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Il 2025 della moda, tra fast fashion e prêt-à-porter


Qualche sciabolata di luce e alcune domande senza risposta (almeno per ora): è questo quel che emerge dopo le presentazioni Uomo autunno-inverno e Couture primavera estate di gennaio 2025. Della risposta che il cosiddetto “lusso” ottiene in questo momento da quelli che “dovrebbero” essere i suoi “nuovi consumatori” sappiamo già tutto. Della situazione “toboga” dei titoli finanziari legati ai più celebri brand, dopo l’elezione del nuovo Presidente Usa è presto per dire. Le righe proposte qui di seguito sono dunque dettate da alcune considerazioni a margine alle presentazioni contorno, da cui scaturiscono però alcune serissime domande.

Moda: dalla luxuryfication al fast fashion

La prima considerazione è di ordine generale. Partite male a causa della diserzione di alcuni tra i più noti brand le presentazioni delle collezioni uomo in questa stagione non hanno brillato. Per alcuni commentatori sono state la dimostrazione dell’esaurirsi delle spinte provenienti tanto dalla luxuryfication dello street style che dal tentativo di imporre il quiet luxury come soluzione ad ogni incertezza: ma una valida sostituzione non si è vista. Nel frattempo, le proposte del fast fashion di prima linea (Zara, H&M ed Uniqlo) hanno continuato ad accorciare le distanze. Per due ragioni. La prima sono i prezzi accessibili che hanno sostituito la funzione di quello che nella seconda metà del XX Secolo si è affermato come prêt-à-porter (vale la pena di ricordare che questo vocabolo è la traduzione nobilitante del termine “pronto moda”). La seconda è la collaborazione sempre più intensa stabilita con designer che provengono dagli uffici stile di Kering, di LVMH persino di Chanel o di quelli dei grandi maestri giapponesi. 

Set up della sfilata Dior uomo a-i 2025:6 Courtesy Dior

Gennaio 2025: le presentazioni Couture

Un’altra considerazione riguarda le presentazioni appena terminate della Couture. Dove sono apparsi sempre più labili i confini con quelle dei brand del lusso. Da tempo la Couture non si regge più sulle proprie gambe. I mirabolanti show messi in atto sono sostenuti dalla capacità di ottimizzarne i risultati in termini di buona comunicazione per prodotti di bellezza, occhialeria o qualsiasi altro collegabile alla specifica brand awareness. Ora però è accaduto che una presentazione come quella di Dior uomo sia stata proposta all’interno di un mirabolante, costosissimo allestimento “minimal” che in realtà nulla aveva da invidiare ai più lussuosi set up a cui ci ha abituato la Couture. Altrettanto si potrebbe dire della collezione presentata per Dior Haute Couture difficilmente distinguibile, per chi non possiede profonde nozioni sartoriale, da quelle allestite per la linea papEd ecco allora sorgere le seguenti domande. Se il fast fashion spinge verso il prêt-à-porter, il prêt-à-porter di lusso si sposta verso l’alta moda? Si tratta di una strategia congeniata? O piuttosto del frutto di una dinamica spietata (occorre considerare quel che significa in termine di ricadute sull’ambiente il successo del fast fashion) che si muove nella confusione (accelerazione?) generalizzata presente attualmente in ogni settore in qualsiasi parte del pianeta? 

Moda, fast fashion e prêt-à-porter

Per la terza considerazione prendo a spunto quanto è accaduto da Chanel. La presentazione Couture dello scorso martedì 28 gennaio è frutto del lavoro dell’ufficio stile interno: rotte bruscamente le relazioni con la precedente designer Virginie Viard è stato annunciato l’arrivo di Matthieu Blazy. Ma Blazy non è ancora arrivato eppure la presentazione di questa collezione non è stata niente male. Ed ecco l’inevitabile domanda: c’è un futuro per la figura del designer-star emersa nel recente passato? Si può pensare che questa figura continuerà ad avere il rilievo avuto in precedenza? I cambi di seggiola sempre più frequenti accompagnati da una minore drammatizzazione del racconto mediatico in proposito fa sì che più di un dubbio sia lecito.

Un momento della sfilata Chanel Haute Couture p-e 2025 Courtesy Chanel
Un momento della sfilata Chanel Haute Couture p-e 2025 Courtesy Chanel

Il futuro dei designer star

Gli interrogativi posti – lo ribadisco – sono seri. Le risposte, se ci saranno, comportano ricadute su migliaia di posti di lavoro e spostamenti di capitali valutabili in centinaia di milioni di euro, dollari o Yuan che dir si voglia. Di recete 250 milioni di euro sono stati messi in conto dal Governo Meloni per la moda italiana. Si tratta di fondi destinati a favorire gli investimenti delle aziende, mentre 30,5 milioni di saranno utilizzati per promuovere la sostenibilità nel settore della moda. È risaputo che il settore manifatturiero italiano sia immerso in una crisi, che ha travolto il sistema, dalle aziende ai negozi. Secondo i dati di InfoCamere, sono oltre 2.000 le fabbrichedi abbigliamento, tessuti e pelletteria che hanno chiuso nei primi nove mesi del 2024, mentre, considerando l’arco temporale che va dal 2010 al 2023, il numero delle aziende registrate è crollato del 27%. Il Presidente della Camera della Moda Carlo Capasa ha commentato che la cifra non può essere risolutiva. Ma non va meglio altrove. Proprio Chanel brand che sta al top nella piramide del lusso con proprietari che hanno sempre mostrato grande sussiego nel commentare dati economici, ha tagliato di recente 70 posti di lavoro (il 2,5% della forza lavoro su un mercato che rappresenta il 20 % delle sue vendite negli Stati Uniti) “per adattarsi meglio alle attuali sfide economiche”.

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Aldo Premoli

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