidente del Consiglio nazionale forense Francesco Greco per denunciare «le gravi violazioni del diritto di difesa nelle strutture detentive di Gjader, in Albania». Le modifiche fatte con il decreto Flussi e la sua legge di conversione «rendono praticamente impossibile l’esercizio del diritto di difesa per le persone straniere trattenute nei centri in Albania».
La riforma ha infatti ridotto i giorni per presentare ricorso contro i rigetti alla domanda di asilo: sette giorni, «un termine irrealistico a causa delle numerose difficoltà logistiche e legali», scrive Asgi. E infatti, fino a oggi, alcuni avvocati d’ufficio usciti dalle udienze di convalida raccontavano che gli assistiti non avevano nessun difensore di fiducia per fare ricorso e provare a ottenere la protezione internazionale.
L’informativa legale – essenziale per far conoscere a una persona i propri diritti in un paese straniero di cui non parla la lingua e, naturalmente non conosce la normativa – nel fascicolo di uno dei trattenuti, risultava poi notificata a mezzanotte.
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