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Donald Trump non ha ancora palesato la sua strategia per forzare la tregua in Ucraina, a Kiev ritengono che non ne abbia ancora una, ma è certo che le armi saranno il perno di ogni trattativa. Intanto al fronte la situazione peggiora vistosamente, con le truppe ucraine costrette ad arretrare per non essere prese nelle “sacche” in cui gli invasori tentano di chiuderle. In un contesto del genere, il rischio che la linea di difesa colassi in un punto e che si crei una reazione a catena è reale. Ma anche se i reparti ucraini continuassero a combattere, come stanno facendo da mesi, per ogni centimetro di terra, il rischio potrebbe essere trasformato in realtà da fattori esterni come, appunto, l’interruzione delle forniture di armi da parte degli Usa.
Al momento si tratta solo di un’eventualità, i primi decreti firmati da Trump non hanno ancora concretizzato il problema. La strategia in questo momento è nelle mani di un ex-generale statunitense: Keith Kellogg. Durante il primo mandato del tycoon è stato consigliere per la sicurezza nazionale del vicepresidente Mike Pence e capo dello staff del Consiglio per la sicurezza nazionale. È a lui che il neo-presidente ha affidato l’attuazione della promessa elettorale di «terminare la guerra in 24 ore» e per i media il primo punto del suo piano è proprio quello di attuare una «drastica diminuzione delle forniture all’Ucraina se Zelensky dovesse rifiutarsi di trattare, fino allo stop totale, ma aumento degli invii se a rifiutarsi di trattare fosse Putin».
Ora, sono passati 13 giorni dall’insediamento di Trump e la guerra in Ucraina continua. Nulla di strano fin qui, il tycoon ne ha dette di ogni genere durante la campagna per le presidenziali ed era impensabile per qualsiasi persona dotata di senno che un impegno del genere fosse mantenuto. La comunicazione dello staff della Casa bianca ha virato verso un più generico «nel più breve tempo possibile». Per il Wall street journal si tratterebbe di 100 giorni, per il consigliere capo di Zelensky, Andriy Yermak, è l’ennesima bufala che «favorisce la propaganda russa». Ma l’andamento della guerra al fronte, in una fase molto difficile per le truppe ucraine, impone una riflessione.
Partiamo dal campo: sono mesi che i reparti dei difensori arretrano, a volte di poco per riorganizzarsi, altre volte di chilometri. L’elenco di villaggi sconosciuti (forse anche agli ucraini stessi) conquistati ogni giorno dagli invasori si allunga costantemente. Non si tratta di avanzate definitive, difatti i russi non hanno sfondato in nessun punto del fronte, ma di un lento e costante logorio che erode pezzo per pezzo la sovranità territoriale ucraina. Al momento l’epicentro dei combattimenti è il sud della regione di Donetsk, dove da sei mesi ormai Pokrovsk è data per spacciata ma resta in mano all’esercito ucraino.
Tuttavia, i russi sono riusciti a raggiungere lo scopo di bloccare il traffico ferroviario e stradale che portava armi e truppe in prima linea e a rendere tutto il settore insicuro. Inoltre, tengono impegnati interi reparti ucraini da mesi, impedendogli di dar manforte più a sud, dove gli invasori hanno spostato il grosso delle operazioni offensive. Verso Dachne e Andriivka, ad esempio, dove l’avanzata dei russi è verificabile a chiunque mediante le rilevazioni satellitari. Oltre 40 chilometri lineari dal 1° dicembre a oggi in alcuni settori, intere zone altrove. Chi alla fine dell’estate scorsa temeva che gli uomini di Mosca potessero arrivare alle porte della regione di Dnipropetrovsk ora vedono l’incubo avverarsi.
Qualche giorno fa il capo dell’intelligence militare ucraina (Gru), Kirylo Budanov, ha dichiarato che «se non ci saranno negoziati seri prima dell’estate, potrebbero iniziare processi molto pericolosi per l’esistenza stessa dell’Ucraina». Budanov è il temerario e spietato organizzatore delle spedizioni oltre le linee russe, della guerra all’Africa Korps russo (ex Wagner) in Mali e Sud Sudan, degli attentati contro figure di spicco russe a Mosca e San Pietroburgo. Si dice che sia sfuggito a più di 10 tentativi di assassinio e dal primo giorno dell’invasione ha promesso a Putin e ai russi che non saranno più al sicuro in nessuna parte del globo terracqueo. Se Budanov afferma che non è a rischio la guerra, ma «l’esistenza stessa dell’Ucraina» c’è da preoccuparsi. A Kiev mancano i soldati, le azioni di reclutamento coatto della polizia in tutto il Paese si fanno sempre più violente e lo scoramento della popolazione rispetto al possibile esito della guerra è tangibile.
Per Urkainska pravda, da sempre vicina a Zelensky e alla lotta contro l’invasore russo, nel Paese la percentuale di quanti vorrebbero un cessate il fuoco immediato è salita al 50% della popolazione. Sono addirittura triplicati (20%) quanti sarebbero disposti a congelare il conflitto sulle attuali linee del fronte cedendo, di fatto, i territori occupati dal Cremlino. Se Kellogg dovesse decidere di innterrompere le forniture di armi potrebbe essere già troppo tardi per trovare una via d’uscita alternativa e, forse, è per questo che diverse voci della società ucraina iniziano a porsi il problema.
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